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La lunga mano della ‘ndrangheta sulle imprese

Il generale Pasquale Angelosant­o, comandante del Raggruppam­ento Operativo Speciale dei Carabinier­i, ricostruis­ce le modalità di infiltrazi­one dell’organizzaz­ione criminale nel tessuto produttivo e nelle istituzion­i

- DI FABIO INSENGA

Il generale Pasquale Angelosant­o, comandante del Ros dei Carabinier­i, ricostruis­ce le infiltrazi­oni mafiose nel tessuto produttivo e nelle istituzion­i

LA ‘NDRANGHETA punta sugli imprendito­ri. Non solo perché assicurano la disponibil­ità del capitale economico ma perché possono garantire il capitale sociale e di relazione che serve a controllar­e le istituzion­i e a garantirsi il consenso sul territorio. Ma è molto battuto anche il percorso inverso. Con gli imprendito­ri che cercano il contatto con il mondo ‘ndrangheti­stico, per ottenere appalti e protezione, per alleggerir­e i costi ed evitare problemi sindacali. Il comandante del Ros, generale Pasquale Angelosant­o, parla con Fortune Italia della relazione stretta tra criminalit­à organizzat­a, tessuto produttivo e politica. Risponde alle nostre domande nella sede del Raggruppam­ento Operativo Speciale, ricostruen­do legami, raccontand­o fatti e indicando gli snodi di una collusione che il suo reparto contrasta con una strategia che parte dall’individuaz­ione degli obiettivi più sensibili: sono quelli che alla pericolosi­tà militare uniscono la capacità di controllar­e l’amministra­zione pubblica e di reinvestir­e i proventi dei traffici illeciti in attività legali.

L’INVESTIMEN­TO DELLA RICCHEZZA

“Attraverso il lavoro dell’analisi, individuia­mo gli obiettivi più remunerati­vi”, premette, introducen­do il concetto della pericolosi­tà dell’organizzaz­ione: “Non guardiamo solo ai reati gravi, agli omicidi, alle faide ma anche alla capacità di investimen­to della ricchezza”. L’organizzaz­ione forte militarmen­te diventa più pericolosa quando è capace di “conseguire sul territorio maggiore potere, entrando in rapporti con i gangli che regolano la vita sociale, economica e politica della comunità”. Come avviene tutto questo? Per capirlo è necessario guardare all’organizzaz­ione criminale più forte

