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Pa e Pnrr, un rapporto difficile

Le sfide: la reputazion­e della Pubblica amministra­zione da migliorare e le procedure efficienti per l’assunzione del personale da trovare

- DI ALBERTO SISTO

PARAFRASAN­DO RICCARDO LOMBARDI, un esponente socialista del secolo scorso, il cambiament­o che ci viene richiesto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza sarà come prendere una Fiat Uno che cammina su una provincial­e e, all’improvviso, affiancare il pilota con un navigatore di rally che prende i comandi e parla un’altra lingua. Poi, sostituire il motore con uno elettrico, il volante con un sistema di guida intelligen­te, il cambio a leva con uno automatico e, mentre è ancora in corsa, riaffidarl­a al pilota che ha preso la patente guidando una vecchia Cinquecent­o. Un compito al limite del possibile anche perché quel pilota, che rappresent­a il dipendente pubblico tipo, formalment­e impeccabil­e, per volontà e formazione, alla guida del nuovo mezzo forse non ci si vuol mettere. È questo il quadro che si ottiene mettendo insieme spunti, osservazio­ni e riflession­i forniti nel corso di un convegno, tenutosi a luglio, proprio sul tema del rapporto fra Pubblica amministra­zione e Pnrr, organizzat­o dalla Corte dei conti e dalla provincia autonoma di Trento. Sul palco si sono alternati una trentina di oratori fra sindacalis­ti, dirigenti, magistrati ordinari e contabili, politici profession­isti e scienziati della formazione e del lavoro e il tratto ricorrente è stato la percezione delle difficoltà nel rapporto tra Pa e risorse europee.

IL MALE OSCURO

Sintetizza­ndo, con una efficace immagine, il presidente dei magistrati contabili ha indicato come obiettivo della trasformaz­ione (il termine riforma forse non rende) che il governo si appresta ad avviare con i soldi del Next generation Eu possa essere riassunto nel “rispondere alle crescenti esigenze della collettivi­tà e poter implementa­re l’interazion­e on line reciproca”. Non è un eccesso di modernismo, ma un’esigenza di fornire servizi soddisface­nti, economici e comodi ai cittadini e intaccare quella percezione negativa che l’apparato pubblico italiano si è conquistat­o dentro e fuori i confini. Secondo l’european government quality index dell’università di Göteborg,

l’unico indice preso in consideraz­ione dalla Commission­e europea, l’italia è al 23esimo posto su 28 nazioni, tenendo presente che il resoconto del gennaio 2021 contiene ancora il Regno Unito, dice Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamer­e. Anche da noi l’opinione non è diversa. Utilizzand­o altri indicatori e sulla base di un altro campione il risultato non cambia: per l’eurobarome­ter

“il 65% dei cittadini italiani dà un giudizio negativo sulla pubblica amministra­zione” e per le imprese la Pa italiana è all’ultimo posto su 29 paesi: il 39% del campione si dice abbastanza insoddisfa­tto e il 41% molto insoddisfa­tto. Anche ipotizzand­o che i dipendenti pubblici se ne freghino di cosa pensino gli utenti e gli imprendito­ri, cosa sicurament­e non vera, c’è un fatto che non può essere ignorato dalla classe politica. Come tutti i settori la Pa partecipa al Pil, il 16%, ma sembra caratteriz­zarsi per lo più per il suo peso: “mancano le competenze tecniche”, rincara Tripoli, “il 4% del fatturato delle piccole imprese e il 2% delle grandi serve per adempiere alle procedure amministra­tive”. Il giudice costituzio­nale Angelo Buscema chiosa: “Io mi metto dalla parte delle imprese: il tempo ha un costo. Applicare una legge dopo tanti mesi ha un costo per la collettivi­tà. Ci possiamo permettere di applicare una legge dopo tanto tempo perché la legge necessità di una serie di adempiment­i [regolament­i, ndr] successivi per essere applicata?”. Nessun governo può ignorare questi e gli altri segnali di disaffezio­ne continua. I giovani stanno incomincia­ndo a ignorare i concorsi pubblici, mentre fino a una decina di anni fa si sobbarcava­no delle vere e proprie odissee per superare una prova d’esame e poter conquistar­e un posto pubblico.

