I cantieri della sanità del futuro
È necessario partire dalle esigenze dei cittadini, che vogliono più digitale, più prossimità, più partnership pubblico-privato e meno burocrazia
COME DISEGNARE LA SANITÀ DEL FUTURO? Quali i presupposti per dare nuova linfa a un Sistema sanitario nazionale (Ssn) che esce provato, ma anche a testa alta, dall’emergenza Covid-19? Come sfruttare al meglio i 20 mld di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destinati alla sanità? Quali sonoi nodi ancora da sciogliere per un’assistenza sanitaria che tenga conto delle prospettive sociali e demografiche dei prossimi vent’anni, e che per il 2040 indicano 19 milioni di anziani (+5,4 milioni, +38,5%) e altri 28 milioni di pazienti cronici (+ 3 milioni, +12%) rispetto ad oggi? Prova a rispondere a questa domanda il progetto ‘I cantieri della sanità del futuro’, realizzato dal Censis in collaborazione con Janssen
Italia, presentato lo scorso 22 giugno alla presenza del ministro della Salute Roberto Speranza e degli assessori alla Sanità di Lazio, Puglia e Veneto.
Progettare la sanità del futuro significa partire dalle esigenze dei cittadini, che quando si ammalano si chiamano pazienti. “È questo il vero valore aggiunto di questo progetto: l’ascolto del territorio, dei cittadini, dei pazienti”, ha detto Massimo Scaccabarozzi, presidente e amministratore delegato di Janssen Italia.
Cittadini che si sono espressi molto chiaramente e chiedono a gran voce diverse cose. L’86% vuole una sanità digitale finalmente efficiente e scevra dalle intollerabili differenze territoriali a cui assistiamo oggi. Il che significa prenotazioni semplici di visite ed esami attraverso tutti i device digitali normalmente utilizzati – smartphone, tablet ecc. - e un altrettanto semplice accesso alla cartella sanitaria da remoto. A ‘digitale’ si affianca anche un’altra parola-chiave: ‘prossimità’. Che, tradotto, vuol dire una sanità che si adegua alle necessità di accesso del cittadino e non il contrario. Le attese e, quindi, gli obiettivi di ciò che pare essere una vera rivoluzione per l’attuale Ssn paiono chiari.
Ora, il punto è capire come fare per conseguirli, nell’ottica di mantenere l’universalità del nostro Ssn. “Occorre un grande patto-paese per il futuro della salute. Un ministro non basta. Tutti i player della
sanità devono progettare insieme la sanità del futuro”, ha detto Speranza. Fiducioso del fatto che, per rilanciare il Ssn, “possiamo contare su condizioni nuove e che ci consentono di tornare a investire in un sistema che ha mostrato la sua forza proprio nel periodo più duro della pandemia”. Di fatto, ha aggiunto, “si apre una stagione nuova di investimenti - in arrivo ci sono i 20 miliardi di euro del Pnrr - che chiude quella dei tagli alla sanità”.
Per riuscire a investire questi fondi nel modo migliore occorre ancora una volta ascoltare la voce dei cittadini: tre su dieci indicano che la strada da intraprendere è quella di una maggiore collaborazione tra i player della sanità, in una vera partnership pubblico-privato che veda protagonisti anche il terzo settore e i cittadini stessi. I quali hanno compreso di poter essere il vero motore del cambiamento, se responsabilizzati sul fatto che sono comportamenti e stili di vita a cambiare le sorti della propria condizione di salute e, di conseguenza, a incidere sui costi sanitari. “Una lezione imparata anche grazie agli evidenti effetti positivi sulla pandemia prodotti dal mantenimento del distanziamento sociale e della mascherina”, ha affermato l’assessore alla Sanità della Regione Puglia Pierluigi Lopalco, ricordando come “l’alfabetizzazione sanitaria dei cittadini sia un vero e proprio determinante di salute”. Si tratta di una “logica di ecosistema, pensando al sistema sanitario non come un fortino chiuso, ma in grado di mobilitare soggetti, risorse e competenze diverse, pubbliche e private, per arrivare a soluzioni ottimali”, ha affermato il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii.
Cruciale il tema delle risorse economiche, “requisito fondamentale per una vera riforma del Ssn, ma che da sole non bastano”, ha precisato il ministro della Salute. “I fondi del Pnrr non basteranno e soprattutto non potranno essere una tantum”, gli ha fatto eco Valerii, perché l’italia deve colmare il gap di investimenti in sanità derivanti dai tagli degli ultimi anni. “Occorreranno circa 50 mld in più se vogliamo recuperare i 2,5 punti di Pil che separano l’italia dalla Germania in termini di investimenti in sanità”. Lamentata dalle Regioni è poi la carenza di personale, soprattutto medico. Che, se continuerà, non permetterà di avere “una sanità vicina ai malati cronici e agli anziani” ha puntualizzato l’assessore alla Salute del Veneto Manuela Lanzarin, indicando la necessità di “agire su piani di formazione per le figure sanitarie oggi mancanti”.
Due le possibili soluzioni a questa criticità, secondo Lopalco: “Il task shifting di ciò che non è strettamente un atto medico verso altre figure sanitarie, così da permettere ai dottori di dedicarsi alle proprie attività ‘core’. E la riforma del percorso di formazione specialistica. Consentendo così ai laureati di entrare subito in corsia, conseguendo la specializzazione ‘sul campo’, senza dover attendere la disponibilità di borse di studio che saranno sempre numericamente inferiori alla quantità di specialisti di cui necessita il Ssn”. Padronanza e accesso alla tecnologia digitale è uno dei punti su cui agire per rendere il medico “sempre più vicino ai cittadini” per l’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’amato. Che definisce ‘rivoluzione gentile’ il percorso che porterà alla “possibilità di effettuare esami diagnostici a domicilio e al dialogo digitale del medico del territorio con specialisti e ospedale. In linea con i concetti di umanizzazione delle cure e di equità raggiungibili, secondo Scaccabarozzi, anche in virtù di un’allocazione delle risorse “orizzontale e non più ‘a silos’. E di partnership pubblico-privato”.