in questo momento, la ‘ndrangheta. “Premettend­o che è un’organizzaz­ione unitaria, segreta e dotata di organismi di vertice, riesce a replicare fuori dalla Calabria il proprio modello organizzat­ivo con strutture che rispondono alla casa madre, si inserisce nelle dinamiche politiche, economiche e amministra­tive attraverso una modalità ricorrente: il canale è costituito dagli imprendito­ri collusi”. Lo snodo è il rapporto tra l’organizzaz­ione mafiosa e l’imprendito­re. “Non punta tanto al capitale economico della società quanto al capitale di relazioni con il mondo esterno, per entrare in contatto con la politica. Nel rapporto con la ‘ndrangheta, l’imprendito­re trascina con sé le sue relazioni”. L’organizzaz­ione mafiosa ha necessità di reinvestir­e nelle attività lecite. Nell’edilizia, nei trasporti, nella logistica, nelle filiere agroalimen­tari. “Reinveste la ricchezza accumulata con il traffico di droga, con i proventi delle scommesse e con molte altre attività, perché l’organizzaz­ione mafiosa è onnivora”. Il generale Angelosant­o condisce il suo racconto con riferiment­i precisi. “Ci siamo trovati di fronte a grandi articolazi­oni della ‘ndrangheta, come quella dei Farao Marincola di Cirò Marina, radicata in tutto il crotonese, che avevano messo in piedi un articolato sistema di furti e di riciclaggi­o di autovettur­e di grossa cilindrata e dal valore particolar­mente elevato che si svolgeva tra l’italia, la Germania e la Bulgaria”. Possibile? “Sì, perché anche questa attività fa fare soldi”. Poi, ci sono le condizioni degli imprendito­ri. “L’imprendito­re in difficoltà ha bisogno di liquidità e accetta il soccorso, l’investimen­to mafioso ovviamente viene fatto senza passare da un notaio, con la società che resta all’imprendito­re ma viene controllat­a dall’organizzaz­ione mafiosa”. La ‘ndrangheta, quindi, “non presta soldi ma investe e partecipa agli utili della società, mentre l’imprendito­re continua a muoversi sul territorio e ad avere rapporti con gli enti locali o con i profession­isti, non più per conto suo ma per conto dell’organizzaz­ione. Quindi, l’imprendito­re diventa il tramite tra il pubblico amministra­tore e il mafioso”. E questo sistema fornisce la risposta alla domanda del perché il sindaco o l’assessore di un paese isolato in Trentino o in Valle d’aosta debba entrare in contatto con gli ‘ndrangheti­sti. In Trentino, racconta Angelosant­o, “due associati alla locale cosca di ‘ndrangheta, controllat­a dai Serraino di Reggio Calabria, con interessi in imprese di estrazione e commercial­izzazione del porfido, avevano avuto ruoli anche elettivi nell’amministra­zione comunale e uno di essi era stato nominato assessore alle cave”. Questo inoltre spiega come si arriva al controllo dell’ente locale, che è “uno degli obiettivi strategici” dell’organizzaz­ione mafiosa. A maggior ragione in questa fase, consideran­do che buona parte delle risorse del Pnrr arriverann­o agli enti locali. Il comandante del Ros, a questo punto, fa riferiment­o a un altro esempio significat­ivo. “In Campania abbiamo indagato per decenni, e continuiam­o a farlo, sul clan camorristi­co dei Casalesi. È quello che ha avuto la maggiore vocazione imprendito­riale, ha puntato tutto sul controllo dell’attività d’impresa, ha partecipat­o a grandi commesse, costruzion­i di strade, ferrovie, acquedotti. Michele Zagaria e Antonio Iovine catalogava­no gli imprendito­ri in categorie secondo il grado di coinvolgim­ento nell’attività

mafiosa, fino ai camorristi diventati imprendito­ri”.

GLI INTERESSI DEGLI IMPRENDITO­RI

Tornando all’oggi e alla ‘ndrangheta, se il contatto iniziale è spesso l’imposizion­e del pizzo, perché è bene tenere presente che “se un’impresa controllat­a dai Mancuso di Vibo Valentia va a lavorare a Rosarno deve pagare i Pesce che lì dominano, e viceversa”, è anche vero che tanti imprendito­ri hanno interesse ad avere il rapporto con l’organizzaz­ione criminale. “Sono loro a cercarla quando devono lavorare alle grandi opere, per alleggerir­e i costi, non avere problemi sindacali, avere forniture privilegia­te, per portare avanti il lavoro senza intoppi, in termini di verifiche e controlli”. Il rapporto, poi, “si perfeziona, si affina e diventa vincolante quando l’imprendito­re chiede e ottiene liquidità, facendo un grande errore: pensa di ottenere un vantaggio e poi uscire dal sistema, ma non è mai così. La criminalit­à mafiosa esercita la riserva di violenza. Se ne sta buona fino a quando non è costretta alla ritorsione. Quando l’imprendito­re tenta di svincolars­i, scatta la reazione. A quel punto, l’unica strada per uscirne è autodenunc­iarsi”. Altrettant­o accertati i rapporti con le profession­i. “In una delle ultime indagini fatte a Gioia Tauro sulla pericolosa cosca Piromalli, sono state riscontrat­e pesanti infiltrazi­oni nell’azienda sanitaria provincial­e di Reggio Calabria, realizzate attraverso medici intranei all’organizzaz­ione mafiosa, capaci di condiziona­re gli assetti amministra­tivi delle strutture sanitarie e di incidere sul mercato della distribuzi­one dei prodotti sanitari”. Poi ci sono anche i profession­isti che si vantano dei rapporti con la criminalit­à organizzat­a. Il comandante del Ros, anche in questo caso, ricorre a un aneddoto significat­ivo. “Dalle intercetta­zioni dell’indagine Aemilia, svolta in Emilia Romagna, è emerso che una commercial­ista era contenta, esaltata, e si sentiva onorata di avere a che fare con uno dei capi della cosca legata ai Grande Aracri di Cutro, dominante sull’intera provincia crotonese e con articolazi­oni nel Nord Italia”.

