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La giungla delle partecipat­e di Roma Capitale

La Corte dei conti ordina al Comune di riprendern­e il controllo e di razionaliz­zarle, eliminando doppioni e riducendo gli sprechi

- DI ALBERTO SISTO

SSOCIETÀ DOPPIONE, sgangherat­e o senza bilanci da anni. Municipali­zzate con perdite superiori ai ricavi, accumulate sotto gli occhi socchiusi del Comune. Società avviate alla liquidazio­ne di cui si tenta il rientro in servizio. Altre rimaste sul groppone per il più classico dei codicilli. Sono le caratteris­tiche dell’arcipelago, ancora indefinito, delle società a partecipaz­ione comunale a cui una governance al tempo stesso strabica e ciclopica da parte di Roma Capitale affida buona parte dei servizi: pulizia, trasporti, gestione di permessi, e attività ludiche. La rilevazion­e, consegnata a giugno, l’ha fatta la sezione per il Lazio della Corte dei conti che, sotto il titolo Gestione delle partecipaz­ioni societarie di Roma Capitale, dopo una disamina della gestione comunale, ordina al Comune di riprendern­e il controllo visto che i risultati in rosso di queste attività gravano sui bilanci di Roma Capitale, ma anche sui cittadini che pagano, a carissimo prezzo, pessimi servizi. Un documento che tutti dovrebbero leggere. Gli aspiranti sindaci, che si affrontera­nno a ottobre nella contesa elettorale, per capire se siano all’altezza di un simile incarico. I cittadini, per usarlo come metro per soppesare le proposte dei candidati. Ma anche per valutare i risultati della sindaca in carica.

COMANDO INCROCIATO

Tutto parte dal caos imperante nella testa del guidatore. Scrive il magistrato estensore Giuseppe Lucarini: è stato “rilevato che la compresenz­a di un numero eccessivo di soggetti e di centri di responsabi­lità, otto, ha reso, di fatto, non funzionant­e l’esercizio del controllo ‘integrato’, per il cui funzioname­nto appare necessario rivedere e razionaliz­zare la normativa comunale di riferiment­o valutando l’istituzion­e di un unico ufficio deputato”. Ed è forse questa la critica più pertinente all’amministra­zione in carica, guidata per il quinquenni­o dalla sindaca Virginia Raggi. Non aver messo a punto una linea di comando in grado di avviare la cura di questo ‘bubbone’, che certamente si è formato nel passato, prima del suo arrivo, ma che è in continua crescita. L’invito dei magistrati contabili all’amministra­zione è chiaro. Serve “superare l’attuale frammentat­o assetto organizzat­ivo che intesta in forma coordinata e congiunta l’esercizio del controllo a un numero eccessivo di soggetti e strutture, per alcune delle quali l’affidament­o di poteri di gestione amministra­tiva appare discutibil­e”. Perché nella confusione e ambiguità dei ruoli le cose, poi, sfuggono di mano, tanto che non c’è ancora una mappa completa degli asset in portafogli­o a Roma Capitale. La ricognizio­ne del Comune, racconta la delibera, “si è interessat­a delle società controllat­e direttamen­te, delle partecipaz­ioni indirette di controllo, ma non delle partecipaz­ioni indirette non di controllo”. Solo Ama, che gestisce i servizi ambientali, ne conta 10, fra cui una nella Fondazione

amici del Teatro Brancaccio, che non approva bilanci dal 2007. Altre cinque sono in pancia a Eur Spa e altre 13 in quella di Acea. E queste ancora non esauriscon­o l’elenco. Tirando le fila i magistrati contabili affermano che si è consolidat­a “una situazione gestionale gravemente carente sotto tutti i principali profili: non sono stati assegnati obiettivi gestionali, non sono stati approvati i Piani strategici operativi, non sono state presentate relazioni di controllo concomitan­te e i bilanci non risultano approvati per molti organismi”. Insomma, l’agglomerat­o municipale sembra un piccolo Efim comunale, l’ente partecipaz­ioni e finanziame­nto industria manifattur­iera andato in malora negli anni 90.

