Pa e Pnrr, un rapporto difficile
Le sfide: la reputazione della Pubblica amministrazione da migliorare e le procedure efficienti per l’assunzione del personale da trovare
PARAFRASANDO RICCARDO LOMBARDI, un esponente socialista del secolo scorso, il cambiamento che ci viene richiesto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza sarà come prendere una Fiat Uno che cammina su una provinciale e, all’improvviso, affiancare il pilota con un navigatore di rally che prende i comandi e parla un’altra lingua. Poi, sostituire il motore con uno elettrico, il volante con un sistema di guida intelligente, il cambio a leva con uno automatico e, mentre è ancora in corsa, riaffidarla al pilota che ha preso la patente guidando una vecchia Cinquecento. Un compito al limite del possibile anche perché quel pilota, che rappresenta il dipendente pubblico tipo, formalmente impeccabile, per volontà e formazione, alla guida del nuovo mezzo forse non ci si vuol mettere. È questo il quadro che si ottiene mettendo insieme spunti, osservazioni e riflessioni forniti nel corso di un convegno, tenutosi a luglio, proprio sul tema del rapporto fra Pubblica amministrazione e Pnrr, organizzato dalla Corte dei conti e dalla provincia autonoma di Trento. Sul palco si sono alternati una trentina di oratori fra sindacalisti, dirigenti, magistrati ordinari e contabili, politici professionisti e scienziati della formazione e del lavoro e il tratto ricorrente è stato la percezione delle difficoltà nel rapporto tra Pa e risorse europee.
IL MALE OSCURO
Sintetizzando, con una efficace immagine, il presidente dei magistrati contabili ha indicato come obiettivo della trasformazione (il termine riforma forse non rende) che il governo si appresta ad avviare con i soldi del Next generation Eu possa essere riassunto nel “rispondere alle crescenti esigenze della collettività e poter implementare l’interazione on line reciproca”. Non è un eccesso di modernismo, ma un’esigenza di fornire servizi soddisfacenti, economici e comodi ai cittadini e intaccare quella percezione negativa che l’apparato pubblico italiano si è conquistato dentro e fuori i confini. Secondo l’european government quality index dell’università di Göteborg,
l’unico indice preso in considerazione dalla Commissione europea, l’italia è al 23esimo posto su 28 nazioni, tenendo presente che il resoconto del gennaio 2021 contiene ancora il Regno Unito, dice Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere. Anche da noi l’opinione non è diversa. Utilizzando altri indicatori e sulla base di un altro campione il risultato non cambia: per l’eurobarometer
“il 65% dei cittadini italiani dà un giudizio negativo sulla pubblica amministrazione” e per le imprese la Pa italiana è all’ultimo posto su 29 paesi: il 39% del campione si dice abbastanza insoddisfatto e il 41% molto insoddisfatto. Anche ipotizzando che i dipendenti pubblici se ne freghino di cosa pensino gli utenti e gli imprenditori, cosa sicuramente non vera, c’è un fatto che non può essere ignorato dalla classe politica. Come tutti i settori la Pa partecipa al Pil, il 16%, ma sembra caratterizzarsi per lo più per il suo peso: “mancano le competenze tecniche”, rincara Tripoli, “il 4% del fatturato delle piccole imprese e il 2% delle grandi serve per adempiere alle procedure amministrative”. Il giudice costituzionale Angelo Buscema chiosa: “Io mi metto dalla parte delle imprese: il tempo ha un costo. Applicare una legge dopo tanti mesi ha un costo per la collettività. Ci possiamo permettere di applicare una legge dopo tanto tempo perché la legge necessità di una serie di adempimenti [regolamenti, ndr] successivi per essere applicata?”. Nessun governo può ignorare questi e gli altri segnali di disaffezione continua. I giovani stanno incominciando a ignorare i concorsi pubblici, mentre fino a una decina di anni fa si sobbarcavano delle vere e proprie odissee per superare una prova d’esame e poter conquistare un posto pubblico.
