Exxon sotto assedio
Dopo un anno disastroso deve fronteggiare gli investitori ‘attivisti’
Dopo un disastroso anno finanziario, il gigante petrolifero affronta la forte pressione degli investitori ‘attivisti’ verso un approccio sostenibile. Ma scommette anche sul fatto che un aumento dei prezzi del greggio possa significare un ritorno trionfale del suo business tradizionale
QUANDO SI PARLA di trash-talking, l’arte di insultare e mettere sotto pressione gli avversari, il Ceo di Exxon Mobil Darren Woods non ha esattamente lo stesso talento di una leggenda come Micheal Jordan. Perlomeno in pubblico, il sussiegoso dirigente petrolifero usa un tono di voce abbastanza monotono e robotico, ammorbidito dal suo leggero accento texano, e sceglie le parole con estrema attenzione, quasi a suggerire una studiata mellifluità. Un sobrio stile di presentazione che Wood
fine aprile, quando ha annunciato i numeri del primo trimestre del colosso dell’oil&gas. Eppure, in quel discorso, si percepiva un’inconfondibile nota di trionfo, forse anche un leggero accenno di sfida.
call con gli analisti di Wall Street, Woods ha sottolineato come un anno
tumulti (una pandemia, gli effetti dei lockdown, il crollo dei consumi di
non avesse cambiato di una virgola la prospettiva del gigante energetico. E ha suggerito che i 2,7 mld di dollari di profitti nei primi tre mesi del 2021, aiutati daanlnroimfibscaalzleo2d0e2i0prezzi
petrolio, fossero la prova della fondatezza della strategia aziendale. “Sapevamo che l’economia si sarebbe ripresa, che la popolazione e gli standard di vita sarebbero continuati a crescere. Provocando, in ultima istanza, un aumento della domanda per i nostri prodotti e un recupero per il settore”, ha detto Woods. Intanto, ha notato, gli sforzi degli ultimi anni dell’azienda per ristrutturare e reinvestire hanno pagato: “Siamo una compagnia più forte, con prospettive in miglioramento”. Traduzione: beccatevi questa, haters. Il trimestre ha rappresentato una vittoria quanto mai necessaria per Woods e la sua azienda, dopo un anno in cui Exxon ha subito una serie di dolorose umiliazioni. Il crollo dei prezzi del petrolio ha fatto affondare le entrate di circa 83 mld di dollari nel 2020 rispetto al 2019 e ha fatto scivolare il titano energetico dal terzo al decimo posto della Fortune 500 di quest’anno, la peggiore classificazione di sempre per Exxon. Ancora peggio: dopo più di venti anni senza un trimestre negativo, l’azienda ha subito una perdita record da 22,4 mld di dollari nel 2020. Di gran lunga il dato peggiore della Fortune 500. Ad agosto Exxon è stata rimossa dal Dow Jones dopo 92 anni consecutivi fra le trenta aziende dell’indice, rimpiazzata dal gigante software Salesforce. Oltre al danno, la beffa: lo storico rivale di Exxon, Chevron (27esima nella Fortune 500 di quest’anno, con un calo di 12 posizioni) ha mantenuto il suo posto nel Dow Jones. Una ctorsaednifdficdileedlalme aanzdiaorgniùi. ASUD5AAPNRNILIEAL21082M1A,GSGIAIOM20O2O1 dy’s che S&P G80l%obal hanno declassato il rating sul debito Exxon per la seconda volta nel giro di un anno. La ragione? Pressioni maggiori sul tema dei cambiamenti climatici, combinate con i livelli di debito p40iù alti della storia di Exxon, risultato di investimenti aggressivi indirizzat2i0all’aumento della produzione di petrolio e gas dell’azienda. Il rapporto debito-capitale è cresciuto dal 16,5% al 27,8% negli ultimi 5 anni e il debito in totale è cresciuto di 21 mld di dollari s–o20lo nell’ultimo ann–o15. ,Q6%uesti passi falsi hanno o–ff2e0r,5t%o il fianco di Exxon a–i40colpi dei critici, che sostengono che le sorti dell’azienda siano in declino da anni. Basta guardare le performance di mercato. Tra gli investitori, Exxon ha goduto a lungo della reputazione di $o5p0e0rmaltdore più affidabile tra le Big
Oil, così pieno di contanti da essere in grado di investire anche durante i pe4r0io0di di crisi, capitalizzando poi in quelli di crescita.
