Più sicurezza psicologica, più produttività
La crisi pandemica ha reso ancora più evidente la necessità di creare un ambiente di lavoro positivo. Alexandra Andrade, di The Adecco Group, responsabile di Badenoch + Clark e Spring Professional per Italia e Spagna, spiega come il manager può creare una competitività costruttiva
Sam Walton, fondatore di Walmart, diceva che “i leader eccezionali fanno di tutto per aumentare l’autostima del proprio personale. Se le persone confidano in se stesse, è incredibile quello che possono realizzare”. Un’intuizione lungimirante la sua, che decenni dopo viene avvalorata da studi e ricerche che dimostrano come la sicurezza psicologica sui luoghi di lavoro favorisca le performance di alto livello. Secondo uno studio di Deloitte, il 70% dei dipendenti ammette di restare in silenzio rispetto a problemi che pure potrebbero compromettere la performance dell’azienda. Una recente indagine Gallup evidenzia invece che nei team in cui c’è maggiore sicurezza psicologica si registra un incremento della produttività.
E se questo era vero già prima, lo è diventato ancora di più con la pandemia: infatti, la crisi che ne è seguita ha modificato il concetto stesso di sicurezza sul lavoro, ha aumentato le paure e le incertezze, ma ha dilatato anche le distanze con i colleghi e con i manager, che solo in parte le piattaforme digitali sono riuscite a colmare. Pertanto, diventa sempre più evidente come una leadership capace di creare un ambiente di lavoro dal clima positivo e costruttivo, in cui sia possibile esprimere senza timori sia la creatività che le critiche, aiuti non solo i lavoratori, ma anche il business.
A questo proposito “è importante che i leader sappiano trasmettere il messaggio che i membri del team non devono porsi in competizione gli uni contro gli altri, ma piuttosto verso se stessi. Nei team forti, è il leader a stabilire gli obiettivi che si aspetta da ogni collaboratore, per esempio ponendolo di fronte alla sfida di migliorare le proprie performance rispetto all’anno precedente”, spiega Alexandra Andrade, senior vice president professional recruitment head southern Europe di The Adecco Group, alla guida di Badenoch + Clark e Spring Professional in Italia e Spagna.
A coniare l’espressione “sicurezza psicologica” è stata Amy Edmondson, docente alla Harvard Business School, che alla fine dello scorso anno ha realizzato il libro “Organizzazioni senza paura”. Tra i casi che ha studiato, anche le sperimentazioni condotte da Google con il “Progetto Aristotele”. Dopo due anni di indagine, i ricercatori sono giunti alla conclusione che non era la composizione del team a spiegare le migliori performance, ma il modo in cui i suoi membri collaboravano, e una delle costanti individuate era proprio l’elevato grado di sicurezza psicologica. In “Extreme Teams”, invece, Robert Bruce Shaw analizza la crescita esponenziale di aziende come Pixar, Netflix e Airbnb, scoprendo che tra le caratteristiche comuni dei loro team di lavoro c’è proprio l’inclinazione a favorire una cultura basata sul confronto e il dissenso, così come sulla tolleranza verso gli errori. Esistono alcune precise caratteristiche, dice Andrade, che spiegano la competitività costruttiva dei team a più elevata sicurezza psicologica: “Hanno degli
“È IMPORTANTE CHE I LEADER SAPPIANO TRASMETTERE IL MESSAGGIO CHE I MEMBRI DEL TEAM NON DEVONO PORSI IN COMPETIZIONE GLI UNI CONTRO GLI ALTRI, MA PIUTTOSTO VERSO SE STESSI” ALEXANDRA ANDRADE DI THE ADECCO GROUP, RESPONSABILE DI BADENOCH + CLARK E SPRING PROFESSIONAL PER L’ITALIA E LA SPAGNA
obiettivi chiari e misurabili; ricevono feedback continui dai loro leader e benefit in base ai traguardi raggiunti; sanno che l’errore viene tollerato e quindi si sentono più sicuri quando provano a inseguire approcci innovativi; non sono ostacolati dalla burocrazia in azienda, che è snella, per cui ricevono riscontri in tempi brevi; sono invitati ad avere un approccio critico al problema, a dissentire e offrire il proprio punto di vista, anche quando la loro opinione è contraria a quella del leader”. Ovviamente, la pandemia ha cambiato il mondo del lavoro in molti modi, a cominciare dalla diffusione dell’home working. Secondo un’indagine integrata dell’istat, quasi il 70% delle imprese con almeno 50 addetti ha dichiarato che il lavoro da casa non ha avuto ripercussioni sulla produttività, il 14,5% che ha avuto un effetto positivo e solo il 16,2% segnala qualche conseguenza negativa.
Di certo la crisi Covid ha rivoluzionato anche i modi con cui i leader esprimono la propria autorevolezza. Per Andrade le aziende più illuminate sono passate da un approccio “prima il business” a uno “prima le persone”. “Il lavoro da remoto – sostiene – ha reso più complicata la strada per esprimere le proprie frustrazioni e preoccupazioni agli altri membri del team, come al management. Di fronte a questi sentimenti complessi da gestire, i leader hanno dovuto modificare il proprio approccio di comunicazione”. Come? “Cercando – spiega – un equilibrio tra due anime”, quella analitica, concentrata sul problem solving e sulla capacità di prendere decisioni in modo rapido, sempre basandosi sui fatti, e quella più incline all’empatia, a comprendere i bisogni dei collaboratori e a essere disposti a valutare le iniziative migliori per soddisfarli.
Un recente studio, con un focus sul post lockdown, racconta che tra i miglioramenti determinati dal lavoro agile che il lavoratore maggiormente apprezza, al primo posto c’è il bilanciamento vita privata/ vita lavorativa (85,5%) e, a seguire, il grado di autonomia nello svolgimento dell’attività stessa (81,2%). Percentuali più basse si riscontrano invece per le relazioni interpersonali tra colleghi (49,5%) e per il supporto del management (49,4%).
Ecco perché, spiega ancora Andrade, “i leader non soltanto hanno dovuto diventare più diretti verso i collaboratori, più empatici nei confronti dei loro problemi, tra tutti le difficoltà di dover gestire vita familiare e lavoro in smart working”, ma hanno anche “dovuto cambiare la modalità con cui erano soliti prendere decisioni. La necessità di affrontare un numero maggiore di scelte in poco tempo li ha spinti a delegare di più, a conferire più potere e responsabilità ai team che sono a diretto contatto con i consumatori e le loro esigenze”. Nonostante la pandemia abbia avuto un impatto devastante, Andrade è convinta che questo periodo abbia rappresentato per molte aziende un’occasione per “imparare lezioni che le aiuteranno a proiettarsi nel futuro con maggiore consapevolezza”. “Hanno, ad esempio, compreso la necessità di potenziare i propri team, creando iniziative di valore, mettendo in campo una serie di misure pensate per bilanciare la perdita di sicurezza psicologica dei collaboratori e prepararli a rispondere in modo più veloce e flessibile agli incerti scenari del mercato”.