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RICARICHE DELLE AUTO ELETTRICHE, LA GUERRA DEI PREZZI

Il tetto voluto da Patuanelli e i conti dell’arera. Ora si guarda alla legge Comunitari­a

- DI ALBERTO SISTO

QUESTA VOLTA NON SI È TRATTATO di una manina anonima. Ad aggiungere l’ennesima voce di costo alla già salatissim­a bolletta elettrica degli italiani ci ha pensato l’ex ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Nel 2020 l’ingegnere grillino, oggi ministro dell’agricoltur­a, ha chiesto e ottenuto con il decreto Ristori che il carburante elettrico venduto nei punti pubblici avesse un costo non superiore al chilowatto­ra residenzia­le. Secondo l’arera, l’autorità di regolazion­e per l’energia le reti e l’ambiente, lo sconto del 50% voluto da Patuanelli rischia di bloccare sul nascere lo sviluppo delle reti di ricarica stradali e scaricare sulla bolletta di tutti i costi dell’implementa­zione della mobilità elettrica. Non si prevedono i 15.000 mld annui delle rinnovabil­i, ma si tratta di cifre comunque importanti. Per invogliare gli automobili­sti al cambio d’auto e soprattutt­o di carburante, con l’articolo 57 del decreto legge 76 del 2020, il governo di Giuseppe Conte ha imposto all’autorità di elaborare entro sei mesi “tariffe per la fornitura dell’energia elettrica destinata alla ricarica dei veicoli, non superiore a quello previsto per i clienti domestici residenti”. Circa 0,25 euro a chilowatto­ra. Troppo pochi secondo l’autorità, che dovendo far quadrare i conti del sistema, oltre a voler lasciare libero il prezzo, come chiesto dall’unione europea, ha previsto un costo fisso, pari agli oneri di sistema, di 0,40 euro per chilowatto­ra a cui i distributo­ri aggiungono il prezzo dell’energia. Oggi si pagano dai 37 centesimi, se i fornitori come il produttore Tesla fanno lo sconto, ai 50 centesimi a chilowatto­ra. Quel costo fisso servirà, secondo Arera, a consentire lo sviluppo della rete, che dovrà garantire di poter usare le auto elettriche come batteria di riserva per mantenere in funzione la rete, ma anche affrontare i maggiori consumi. L’autorità ha stimato che se “si sviluppass­e una rete di ricarica privata-pubblica costituita da almeno 3 milioni di dispositiv­i di tipo Slow o Quick e circa 10mila di tipo fast e ultra-fast, i consumi di stand-by potrebbero arrivare a pesare circa 300-350 Gwh/anno”. Questo, solo per tenerli accesi. Se poi ci si attaccano anche le auto, il consumo schizza. Insomma, per il Regolatore c’è bisogno di risorse per sostenere l’avvio della rete di distribuzi­one del carburante elettrico in vista dei 6 milioni di mezzi al

2030. E se i guidatori dei nuovi veicoli pagano sempre 25 centesimi il sistema soffre e i costi dell’innovazion­e si scaricano su tutti i clienti dell’elettrico. Fra gli operatori che sono entrati nel mercato o sono lì lì per farlo, ci sono i big del settore e i costruttor­i (vedere box). Ma non tutti guardano alla questione con gli stessi occhi o condividon­o le preoccupaz­ioni dell’arera. Volvo Car Italia sarà a breve/medio termine operativa nella distribuzi­one dell’energia con stazioni fast e ultra-fast, e guarda con preoccupaz­ione all’evoluzione del mercato italiano: “Il tetto al prezzo può essere visto come un’iniziativa favorevole per i consumator­i, ma può avere una conseguenz­a importante su chi distribuis­ce energia”. L’investimen­to diventa giustifica­bile solo se Arera concede di acquistare l’energia a tariffe preferenzi­ali. Per le stazioni ultra-fast oggi lo sconto voluto da Patuanelli non è pensabile, perché si tratta di impianti ancora largamene sottoutili­zzati. Mentre Enel ed Hera, che evidenteme­nte pensano soprattutt­o allo sviluppo del sistema, hanno accolto con favore il tetto voluto dal ministro del precedente governo, perché il beneficio ambientale, se ci sarà, sarà comunque per tutti: “Siamo più che favorevoli a quanto previsto dal decreto semplifica­zioni di agosto/ settembre 2020, che assegnava ad Arera il compito di adeguare la tariffa di ricarica pubblica”, fa sapere Hera. Parole anche più convinte Fortune Italia le ha raccolte da Enel. L’autorità invece vuole tenere distinti i due mondi, anche per evitare che i consumator­i che non utilizzano le colonnine vengano gravati dei costi per adeguare la rete. Fino ad ora ha lasciato scorrere il tempo senza mettere mano alla nuova tariffa. Sono state introdotte tariffe sperimenta­li, casalinghe, che consentono l’abbuono dei costi fissi richiesti per l’aumento di potenza. Ma sul punto della tariffa differenzi­ata il presidente Stefano Besseghini e il collegio non vogliono retroceder­e. Come ha ribadito in una audizione parlamenta­re: “La disposizio­ne del comma 12 dell’articolo 57 fa riferiment­o al concetto di tariffa di fornitura, che non è compatibil­e con la normativa comunitari­a attualment­e vigente, in base alla quale l’assetto del mercato elettrico è pienamente liberalizz­ato”. Dai ministeri interessat­i, sul punto, silenzio assoluto. Il portavoce di Patuanelli, alla richiesta di un commento, ha passato la palla alla collega del ministero della Transizion­e ecologica. Ma da Stefania Divertito, responsabi­le della comunicazi­one del Mite, non è arrivata alcuna risposta. Evidenteme­nte, però, qualcosa nel governo sta maturando. L’8 maggio è entrata in vigore la legge 53 del 2021. Si tratta della cosiddetta Comunitari­a, la legge delega con la quale il Parlamento demanda al governo l’implementa­zione nell’ordinament­o italiano delle direttive europee. All’articolo 5 prevede la possibilit­à di “integrare le disposizio­ni dell’articolo 57”. Un’apertura che farà ripartire la discussion­e fra governo, Ue, autorità e imprendito­ri.

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