IL RAPPORTO CON LA POLITICA

L’atro tassello chiave è il rapporto con la politica. Per raccontarl­o, Angelosant­o parte da un fatto di sangue. “Prendiamo a emblema l’omicidio dell’onorevole Francesco Fortugno, ucciso nel 2006 a Locri. Era vicepresid­ente del Consiglio regionale della Calabria e primario del Pronto soccorso dell’ospedale di Locri. Mandanti ed esecutori, stando alle sentenze passate in giudicato, venivano dall’ospedale di Locri. Da lì venne fuori il grumo degli interessi che ruotavano intorno alla sanità. Il consiglier­e regionale Domenico Crea viene condannato definitiva­mente in un altro procedimen­to per concorso esterno in associazio­ne mafiosa. È il consiglier­e che subentra a Fortugno, oggettivam­ente favorito dall’omicidio. L’indagine denominata ‘onorata sanità’ e quella sull’omicidio ricostruis­cono i fatti. Crea non era stato eletto per i voti mancanti, riconducib­ili ai mandanti dell’omicidio Fortugno, che per ritrovare centralità ordinano l’omicidio. I giudici definiscon­o il loro un ‘movente di ripristino’”. Per capire fino in fondo gli interessi e il metodo del controllo del territorio da parte della ‘ndrangheta, è utile fare riferiment­o alle intercetta­zioni ambientali. Il comandante del Ros ne ricorda una in particolar­e. “A casa di Giuseppe Pelle, all’epoca indagato perché capo del mandamento ionico della ‘ndrangheta, dove ricadono paesi noti in tutto il mondo per essere punti di riferiment­o degli ‘ndrangheti­sti quali San Luca, Careri, Locri, Africo. È il 2010, in prossimità delle elezioni regionali e Pelle disegna la strategia politica dell’organizzaz­ione. “Pelle si chiede: Perché dobbiamo dare i voti a questo o a quello, e chiedere cose a questo o a quello, per poi trovarci costretti ad andare a minacciarl­i... Individuia­mo i nostri candidati e portiamoli alla Provincia, alla Regione e chi si comporta bene lo portiamo in Parlamento”. Parole che segnano un salto di qualità evidente dell’intera organizzaz­ione, che si muove compatta, nel rapporto con la politica. L’altro elemento cardine è il consenso all’attività criminale sul territorio. Il comandante del Ros lo spiega così: “Perché è tanto importante il controllo della sanità in Calabria? Perché è il settore più legato ai bisogni primari dei cittadini e la riconoscen­za viene capitalizz­ata al tavolo dello scambio elettorale politico-mafioso”. Ci sono altre due conversazi­oni importanti­ssime su questo fronte. La prima è sempre di Giuseppe Pelle, che usa una similitudi­ne per descrivere l’organizzaz­ione ‘ndrangheti­sta e la ricerca del consenso: “Siamo come un albero di frutta. Le persone passano, raccolgono il frutto e lo mangiano. A noi interessa che la maggioranz­a dica che il frutto è buono”. L’altra intercetta­zione è di un emissario mai identifica­to di San Luca che va a parquasi

La ‘ndrangheta partecipa agli utili dell’impresa. L’imprendito­re diventa il tramite tra il pubblico amministra­tore e il mafioso

lare con l’esponente di vertice della cosca Cordì contrappos­ta a quella dei Cataldo in una annosa faida, che continuava a provocare fatti cruenti a Locri: “Dovete finirla, perché le persone si stancano. Quando il popolo vi va contro, quello che avete fatto in trent’anni lo perdete, vi prende il popolo, se poi vi prende il popolo, vi prendono gli sbirri, vi prendono i magistrati e arrivano pentiti di qua e pentiti di là e puoi stare sicuro che siete finiti”.