Che lo si ammetta o no, il titolo Exxon era quello su cui si poteva contare. Ma negli ultimi 5 anni le azioni sono pr2e0c0ipitate del 32%, mentre quelle di Chevron sono salite del 6% e l’indice S&P 500 è cresciuto del 102%. Exxon ins10e0gue anche i rivali BP (calata del 16%) e Shell (-21%) nello stesso periodo0di tempo.
La notizia, riportata dal Wall Street Journa20l cu2i0e xxo20n20 e Chevron avevano avutosocuorcnef: preliminari su una possibile fusione, ha sollevato ancora più dubbi sul futuro dell’azienda. Exxon ha rifiutato
di commentare la notizia. A rendere la situazione più caotica c’è il sospetto che la tradizionale visione del mondo di Exxon (in cui la crescita economica è basata sul petrolio) sia diventata finanziariamente instabile, anche profondamente rischiosa, in una nuova era di transizione energetica verso fonti più sostenibili. Mentre altri come BP, Shell e la Total francese hanno dichiarato di volersi impegnare per il raggiungimento di emissioni CO2 net zero entro il 2050 accelerando gli investimenti in eolico e solare, Exxon ha puntato i piedi, volendo investire esclusivamente nel core business petrolifero. Percependone la debolezza, gli investitori ‘attivisti’, guidati da una nuova società di investimenti chiamata Engine No. 1, hanno lanciato una battaglia ‘proxy’ contro la mancanza di strategie energetiche alternative di Exxon. Obiettivo: rinnovare il board dell’azienda con una lista di quattro nuovi consiglieri che, sostengono, possono aiutare a guidare l’evoluzione a lungo rimandata di Exxon. La risposta di Woods ha previsto una serie di iniziative di svecchiamento; in particolare, il lancio di una nuova linea di business per commercializzare le tecnologie a basso impatto ambientale di Exxon. iniziative sono state ricevute con perplessità da molti osservatori, che le considerano come mezze misure, mere distrazioni. Il 26 maggio, Engine No. 1, con il supporto del gigante dell’asset management Vanguard e di altri grandi investitori, si è assicurato una grande vittoria nella battaglia proxy con Exxon, in quella che è stata una settimana storica per gli attivisti contro Big Oil.
Ma i problemi di Woods si trovano anche dentro la stessa Exxon. Il morale aziendale è stato colpito dal piano di licenziamenti che taglierà il 15% del personale, circa 14mila posti di lavoro, contractors inclusi. Dopo 4 anni dalla sua investitura, il Ceo è anche diventato una figura divisiva per molti, secondo le dichiarazioni di attuali ed ex dipendenti di qualsiasi livello e dipartimento. Secondo alcuni, gli manca la sfrontatezza e la spavalderia dei suoi predecessori; secondo altri non ha l’immaginazione necessaria per un vero cambiamento. Woods insiste che la strategia aziendale non poggia sulla crescita dei prezzi del petrolio. Ma sembra che il Ceo stia approfittando del successo di una delle tattiche Exxon per i tempi di crisi: vai avanti e aspetta che il prezzo del barile si alzi. Più in alto arriva il greggio (il prezzo è salito dai 37 dollari della fine di ottobre ai 68 dollari di fine maggio) più si alzano le probabilità di successo. E in un momento in cui l’azienda si trova ad affrontare una pressione verso il cambiamento senza precedenti, nei suoi 135 anni di storia, la domanda più importante è questa: è davvero disposta a cambiare?