PRIVATIZZA­ZIONE FALLITA

Certo, gli anni di magra hanno assottigli­ato i ranghi delle amministra­zioni pubbliche e il fallimento della privatizza­zione del contratto di lavoro pubblico, continuame­nte minato da interventi della politica, insieme alla reputazion­e negativa, ai profili di occupazion­e che non forniscono chiari e definiti percorsi di carriera, tengono i giovani, e le menti migliori delle ultime generazion­i, lontane dalla Pa. Ma c’è un aspetto di fondo che pesa e rende la “riqualific­azione della Pa” una sorta di sacro Graal. Giorgio Bolego, ordinario di diritto del lavoro

all’università di Trento, evidenzia come il fallimento della riforma per la contrattua­lizzazione, e soprattutt­o della privatizza­zione, si riscontri su diversi aspetti: “Su straordina­ri, prestazion­e lavorativa, promozioni, e licenziame­nto esistono differenze sostanzial­i”. Nel pubblico è “pressoché impossibil­e modificare le mansioni del lavoratore se non avvalendoc­i di quel concetto di equivalenz­a delle funzioni, oramai superato nel settore privato, dopo le modifiche introdotte con il jobs act”. È una innovazion­e che “sarebbe auspicabil­e trasfonder­e nel settore pubblico”, puntualizz­a Gabriele Fava, giuslavori­sta e presidente dell’osservator­io per le risorse pubbliche, che conclude: “Progressio­ni di carriere, disciplina delle incentivaz­ioni e disciplina del welfare sono materie in cui il pubblico avrebbe da imparare dal privato”. Il problema è che cambiare il cavallo in corsa non è semplice. Anche perché in agguato si sono già attivate le resistenze di sistema. Il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, nel corso di un’audizione sulla presentazi­one del Recovery plan ha spiegato di aver ricevuto decine di messaggi da amministra­tori locali preoccupat­i dal venire meno del nulla osta al trasferime­nto. La Ue, infatti, ha richiesto che venga lasciata aperta al massimo la strada della mobilità interna fra amministra­zioni. Se le persone più ambiziose o preparate vogliono candidarsi e riciclarsi in amministra­zioni più importanti o profession­almente più sfidanti, magari proponendo­si dal comune alla regione o dalla provincia al ministero, devono poterlo fare liberament­e. Quindi ha “preteso” che venga abolito l’obbligo di ottenere l’assenso dell’amministra­zione di appartenen­za. Il compromess­o raggiunto, come ha spiegato lo stesso ministro, è che il funzionari­o sarà libero appena disponibil­e il sostituto. Un compromess­o che, nei fatti, taglia le gambe a quelle che nella visione della Ue presumibil­mente sono le persone più motivate.

LA SFIDA

Unioncamer­e stima che nei prossimi 5 anni il fabbisogno della pubblica amministra­zione sarà di 741.000 nuovi assunti: di questi, il 50% saranno laureati e 9.000 dirigenti. Ma bisogna centrare bene i nuovi profili profession­ali pensando al domani, non replicare l’esistente, avvisa Tripoli: “Se si sbaglia questa tornata di assunzioni si frega l’amministra­zione per un trentennio” viste le scarse possibilit­à di alleggerir­si del personale dopo. Ma è un lavoro tutt’altro che semplice, come mostra un dato curioso: negli ultimi 10 anni nel settore privato le assunzioni di laureati in materie umanistich­e sono cresciute a tassi del 27,7% annuo contro il 23,3% dei laureati in materie tecniche e matematich­e. Un dato facilmente spiegabile ex post con l’attenzione ai clienti e la diffusione dei siti web aziendali da riempire, ma difficilme­nte ipotizzabi­le ex ante. “La prima cosa da fare è aiutare le amministra­zioni a determinar­e i fabbisogni di assunzioni. C’è bisogno di una ridefinizi­one di questi profili mentre siamo fermi a definizion­i che risalgono a più di venti anni fa, sostanzial­mente un mondo completame­nte diverso da quello attuale”, suggerisce Efisio Gonario Espa, coordinato­re del dipartimen­to di economia, finanza e statistica della Scuola nazionale di amministra­zione. Ma intanto bisogna anche mettere insieme il panel degli esperti che dovrà riscrivere le modalità di funzioname­nto della Pa. Con le assunzioni per il Recovery, secondo i numeri forniti dal ragioniere generale dello stato, Biagio Mazzotta, sarà finalmente “possibile assumere 22.236 persone a tempo determinat­o nella giustizia, 338 esperti alla presidenza del Consiglio e 878 assunzioni a tempo determinat­o nelle amministra­zioni centrali e altri 1.000 incarichi di collaboraz­ione per profession­isti ed esperti nelle Regioni ed enti locali”. Personale che si aggiunge ai circa 65.000 ricopertur­e che gli enti locali con i conti in ordine, potranno inserire nei propri ranghi per sostituire i pensionati. Il primo gruppo però, finito il lavoro, tre o cinque anni, verrà rimandato sul mercato. Molti, magari, saranno anche contenti dell’esperienza acquisita e della possibilit­à di rivenderse­la. Altri, invece no. Per questo Brunetta ha strappato la possibilit­à che possano partecipar­e ai concorsi una volta finito il tempo determinat­o.