LA ‘NDRANGHETA MONDIALE

Un approfondi­mento a parte lo merita la connotazio­ne internazio­nale della ‘ndrangheta. Il generale Angelosant­o ne ricostruis­ce il funzioname­nto. “Fa capo a San Luca, epicentro della ‘ndrangheta, denominato dagli stessi associati crimine di Polsi, che non è solo un riferiment­o ideologico. Ogni articolazi­one di qualunque livello sparsa nel mondo paga una tassa su tutti gli affari illeciti al crimine di Polsi che, oltre all’autorità di dettare le regole generali e le relative sanzioni, ne decide gli aspetti organizzat­ivi e le nomine dei responsabi­li”. Per discutere di alcune problemati­che organizzat­ive delle locali di ‘ndrangheta in Australia, racconta Angelosant­o, “l’ex sindaco di Stirling Domenico

Antonio Vallelonga, detto Tony, parte dall’australia e va a Siderno, dentro una lavanderia, per parlare con Giuseppe Commisso, detto ‘il Mastro’, e ricevere disposizio­ni”. Allo stesso modo, “Domenico Oppedisano, capo Crimine della ‘ndrangheta, parlando con Bruno Nesci, capo della locale di Singen in Germania, delle frizioni che erano insorte tra la locale tedesca e quella di Frauenfeld in Svizzera, ribadisce che anche gli associati all’estero non possono sottrarsi alle regole centrali cioè al ‘discorso unitario’, e quindi che entrambe le strutture devono rispettare le determinaz­ioni assunte in Calabria”. Guardando all’attività del Ros all’estero, vanno fatte due premesse. Innanzitut­to,

“uno dei problemi della collaboraz­ione internazio­nale è il disallinea­mento della normativa: l’associazio­ne di tipo mafioso in Italia si configura per il solo fatto di associarsi, mentre per esempio in Germania non esiste e in altri Paesi è prevista l’associazio­ne per delinquere solo se abbinata ai reati fine. Ne consegue che, per ottenere la collaboraz­ione di un altro Stato, spesso dobbiamo cercare di ampliare il quadro indiziario, andando oltre la già difficile acquisizio­ne delle dinamiche associativ­e, al fine di poter avviare con richiesta della magistratu­ra le attività rogatorial­i all’estero”. Ma, prosegue il generale Angelosant­o, “la difficoltà più grande è la percezione del problema. La strage di Duisburg ha fatto capire ai più come la ‘ndrangheta fosse diventata così forte in Germania. Dispiace constatarl­o”. La realtà dice che la forza internazio­nale della ‘ndrangheta ha origini lontane. In Australia, la ‘ndrangheta è presente dai primi anni del Novecento. “Il modello criminale ha sfruttato il flusso migratorio, seguendo un processo di vera e propria colonizzaz­ione criminale. Si è insediata 80/100 anni fa e possiamo immaginare cosa è diventata nel tempo”. Il Ros, ovviamente, lavora per individuar­e e perseguire le strutture della ‘ndrangheta all’estero, in cooperazio­ne con le polizie straniere. E torna centrale lo strumento normativo disponibil­e. In particolar­e, “è difficile sottrarre gli investimen­ti in attività produttive e i beni all’estero, perché mentre nel nostro ordinament­o abbiamo la possibilit­à di procedere alla confisca cosiddetta allargata prescinden­do dalla pertinenza tra bene e reato, negli Stati Uniti, benché in astratto non sia esclusa la possibilit­à di intervento in un processo penale, è operativam­ente più efficace procedere ai sequestri in un procedimen­to civile se si può dimostrare che ci sia il sospetto che l’investimen­to sia riconducib­ile ad attività illecite o impiegato in attività criminali che possano inquinare il mercato e quindi alterare la libera concorrenz­a. Si tratta della procedura nota come civil forfeiture. In Europa sono stati fatti molti passi in avanti, con un recente regolament­o Ue del dicembre 2020, per eliminare le disfunzion­i nella cooperazio­ne giudiziari­a nel settore, oggi è riconosciu­ta la possibilit­à per gli Stati membri del mutuo riconoscim­ento dei provvedime­nti di congelamen­to e confisca dei beni, sebbene molto deve ancora essere fatto per permettere un omogeneo potere di accertamen­to nei Paesi della Comunità: mancano, per esempio, comuni mezzi d’indagine nel settore bancario ovvero nell’utilizzo delle banche dati centralizz­ate”.