PRIVATIZZAZIONE FALLITA
Certo, gli anni di magra hanno assottigliato i ranghi delle amministrazioni pubbliche e il fallimento della privatizzazione del contratto di lavoro pubblico, continuamente minato da interventi della politica, insieme alla reputazione negativa, ai profili di occupazione che non forniscono chiari e definiti percorsi di carriera, tengono i giovani, e le menti migliori delle ultime generazioni, lontane dalla Pa. Ma c’è un aspetto di fondo che pesa e rende la “riqualificazione della Pa” una sorta di sacro Graal. Giorgio Bolego, ordinario di diritto del lavoro
all’università di Trento, evidenzia come il fallimento della riforma per la contrattualizzazione, e soprattutto della privatizzazione, si riscontri su diversi aspetti: “Su straordinari, prestazione lavorativa, promozioni, e licenziamento esistono differenze sostanziali”. Nel pubblico è “pressoché impossibile modificare le mansioni del lavoratore se non avvalendoci di quel concetto di equivalenza delle funzioni, oramai superato nel settore privato, dopo le modifiche introdotte con il jobs act”. È una innovazione che “sarebbe auspicabile trasfondere nel settore pubblico”, puntualizza Gabriele Fava, giuslavorista e presidente dell’osservatorio per le risorse pubbliche, che conclude: “Progressioni di carriere, disciplina delle incentivazioni e disciplina del welfare sono materie in cui il pubblico avrebbe da imparare dal privato”. Il problema è che cambiare il cavallo in corsa non è semplice. Anche perché in agguato si sono già attivate le resistenze di sistema. Il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, nel corso di un’audizione sulla presentazione del Recovery plan ha spiegato di aver ricevuto decine di messaggi da amministratori locali preoccupati dal venire meno del nulla osta al trasferimento. La Ue, infatti, ha richiesto che venga lasciata aperta al massimo la strada della mobilità interna fra amministrazioni. Se le persone più ambiziose o preparate vogliono candidarsi e riciclarsi in amministrazioni più importanti o professionalmente più sfidanti, magari proponendosi dal comune alla regione o dalla provincia al ministero, devono poterlo fare liberamente. Quindi ha “preteso” che venga abolito l’obbligo di ottenere l’assenso dell’amministrazione di appartenenza. Il compromesso raggiunto, come ha spiegato lo stesso ministro, è che il funzionario sarà libero appena disponibile il sostituto. Un compromesso che, nei fatti, taglia le gambe a quelle che nella visione della Ue presumibilmente sono le persone più motivate.
LA SFIDA
Unioncamere stima che nei prossimi 5 anni il fabbisogno della pubblica amministrazione sarà di 741.000 nuovi assunti: di questi, il 50% saranno laureati e 9.000 dirigenti. Ma bisogna centrare bene i nuovi profili professionali pensando al domani, non replicare l’esistente, avvisa Tripoli: “Se si sbaglia questa tornata di assunzioni si frega l’amministrazione per un trentennio” viste le scarse possibilità di alleggerirsi del personale dopo. Ma è un lavoro tutt’altro che semplice, come mostra un dato curioso: negli ultimi 10 anni nel settore privato le assunzioni di laureati in materie umanistiche sono cresciute a tassi del 27,7% annuo contro il 23,3% dei laureati in materie tecniche e matematiche. Un dato facilmente spiegabile ex post con l’attenzione ai clienti e la diffusione dei siti web aziendali da riempire, ma difficilmente ipotizzabile ex ante. “La prima cosa da fare è aiutare le amministrazioni a determinare i fabbisogni di assunzioni. C’è bisogno di una ridefinizione di questi profili mentre siamo fermi a definizioni che risalgono a più di venti anni fa, sostanzialmente un mondo completamente diverso da quello attuale”, suggerisce Efisio Gonario Espa, coordinatore del dipartimento di economia, finanza e statistica della Scuola nazionale di amministrazione. Ma intanto bisogna anche mettere insieme il panel degli esperti che dovrà riscrivere le modalità di funzionamento della Pa. Con le assunzioni per il Recovery, secondo i numeri forniti dal ragioniere generale dello stato, Biagio Mazzotta, sarà finalmente “possibile assumere 22.236 persone a tempo determinato nella giustizia, 338 esperti alla presidenza del Consiglio e 878 assunzioni a tempo determinato nelle amministrazioni centrali e altri 1.000 incarichi di collaborazione per professionisti ed esperti nelle Regioni ed enti locali”. Personale che si aggiunge ai circa 65.000 ricoperture che gli enti locali con i conti in ordine, potranno inserire nei propri ranghi per sostituire i pensionati. Il primo gruppo però, finito il lavoro, tre o cinque anni, verrà rimandato sul mercato. Molti, magari, saranno anche contenti dell’esperienza acquisita e della possibilità di rivendersela. Altri, invece no. Per questo Brunetta ha strappato la possibilità che possano partecipare ai concorsi una volta finito il tempo determinato.