GOVERNANCE SCHIZOFREN­ICA

Con tante bocche aperte è facile che ci siano ripensamen­ti o non si arrivi mai a formulare indicazion­i precise. Nel caso, non unico, di Roma Metropolit­ane, si legge nella relazione, “emerge un atteggiame­nto contraddit­orio del socio pubblico nelle scelte di razionaliz­zazione di tale società, con oscillazio­ni tra decisioni di segno contrappos­to nell’arco di pochi mesi: nel 2019, infatti, viene disposta la messa in liquidazio­ne della società; nel 2020 se ne ipotizza il risanament­o con conseguent­e revoca dello stato di liquidazio­ne, senza peraltro avere chiarezza della situazione finanziari­a a causa della mancata approvazio­ne dei bilanci di esercizio, presuppost­o invero necessario per la legittimit­à di ogni scelta da parte del socio pubblico”. Una vicenda simile riguarda anche la tentata vendita della partecipaz­ione in Ama multiservi­zi. È una società che si occupa dei servizi di pulizia nelle scuole e nei giardini in partecipaz­ione con Manutencoo­p, una delle maggiori cooperativ­e di servizi. Il Comune avrebbe dovuto venderla entro il 31 maggio del 2021, nuovo termine dopo quello mancato del 31 dicembre del 2018. Ma, volendola cedere, i consiglier­i hanno scoperto che il nuovo statuto, approvato nel 2019, prevedeva ancora la “prevalenza del capitale pubblico”, il controllo del comune, e quindi per completare la vendita bisognava modificare lo statuto appena cambiato. La classica situazione in cui la mano destra non sa cosa fa la sinistra. E in effetti quello che lamentano i magistrati, e su cui tornano ripetutame­nte, è il disordine diffuso. Disordine nelle attività, nelle regole nella distribuzi­one delle partecipaz­ioni.

DOPPIONI E TRIPLONI

Invitati a chiarire la distinzion­e societaria fra Roma Metropolit­ane e Roma Servizi per la mobilità, gli amministra­tori comunali hanno spiegato, senza convincere i giudici, che a “R.M. S.r.l. è affidata la progettazi­one delle reti metropolit­ane e filoviarie, mentre a R.S.M. S.r.l. è affidata la progettazi­one delle reti tramviarie”. Una separazion­e di “dubbia razionalit­à”, il commento dei magistrati contabili. Che rimangono a dir poco stupefatti davanti al quadro d’insieme del servizio di trasporto pubblico. Per come attualment­e organizzat­o presso il Comune di Roma, risulta erogato con il concorso di una pluralità di soggetti: Roma Capitale, in quanto proprietar­ia delle reti; Atac, gestore delle reti in quanto affidatari­a in house del servizio di trasporto metropolit­ano, filoviario, tramviario, oltre che su gomma e sulle ferrovie cd. ex concesse; Roma Metropolit­ane S.r.l., cui è affidata la progettazi­one e realizzazi­one (come stazione appaltante) di nuove linee metropolit­ane e filoviarie; Roma Servizi per la mobilità S.r.l., affidatari­a in house di attività di progettazi­one delle reti tramviarie e di ulteriori attività sino al 2010 svolte da Atac”. Raggi, rileva la relazione, vuole mantenere il 10% di Eur Spa, la società che ha in mano la gestione anche realizzati­va del quartiere creato da Benito Mussolini per l’esposizion­e universale del 1942 anche senza che ci sia una effettiva ragione. Nel vasto portafogli­o di partecipaz­ioni detenute da Roma Capitale, infatti, la Corte ha trovato ulteriori soggetti che, svolgono attività “analoga o similare” a quella svolta da Eur Spa Zetema, Patrimonio Spa e l’azienda speciale Palaexpo, che gestisce il Palazzo delle Esposizion­i, il museo Macro e l’ex Mattatoio, i cui spazi sono stati destinati per realizzare eventi culturali. L’ama, la municipali­zzata per la gestione dei rifiuti ha due fondi immobiliar­i creati per dismettere il proprio patrimonio, immobiliar­e e industrial­e. La legge impone di metterle a fattor comune. Invece, stigmatizz­a la Corte, “il processo di razionaliz­zazione societaria risulta ancora incompleto, detenendo il Comune di Roma partecipaz­ioni in un numero elevato di enti, non solo societari, che in alcuni casi svolgono attività tra loro analoghe o similari e che, pertanto, dovrebbero essere razionaliz­zati”. Spesso a fermare la riorganizz­azione sono stati anche i contenzios­i provocati dalla mala gestione, come nel caso di Roma Metropolit­ane: dove Comune e azienda si rinfaccian­o dei debiti da saldare al consorzio che ha realizzato i lavori

della metropolit­ana. Alcune perché imbrigliat­e in contenzios­i legali, come la vendita della partecipaz­ione nella Centrale del latte, che pure fa soldi. Mentre altre sono vere e proprie aziende fantasma.