WOODS SEMBRA RILASSATO e sicuro di sé. In una conversazione telefonica di inizio aprile con Fortune, riflette sui problemi dell’anno passato. Per quanto doloroso, il 2020 è stato un anno “di svolta” per Exxon, dice, “non solo per quello che è successo con la pandemia e l’economia e la domanda per i nostri prodotti. È stato anche un momento in cui diverse cose sono andate ad incastrarsi perfettamente”. Nell’autunno 2019, il Ceo e il suo team avevano appena completato il piano di riorganizzazione dell’azienda, spiega. E le conseguenze della pandemia hanno spinto tutta la compagnia petrolifera a muoversi più velocemente. “La pandemia ha veramente accelerato i nostri sforzi e dato a tutta l’organizzazione una migliore comprensione di come si lavori in un’emergenza”.
Exxon non sembrava aver bisogno di restauri quando Woods ha preso il posto di Rex Tillerson come presidente e Ceo, il primo gennaio 2017. Infatti, nel primo anno di mandato, l’azienda di Woods ha raccolto un corposo profitto da 19,7 mld di dollari, e il suo ‘ritorno sul capitale speso’, una metrica tradizionalmente molto amata dall’azienda, era del 9%, più del doppio rispetto all’anno precedente.
Ma negli anni precedenti all’addio di Tillerson, andato a ricoprire il ruolo di Segretario di Stato dell’amministrazione Trump, il debito era aumentato velocemente. Ed è diventato presto chiaro come Tillerson avesse lasciato a Woods una situazione particolarmente difficile. Tra i passi falsi di Tillerson: pagare 35 mld di dollari per l’acquisizione della shale company texana XTO nel 2010, durante il grande boom dello scisto bituminoso. Per ricominqueste
ciare a crescere, Woods ha adottato un approccio molto da Exxon: ha deciso di scommettere tutto su progetti che avrebbero pagato una volta risaliti i prezzi del petrolio. Il suo piano di riorganizzazione prevedeva che l’azienda aumentasse le spese da 30 a 35 mld di dollari ogni anno fino al 2025, con un focus su un quintetto di progetti petroliferi particolarmente promettenti, da quello del Bacino Permiano del Texas a quelli in Guyana e Mozambico; il tutto mentre ci si liberava di altri asset. Woods prevedeva che il piano avrebbe portato a un salto da 5 milioni di barili al giorno e a un raddoppio dei profitti entro il 2025.
la pandemia ha cambiato tutto. La domanda globale di petrolio nel 2020 è precipitata di 8,8 milioni
giorno, rispetto al 2019, secondo l’agenzia internazionale per l’energia,
il calo dei prezzi è stato ancora più profondo. Il costo del singolo barile negli scambi è sceso addirittura a un
dollari, nell’aprile 2020.
Woods ha immediatamente tagliato le spese del 30% e ha detto che i costi sarebbero stati ridotti di 6 mld di dollari en2t0r0o0il 2022030.5
Il dividefonndteo: IENEERXGXY tagliato. A differenza di BP e Shell, che heanntnorraidtoettodlieeloxrxocoednolme2o0b2i0la fronte delle perdite, Exxon le ha tenute s$u50ll0emstledsse cifre, addirittura contando sul debito, per finanziarle.
In questo periodo difficile, Woods ha anche faticato a partire con il piede giusto con i lavoratori di Exxon, secondo ex e nuovi impiegati. $I1s8u1,5oimld due predecessori si sono fatti una fama difficile da eguagliare, in questo senso. N20e0l 1999 Lee Raymond ha orchestrato la fusione tra Exxon e Mobil, riunendo due creature della Standard O10i0l di J.D. Rockefeller, e ha guidato la nuova unione fino al 2005. Era un Ceo celebre per essere un duro. E anche Tillerson è stato, a modo suo, un leader deci2so01e0 ca2r0i1s2ma2t0ic14o. W20o ods2,0i1n8ve2c0e2, più riservato, pubblicamsouerncet:eco. to in Exxon, ha studiato ingegneria alla Texas A&M University, è figlio della cultura conservatrice e autoritaria dell’azienda ed era considerato un tipo acuto e deciso, quando gli è stato assegnato il ruolo. Ma il suo stile non è riuscito a convincere alcuni dipendenti e ne ha contrariati altri.