Nel periodo della convivenza, non è difficile prevedere incomunicabilità fra le due tribù, quella tradizionale e quella tecnica, che parlano linguaggi diversi, si muovono con tempistiche asincrone e hanno aspettative differenziate. Insomma, si tratta di due mondi difficili da far vivere sotto lo stesso tetto a meno che non ci sia una netta e chiara definizione di profili, poteri e responsabilità. Ma c’è chi, prima di tutto, vede il rischio di imboccare una strada già percorsa con scarso successo nel passato. “Per far fronte all’esigenza di personale per mettere a terra le risorse provenienti dal recovery fund sono state introdotte una serie di misure volte, da un lato, a incentivare le assunzioni a termine, e, dall’altro lato, a ingaggiare liberi professionisti attraverso i contratti di lavoro autonomo, ma una delle criticità della contrattualizzazione fu proprio il fenomeno della precarizzazione dei rapporti di lavoro”, ricorda Bolego
LA PRIMA COSA DA FARE È AIUTARE LE AMMINISTRAZIONI A DETERMINARE I FABBISOGNI CORRETTI DI ASSUNZIONI
nel suo excursus sull’evoluzione della contrattualistica pubblica.
CONCORSI BOCCIATI
Certo, però, i cinque anni che ci separano dalla conclusione delle immissioni temporanee non dovranno passare invano anche perché la Pa italiana rischia di ritrovarsi a secco di personale qualificato e di non poterlo assumere per tempo. Come dimostrano alcuni concorsi pubblici andati deserti. Il primo riscontro, per verificare se la risonanza e le aspettative del Pnrr abbiano già sortito un qualche effetto di stimolo nella società italiana, ci sarà con l’avvio del portale del reclutamento. È il contenitore in cui, dai primi di settembre, i professionisti che intendono proporsi per i programmi del Pnrr incominceranno a depositare i loro curriculum. Il numero dei profili messi a disposizione del governo potrà dare un’indicazione dell’inversione di tendenza e attenzione. Ma il tema delle modalità di assunzione nel settore pubblico dovrà essere un toro da prendere per le corna. La
Sna seleziona “il 50% dei dirigenti delle amministrazioni centrali dello Stato attraverso il meccanismo del concorso. Sono procedure che vanno drasticamente semplificate. L’attuale meccanismo, che prevede la prova selettiva, le pre-prove scritte, la prova orale per l’immissione in servizio e richiede circa due anni, comporta tempi che oggettivamente non possiamo più permetterci”, ha spiegato Espa. Il professore della Sna aggiunge che la Pa è scomparsa dal mercato del lavoro per molto tempo e invece “bisogna pensare, come fanno i privati, a formare le figure professionali fin di primi anni dell’università e costruire dei percorsi di studio adeguati”. C’è poi chi si spinge anche più in là. Il concorso pubblico come è noto, visto che lo prevede la Costituzione, dovrebbe garantire imparzialità e capacità. Secondo Riccardo Salomone, professore di Diritto del lavoro presso l’università di Trento e presidente dell’agenzia per il lavoro della Provincia autonoma di Trento “nella pratica si è dato molto più peso al primo criterio, mentre sarebbe opportuno flettere l’interpretazione della carta costituzionale più a vantaggio del secondo”.