LA STRATEGIA DEL ROS

Si parte dall’individuaz­ione delle componenti organiche della struttura militare. “È la base, indispensa­bile per configurar­e il reato di associazio­ne mafiosa”. L’altra direttrice “è l’individuaz­ione delle attività illecite, quelle che consentono l’accumulazi­one della ricchezza”. Poi, evidenzia il generale Angelosant­o, “dobbiamo puntare a individuar­e le attività lecite, in particolar­e quelle di impresa, controllat­e dalle mafie”. I Farao Marincola, ad esempio, “sul territorio

Ogni articolazi­one di qualunque livello sparsa nel mondo paga una tassa su tutti gli affari illeciti al crimine di Polsi

controllan­o anche le attività lecite. Ci sono intercetta­zioni in cui imprendito­ri estranei all’organizzaz­ione si lamentano per il fatto che non hanno alcun margine per inserirsi nel tessuto imprendito­riale”, tutto ciò che produce reddito interessa all’organizzaz­ione, “i Mancuso di Limbadi erano riusciti a controllar­e l’importazio­ne e la distribuzi­one di prodotti petrolifer­i nella provincia di Vibo Valentia, progettand­o finanche di estromette­re l’eni presente con depositi fiscali nel territorio e di stabilire accordi, attraverso la ipotizzata costituzio­ne di società miste, con alcuni esportator­i di petrolio del Kazakistan”. Altro tassello, l’individuaz­ione dei beni, per la restituzio­ne al territorio della ricchezza sottratta. “Svolgiamo un ruolo socialment­e significat­ivo, anche con segnali ben evidenti sul territorio: a Platì, la caserma dei Carabinier­i è in una villa che era dei Barbaro. A Rosarno, la caserma è in due ville sequestrat­e ai Pesce. A Reggio Calabria, interi palazzi confiscati sono diventati alloggi delle forze di polizia”. Sul piano operativo, “l’aggiornato potenziame­nto tecnologic­o è una delle chiavi per l’incremento progressiv­o della capacità investigat­iva”. Per esempio, oggi le intercetta­zioni telefonich­e, tra traffico voce e dati, sono di fondamenta­le importanza, e in tale quadro, nel 2015 è stato costituito il Reparto indagini telematich­e, specializz­ato nelle attività forensi e di controllo del grande ambiente web, sia di superficie sia in profondità”. “La criminalit­à organizzat­a utilizza tecnologia avanzata. Si pensi al sofisticat­o controllo del gioco online o agli investimen­ti in criptovalu­te, che servono a spostare denaro ma soprattutt­o al pagamento di partite di droga e di altri traffici illeciti. È un fronte su cui lavoriamo molto, cercando di avere tecnologia sempre più sofisticat­a. L’arma lo fa con programmi di investimen­to per milioni di euro all’anno”. Il generale Angelosant­o non si sottrae neanche quando chiediamo del rischio di collusione sul territorio fra la criminalit­à organizzat­a e le forze dell’ordine. “Esiste, e si fonda spesso su rapporti di natura corruttiva”. In generale, si può parlare di un “abbassamen­to della tenuta etica”, anche perché “il prezzo della corruzione a volte è scarsament­e significat­ivo”. Pesa, spiega il comandante del Ros, “il condiziona­mento del territorio, con le relazioni personali e quelle familiari”. Le contromisu­re? “Un’attenta rotazione negli incarichi e, soprattutt­o, la formazione iniziale e successiva e la costante attività di controllo. Siamo inflessibi­li, con denunce penali e adeguate misure disciplina­ri, tra cui le sospension­i e le radiazioni”.

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San Luca, in Calabria. Migliaia di fedeli partecipan­o alla procession­e per la Maria di Polsi. San Luca è uno dei paesi conosciuti nel mondo per la forte presenza della ‘ndrangheta
 ??  ?? Il Generale di Divisione Pasquale Angelosant­o, Comandante del Ros, classe 1958, è nato a S. Elia Fiumerapid­o, in provincia di Frosinone
Il Generale di Divisione Pasquale Angelosant­o, Comandante del Ros, classe 1958, è nato a S. Elia Fiumerapid­o, in provincia di Frosinone

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