Per fare un esempio, gli impiegati parlano di una disastrosa assemblea, a un anno dalla sua nomina a Ceo. Parlando a braccio, Woods ha difeso il rigido e impopolare sistema di ranking interno degli impiegati, definendolo meritocratico. Secondo chi ha assistito all’assemblea, ha anche raccontato di qguuanaddo un’impiegata, ridotta in lacrime, e che l’anno dopo la stessa impiegata è tornata da lui ringraziandolo per averle dato la chance di seguire nuove opportunità. Alla fine, Woods è uscito da quella riunione con l2’i0mmagine di un capo insensibile e arrogante.
I1n0ternamente, l’evento è stato considerato “un incidente stradale”, dice un ex manager, e la voce si è sparsa velocemente in azienda. Al riguardo, un portavoce Exxon ha fornito la seguente dichiarazione: “Darren continua regolarmente a raenlnaozifoisncaarlsei2e02p0arlare con i dipendenti, a prendere parte alle assem20b10lee,2a0d12 as2c0o1l4tar2e0i feed20b1a8ck e a tenerli in considerazione mentre guida l’azienda”.
non ha penros. o1 tempo in presentazioni. Il 7 dicembre il fondo ‘attivista’, appena nato con 250 mln di dollari in asset qu10otatmi,ohbial lanciato la sua prima vera campagna: l’obiettivo era Exxon. Per10 cominciare, il fondo ha dichiarato che “nessuna azienda nella storia dell’oil&gas è stata più influente”, e che “ormai è chiaro come stiano cambiando sia l’industria sia il mondo30in cui quell’azienda opera. Quindi anche Exxon Mobil deve cambiare”. Il fondo è stato creato a San Francisco da Chris James, veterano degli hedge fund e cofondatore della Partner19f9u5nd2m00a na2g0e0m en2t01e del2l0a And2o0r21 Capital Management. A sostenerlo nella campagna Exxon ci sono alcuni dei maggiori fondi pensione Usa e la tesi di fondo è che nel board of direc
Cifra che corrisponde all’aumento del debito di Exxon registrato nel 2020, con il totale ora a 67,6 mld di dollari. La cedola è rimasta immutata e ci sono stati nuovi investimenti. Il rapporto debito capitale è cresciuto dal 16,5% al 27,8% negli ultimi 5 anni
tors della Exxon non ci sono membri con una conoscenza dell’industria energetica sufficiente a guidare una transizione verde. Gli ‘attivisti’ hanno scelto quattro candidati all’ingresso nel board, tutti con le giuste credenziali, dicono. Un candidato è l’ex Ceo di Andeavor, compagnia petrolifera americana; un altro ha guidato la trasformazione di un gigante energetico finlandese verso le rinnovabili. Si potrebbe considerare la campagna Engine No. 1 come la più importante sfida alla lunga tradizione di ‘scetticismo’ sul cambiamento climatico di Exxon. L’ex Ceo Raymond ha messo in dubbio la validità del cambiamento climatico in più occasioni. Con Tillerson, Exxon ha ammesso pubblicamente che il cambiamento climatico è reale. Ma l’union of Concerned Scientists ha sostenuto in un rapporto che, dietro le quinte, l’azienda stava continuando a finanziare studi faziosi per confondere le acque del dibattito climatico. Exxon dice che il report “travisa deliberatamente” la sua posizione sulla crisi climatica, e che accusa in maniera poco accurata le organizzazioni commerciali come Exxon del “cosiddetto negazionismo climatico”.
Le ombre su Exxon riguardano la sua reputazione, ma anche la sua situazione legale. L’azienda sta attualmente affrontando 20 cause da amministrazioni locali e statali, tutte connesse ai cambiamenti climatici, dice Michael Gerrard, fondatore del center for climate change law della Columbia University. Gerrard sostiene che questo rende Exxon, “di gran lunga”, il maggiore imputato ‘climatico’ degli Stati Uniti. Per adesso, nessuna di queste cause ha avuto successo. Nel 2019, Exxon ha vinto un caso, presentato dal procuratore generale di New York, in cui si sosteneva che l’azienda avesse sminuito i rischi del cambiamento climatico. Lo stesso Woods si è fatto ambasciatore di un approccio più aperto e trasparente verso la crisi climatica. Ha parlato spesso dell’accordo di Parigi del 2015, e le sue sessioni dedicate al tema durante gli incontri con gli investitori sono state così approfondite da stupire, a volte, anche i critici più severi. Durante un incontro annuale di Exxon, Woods ha parlato di ambiente per i primi 20 minuti, dice Kathy Mulvey, direttore della divisione accountability del programma climatico della Union of Concerned Scientists. “Se un alieno fosse piombato in quel momento sulla Terra dallo Spazio”, dice Mulvey, “avrebbe pensato di trovarsi nell’assemblea di un’azienda impegnata a risolvere il cambiamento climatico”.