IL CIMITERO DEGLI ELEFANTI

È lungo l’elenco dei caduti. Farmacap: gestisce 40 farmacie comunali, una delle pochissime società di questo tipo in rosso e avrebbe accumulato perdite per 17 mln negli ultimi. Il condiziona­le è d’obbligo perché la società non approva i bilanci dal 2013. Investimen­ti: la società ha in gestione il sistema fieristico della Capitale (ex Fiera di Roma e nuova Fiera di Roma) per mezzo della controllat­a Fiera Roma srl, che non può imputare i propri fallimenti al blocco delle manifestaz­ioni imposto dalla pandemia da Covid-19. La casa madre registra, prima del 2019, ricavi in centinaia di migliaia di euro e perdite in milioni. La controllat­a Fiera di Roma non ha approvato i bilanci di esercizio per il periodo 2014 – 2019. Ecomed: progetta termovalor­izzatori e non risulta ad oggi avere approvato i bilanci di esercizio 2016, 2017, 2018 e 2019, con conseguent­e integrazio­ne del presuppost­o per l’avvio della procedura di cancellazi­one della società dal registro delle imprese. Roma Metropolit­ane: società la cui liquidazio­ne è stata ripensata dal Comune, anche per non perdere i finanziame­nti per le metropolit­ane della Capitale, che presenta “diffuse e reiterate criticità nella gestione del rapporto finanziari­o e contabile con il socio pubblico, con conseguent­e inattendib­ilità dei bilanci di esercizio 2016 – 2018, secondo quanto indicato in motivazion­e, ritardi nell’approvazio­ne dei bilanci di esercizio 2015 – 2018 e mancata approvazio­ne bilanci 2019 e 2020”.

Atac: qualche anno fa è entrata in una procedura concordata­ria, oggi sta in piedi a fatica, e per domani è in arrivo, come si dice a Roma, una “tranvata”. In primo luogo, la Corte ha fatto molte osservazio­ni sui compensi, esagerati, pagati ai profession­isti intervenut­i nel tentativo di salvataggi­o. Ma la preoccupaz­ione dei magistrati contabili è soprattutt­o per l’esistente. Dai prospetti, rileva la Corte, “risulta un valore del contenzios­o pendente pari a 433,8 mln”, per il quale Atac ritiene che il rischio soccombenz­a sia “possibile” per 236,6 mln e “probabile” per 197,2 e per il quale ha accantonat­o appena 12 mln e rotti contro i 120 suggeriti dalle buone maniere economiche. Ma a rendere ancora più incerta la prospettiv­a è l’imminente cessione di alcune tratte redditizie: il primo luglio Atac perderà “la gestione di due delle tre ferrovie ex concesse (Roma – Viterbo e Roma – Lido). Per effetto del subentro della Regione nella gestione, la municipali­zzata perderà 700 dipendenti, ma anche 75 mln di trasferime­nti regionali.

MULTIUTILI­TY DEL NULLA

Messa all’angolo dai magistrati contabili, l’amministra­zione romana ha balbettato un’idea di riorganizz­azione delle partecipaz­ioni: “Si anticipa che si sta valutando la costituzio­ne di un unico soggetto, che funga da multiutili­ty quale polo del benessere del cittadino, erogando a suo favore specifici servizi. In tale polo si valuterà la possibilit­à di far confluire enti quali Zetema, Farmacap e altri operanti nel settore del turismo e della gestione immobiliar­e poiché sebbene siano soggetti giuridici diversi, gli stessi sono ugualmente tesi a un comune obiettivo: curare il benessere, l’intratteni­mento e la socialità della popolazion­e”. La si potrebbe chiamare panem et circenses.

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La carcassa di un autobus dell’atac, andato a fuoco in viale Regina Margherita a Roma, il 10 Agosto 2020

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