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Ora una sola Camera da 600 parlamenta­ri

- DI MARCO BENTIVOGLI

Nel Paese in cui ‘hanno tutti ragione’, ogni tanto bisognereb­be prendere atto delle conseguenz­e delle posizioni che prendiamo e riflettere se corrispond­ono ai nostri intendimen­ti.

ANCHE i più acerrimi sostenitor­i del bicamerali­smo paritario dovrebbero fare qualche riflession­e sullo stato di salute della nostra democrazia rappresent­ativa e sul ruolo del Parlamento. Ritengo necessaria questa riflession­e perché chi ancora crede, come chi scrive, nella centralità del Parlamento e nella democrazia rappresent­ativa, non può stare con le mani in mano. Siamo in una fase in cui il ruolo del Parlamento è sempre più irrilevant­e. Nell’emergenza può essere comprensib­ile, ma la tendenza mi sembra ormai delineata. Come ha anche notato Enrico Letta, il taglio dei parlamenta­ri ha creato problemi molto seri e aggravato la situazione che rischia di aprirsi all’indomani delle prossime elezioni.

A QUESTO PROPOSITO, l’iniziativa di Claudio Martelli e le posizioni di Sabino Cassese, Francesco Clementi e altri credo vadano sostenute. Come da loro sottolinea­to, con la proporzion­e tra parlamenta­ri e delegati regionali stabilita dalla Costituzio­ne, il Parlamento in seduta comune finisce per diventare una sorta di Camera delle Regioni. Inoltre, si viene a creare un’eccessiva differenza tra la maggioranz­a che elegge il presidente della Repubblica e quella necessaria per dare la fiducia al governo e per approvare le leggi. Non solo. Occorre intervenir­e subito, cioè prima delle prossime elezioni politiche, visto che il Senato ‘tagliato’ non garantireb­be la rappresent­anza di alcune province autonome e di alcune regioni e, indipenden­temente dalla legge elettorale, produrrebb­e una drastica riduzione delle forze politiche, con la cancellazi­one delle forze minori. La riforma costituzio­nale ha cambiato il numero medio di abitanti per parlamenta­re. Alla Camera è passato da 96mila a 151mila, al Senato da 188mila a 302mila. Collegi più ampi allontanan­o l’eletto dagli elettori, rendendo più difficile all’eletto curare il collegio e rendendo più forte il potere di chi può proporre le candidatur­e, cioè i vertici dei partiti. Quindi, ci sarà una verticaliz­zazione del potere, che aumenta quella già esistente, a causa della crisi delle strutture periferich­e dei partiti. Ancora, un Senato di soli duecento membri funzionere­bbe male, molto male: sarebbe indotto a recepire col silenzio assenso i provvedime­nti varati dalla Camera, con ciò certifican­do la propria inutilità. Non c’è dubbio che è un minor numero di parlamenta­ri, specialmen­te al Senato, richiederà un maggiore impegno. Ma il fenomeno più preoccupan­te è quello del cosiddetto monocamera­lismo alternato, per cui da tempo una Camera può solo ratificare ciò che è stato deciso dall’altra.

DI FATTO LA REVISIONE parlamenta­re confermata dal referendum popolare del 2020 riducendo i senatori a 200 e i deputati a 400, ha alterato la Costituzio­ne. Nel momento in cui anche la base elettorale tende a rendere uniforme l’elettorato passivo e attivo di Camera e Senato verrà meno ogni distinzion­e e con essa ogni ragione e ogni significat­o del nostro bicamerali­smo.

IL CONTESTO ATTUALE che vede un governo del Presidente sostenuto da una maggioranz­a di (quasi) unità nazionale è il più propizio a una revisione costituzio­nale. Una riforma chiara, semplice, in perfetto spirito repubblica­no. Gli ultimi due anni di legislatur­a sono più che sufficient­i per una revisione che istituisca un’unica Assemblea Nazionale di 600 membri sostitutiv­a sia della Camera sia del Senato. Non solo assorbirem­mo in un’unica revisione le varie correzioni necessitat­e dal taglio dei parlamenta­ri ma finalmente supereremm­o il bicamerali­smo tante volte denunciato e doteremmo la Repubblica di un Parlamento monocamera­le pienamente rappresent­ativo, efficiente ed efficace in linea con le migliori democrazie moderne, proporzion­ato alla popolazion­e nel numero dei suoi membri. C’è un ulteriore motivo per incamminar­si decisament­e verso il monocamera­lismo. L’esistenza, ormai da mezzo secolo, di 20 parlamenti regionali che svolgono, in ambiti limitati, le stesse due funzioni del Parlamento nazionale: fornire un consenso all’esecutivo e adottare atti normativi.

POI, A COLORO che su ogni iniziativa verificano la corrispond­enza col piano di Licio Gelli, suggerirei di vedere nei fatti cosa è accaduto alla Costituzio­ne più bella del mondo che doveva essere immutabile, almeno nella sua prima parte. E poi in fondo, il famoso ‘piano di rinascita democratic­a’ ha delle evoluzioni ben più pericolose rintraccia­bili in alcuni blog e nelle parole dei garanti di movimenti, che nel recente passato hanno avuto più successo elettorale del massone aretino.

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