Ma i critici dicono che questa retorica buona e gentile sul clima non corrisponde ad azioni concrete, da parte di Exxon. Consideriamo, ad esempio, quello che sostiene sui suoi tagli alle emissioni, che sarebbero in linea con l’accordo di Parigi. Gli obiettivi di Exxon (tagliare le emissioni dell’upstream del 15-20% e quelle del metano del 40-50% entro il 2025) riguardano solo le emissioni di progetti seguiti direttamente da Exxon. Nei rapporti annuali alla Sec (i documenti ‘10-k’), l’azienda dichiara che il 13% dei suoi pozzi non sono gestiti direttamente da Exxon. Inoltre, i tagli riguardano solo alle emissioni dirette e all’energia usata da Exxon in quei progetti, cioè le emissioni ‘operative’ o Scope 1 e Scope 2. BP e Shell hanno introdotto dei target Scope 3, che coprono la porzione più grande di emissioni relative all’oil&gas: quelle generate dall’uso dei combustibili fossili per dare energia a automobili e aeroplani. Exxon dice che si limita al reporting Scope 1 e 2 perché sono queste le emissioni sotto il controllo diretto dell’azienda, e perché è chiaro il metodo per documentarle, mentre secondo il gigante petrolifero i dati delle emissioni Scope 3 sono meno concreti, e possono essere fuorvianti. Woods ha trattato con sdegno i target più ambiziosi dei suoi rivali. In una call con gli investitori del marzo
2020 li ha definiti una “gara di bellezza”, ribadendo che vendere asset Oil&gas a “operatori meno efficienti” in realtà “ha peggiorato il problema”. Woods parla invece risolvere il problema in maniera più “olistica”. Rispondendo alle domande sull’approccio dell’azienda al cambiamento climatico, un portavoce di Exxon ha detto che dal 2000 l’azienda ha investito più di 10 mld di dollari in tecnosabin
logia a basse emissioni di gas serra, e ha aggiunto che Exxon “è impegnata nel fare la propria parte nell’affrontare i rischi del cambiamento climatico e nell’essere parte della soluzione”. Un ex impiegato, però, afferma con tristezza che la vera convinzione interna di Exxon è che i clienti abbiano bisogno dei suoi prodotti, che apprezzino l’azienda o no: “Non cerchiamo di abbellire il maiale che vendiamo. Non gli mettiamo neanche il rossetto. Diciamo solo: la pancetta piace a tutti, quindi fate silenzio”. Naturalmente, anche le politiche più sensibili all’ambiente dei rivali europei di Exxon potrebbero non fare la differenza. In un importante report di fine maggio, l’international Energy Agency ha detto che per avere la minima speranza di arrivare a emissioni ‘net zero’ nel 2050 bisogna evitare da subito qualsiasi nuovo investimento in esplorazioni petrolifere, un impegno che nessuno dei giganti petroliferi ha preso.