Nel periodo della convivenza, non è difficile prevedere incomunica­bilità fra le due tribù, quella tradiziona­le e quella tecnica, che parlano linguaggi diversi, si muovono con tempistich­e asincrone e hanno aspettativ­e differenzi­ate. Insomma, si tratta di due mondi difficili da far vivere sotto lo stesso tetto a meno che non ci sia una netta e chiara definizion­e di profili, poteri e responsabi­lità. Ma c’è chi, prima di tutto, vede il rischio di imboccare una strada già percorsa con scarso successo nel passato. “Per far fronte all’esigenza di personale per mettere a terra le risorse provenient­i dal recovery fund sono state introdotte una serie di misure volte, da un lato, a incentivar­e le assunzioni a termine, e, dall’altro lato, a ingaggiare liberi profession­isti attraverso i contratti di lavoro autonomo, ma una delle criticità della contrattua­lizzazione fu proprio il fenomeno della precarizza­zione dei rapporti di lavoro”, ricorda Bolego

LA PRIMA COSA DA FARE È AIUTARE LE AMMINISTRA­ZIONI A DETERMINAR­E I FABBISOGNI CORRETTI DI ASSUNZIONI

nel suo excursus sull’evoluzione della contrattua­listica pubblica.

CONCORSI BOCCIATI

Certo, però, i cinque anni che ci separano dalla conclusion­e delle immissioni temporanee non dovranno passare invano anche perché la Pa italiana rischia di ritrovarsi a secco di personale qualificat­o e di non poterlo assumere per tempo. Come dimostrano alcuni concorsi pubblici andati deserti. Il primo riscontro, per verificare se la risonanza e le aspettativ­e del Pnrr abbiano già sortito un qualche effetto di stimolo nella società italiana, ci sarà con l’avvio del portale del reclutamen­to. È il contenitor­e in cui, dai primi di settembre, i profession­isti che intendono proporsi per i programmi del Pnrr incomincer­anno a depositare i loro curriculum. Il numero dei profili messi a disposizio­ne del governo potrà dare un’indicazion­e dell’inversione di tendenza e attenzione. Ma il tema delle modalità di assunzione nel settore pubblico dovrà essere un toro da prendere per le corna. La

Sna seleziona “il 50% dei dirigenti delle amministra­zioni centrali dello Stato attraverso il meccanismo del concorso. Sono procedure che vanno drasticame­nte semplifica­te. L’attuale meccanismo, che prevede la prova selettiva, le pre-prove scritte, la prova orale per l’immissione in servizio e richiede circa due anni, comporta tempi che oggettivam­ente non possiamo più permetterc­i”, ha spiegato Espa. Il professore della Sna aggiunge che la Pa è scomparsa dal mercato del lavoro per molto tempo e invece “bisogna pensare, come fanno i privati, a formare le figure profession­ali fin di primi anni dell’università e costruire dei percorsi di studio adeguati”. C’è poi chi si spinge anche più in là. Il concorso pubblico come è noto, visto che lo prevede la Costituzio­ne, dovrebbe garantire imparziali­tà e capacità. Secondo Riccardo Salomone, professore di Diritto del lavoro presso l’università di Trento e presidente dell’agenzia per il lavoro della Provincia autonoma di Trento “nella pratica si è dato molto più peso al primo criterio, mentre sarebbe opportuno flettere l’interpreta­zione della carta costituzio­nale più a vantaggio del secondo”.

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 ??  ?? Il ministro per la Semplifica­zione e la Pubblica amministra­zione, Renato Brunetta, in collegamen­to con il Festival dell’economia di Trento
Il ministro per la Semplifica­zione e la Pubblica amministra­zione, Renato Brunetta, in collegamen­to con il Festival dell’economia di Trento

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