QUANDO SI PARLA DI COSA dovrebbe fare un titano del petrolio a proposito dei cambiamenti climatici, la conclusione di Exxon è molto diversa. Il primo febbraio, Woods ha annunciato il lancio di un nuovo business, Low Carbon Solutions, per la commercializzazione di tecnologie sviluppate recentemente da Exxon. Si partirà dallo stoccaggio di CO2 della tecnologia Ccs, Carbon capture and storage, un processo in cui l’anidride carbonica prodotta dall’uso e dall’ema
strazione di combustibili fossili viene intrappolata, impedendole di disperdersi nell’atmosfera. Woods ha detto che Exxon investirebbe 3 mld di dollari in Low Carbon Solutions, tra 2021 a 2025. Engine No. 1 sostiene che l’azienda abbia cambiato la sua retorica sui cambiamenti climatici in risposta alle pressioni degli investitori. Ma Woods dice che più semplicemente i tempi erano maturi. Vento e sole, per quanto “importanti”, non sono una “soluzione completa”, dice, e l’azienda lavora alla tecnologia Ccs da anni. L’obiettivo non è solo compensare le emissioni della compagnia petrolifera, ma costruire un nuovo business: vista l’esplosione degli impegni net zero da parte delle aziende, quelle stesse aziende avranno bisogno di un modo per compensare le emissioni, dice Woods. Ma c’è stato anche, ovviamente, un mutamento a livello politico.
“Penso che il cambiamento dell’amministrazione Biden, e l’enfasi che mettono su questo tema, stia accelerando il processo, e abbia fornito a noi le basi per prendere il lavoro fatto sulla tecnologia e sul Carbon capture e trasformarlo in un business a tutti gli effetti”, dice Woods. finora per questa nuova iniziativa non sono stati annunciati progetti oltre a quelli già resi pubblici. Esperti e analisti dicono anche che senza nuovi incentivi, prima di tutto una carbon tax (una possibilità che Exxon ha pubblicamente sostenuto sin dal 2009) non è economicamente conveniente lanciare progetti Ccs negli Stati Uniti.
Exxon non dissente. Quando si tratta di rendere redditizi i progetti Ccs, “direi che gli Stati Uniti non hanno ancora la struttura di incentivi necessaria”, dice Guy Powell, che guida le iniziative Ccs di Exxon dal 2018 e che ora sta aiutando nella gestione di Low Carbon Solutions. “Ma vediamo come potenzialmente il mondo politico possa fornire i giusti incentivi, e le giuste strutture normative e legali, per renderlo possibile”. L’azienda sta parlando con i policymaker, dice Powell, e ha altri progetti in cantiere. Mentre Exxon afferma di essere leader mondiale della cattura di carbonio, i critici dicono che il motivo di questo primato sarebbe comunque controverso: l’approccio dell’azienda è basato sulla ‘enhanced oil recovery’, cioè l’iniezione di CO2 nel terreno viene usata proprio per estrarre altro petrolio, non solo per lo stoccaggio a lungo termine e la riduzione delle emissioni in atmosfera.
Powell dice che, effettivamente, la maggior parte delle iniziative Ccs negli Stati Uniti è finalizzata all’estrazione del petrolio. E che la tecnica, usata dall’industria da decenni, richiede “tecnologie diverse” rispetto allo stoccaggio a lungo termine. Ma sostiene che il risultato finale sia lo stesso. “È un processo diverso, ma il risultato netto è che la CO2 rimane al sicuro sotto terra”, dice Powell. Alcuni analisti del settore sono apertamente scettici circa il valore del nuovo business Exxon. “Non è solo un’idea astratta, ma parliamo comunque di una indicazione di massima, non di un grande cambiamento di spesa”, dice Alastair Syme, un managing director di Citi che
segue Exxon. “Interpreterei l’iniziativa come parte di una strategia di lobbying”.
NEI MESI SUCCESSIVI all’inizio della ‘proxy battle’ di Engine No. 1 contro Exxon, la posta in palio è diventata10 sempre più consistente. In quella che è sembrata una risposta diretta ai n20uovi consiglieri proposti da Engine No. 1, Exxon ha aggiunto tre membri al suo board dall’iniziochdeevrllo’annno, incluso l’ex Ceo della compagnia energetica di Stato della Malesia e l’investitore ‘attivista’ Jeffrey Ubben, fondatore dell’hedge fund di San F40rancisco Valueact Capital.
M1a99l5a ca20m0p ag2n0a di E20n1g ine20n o. 1 h20a21 continuato a raccogliere sostenitori. È stata sostenuta pubblicamente da tre dei più grandi fondi pensione statunitensi (CALPERS, CALSTRS, e il New York State Common Retirement Fund) ma anche da Legal & General, asset manager britannico con più di mille miliardi di dollari in gestione. Quattro importanti proxy adviser, tra cui l’institutional Shareholder Services e Glass Lewis, i due più grandi consulenti di voto negli Stati Uniti, hanno offerto supporto a Engine No. 1 per alcuni dei candidati proposti per il board. In un report di Glass Lewis si legge che “mentre Exxon sostiene di essersi evoluta e di aver mantenuto il suo primato tra le big del petrolio, la nostra analisi rivela che la competitività e i risultati finanziari dell’azienda sono calati, e la strategia per rispondere ai motivi che hanno portato a questo calo delle performance è, in generale, insufficiente”.
La notte prima del voto, la campagna ha riportato un’altra vittoria quando Reuters ha raccontato che Blackrock, il più grande asset manager del mondo, aveva votato per tre dei quattro candidati di Engine No. 1. Il successo del voto sembrava dipendere dal supporto di altri giganti come Vanguard e State Street.
Woods ha sostenuto le sue tesi in maniera decisa. Rispondendo a una domanda da un analista durante la call del primo trimestre, il Ceo ha strenuamente difeso l’expertise dell’attuale board di Exxon, e ha detto che l’azienda ha cambiato la sua relazione con gli azionisti. “Credo che stiamo dando risposte ai feedback che riceviamo”, ha sostenuto.
Il 26 maggio, Engine No. 1 è emersa vincitrice dallo scontro, almeno parzialmente. Dopo una sessione di voto estenuante, Woods ha annunciato che i primi risultati indicavano che almeno due dei candidati Engine No. 1 erano stati eletti. Sono Gregory Goff, ex Ceo della compagnia petrolifera Andeavor, ora di proprietà della Marathon Petroleum, e Kaisa Hietala, una manager che ha guidato la compagnia energetica finlandese Neste nella svolta verso i biocarburanti. Il 2 giugno, Exxon ha annunciato che un terzo membro della sua schiera di candidati stava per essere eletto: Alexander Karsner, senior strategist di X, laboratorio di innovazione di Alphabet, che è stato anche ex assistente del segretario dell’energia durante l’amministrazione di George W. Bush. Al momento in cui andiamo in stampa non è ancora stata diffusa una certificazione del voto definitivo.
Nei giorni precedenti la votazione, Engine No. 1 ha detto che Exxon aveva perso l’occasione di affrontare un dibattito serio su cosa possa essere fatto per i cambiamenti climatici nel lungo termine. Prima della campagna, “l’orgogliosa risposta” di Exxon era “niente”, dice Charlie Penner, capo dell’active management di Engine No. 1 e guida della ‘proxy battle’ contro Exxon. “Ma appena si è presentato il rischio di perdere poltrone nel board, invece di cominciare ad affrontarlo, quel dibattito, hanno solo provato a mettersi la divisa dell’altra squadra – ovvero, la divisa della transizione energetica – per evitarlo”.
Ci saranno cambiamenti concreti in Exxon, dopo la battaglia? Prima del voto, gli osservatori del settore erano divisi. Alcuni dicono che si tratti di un segnale di cambiamento al quale Exxon non è immune. Altri dicono che è probabile che il gigante petrolifero torni a fare i suoi affari, specialmente se i prezzi del barile dovessero continuare ad alzarsi, trascinando con sé il valore delle azioni Exxon. A fine maggio, il titolo era aumentato del 41% dall’inizio dell’anno. Quando si chiede a Woods quali domande i dipendenti Exxon gli rivolgano sul futuro dell’azienda, il Ceo è circospetto. “Le domande all’interno dell’azienda sono molto simili a quelle che arrivano dall’esterno”, dice. “Domande tipo: come evolverà la richiesta di fonti energetiche a minore intensità di carbonio? Quale impatto avrà sull’azienda? E come pensiamo di affrontarlo?”. La risposta, dice in tono rassicurante, è che “il nostro lavoro qui è andare incontro ai nuovi bisogni della società civile. Una cosa che, storicamente, abbiamo sempre fatto”. Solo, non mettetegli fretta.