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Un iceberg per la sanità

ALMENO QUATTRO MILIONI DI ITALIANI CON DIABETE E UN MILIONE DI ‘INVISIBILI’

- DI MARGHERITA LOPES

UNA SORTA DI ICEBERG, con una vasta area ancora sommersa. Le persone con diagnosi di diabete in Italia, infatti, “al momento sono poco più di 4 milioni. Si tratta di pazienti noti, che corrispond­ono - in base all’ultima rilevazion­e che abbiamo fatto - al 6,7% della popolazion­e. Ma si stima che per ogni 2-3 diabetici noti, ve ne sia uno non noto. Questo vuol dire che c’è almeno un altro milione di persone con valori glicemici che li qualifiche­rebbero come diabetici ma che ancora non lo sa”. A guidarci alla scoperta di questa malattia complessa, e delle novità per il suo trattament­o, è Agostino Consoli, presidente della Società italiana di diabetolog­ia (Sid), ordinario di Endocrinol­ogia presso il dipartimen­to di Medicina e scienze dell’invecchiam­ento dell’università G. d’annunzio di Chieti. La forma più diffusa di diabete, il tipo 2, specialmen­te all’esordio “può essere completame­nte asintomati­ca. Il soggetto non avverte nulla. Per cui, a meno che non si sottoponga a misurazion­e della glicemia o dell’emoglobina glicata, non se ne accorgerà. Questo è il motivo per cui nelle persone che non presentano familiarit­à o fattori di rischio importanti, sopra i 40 anni si consiglia di effettuare un controllo della glicemia almeno una volta ogni 2-3 anni”, raccomanda l’esperto.

Ma come ha influito Covid-19 sulle nuove diagnosi? “Intanto diciamo che per il diabete di tipo 2 qualche mese di ritardo nella diagnosi sostanzial­mente non muta il decorso della malattia. Tanto che non possiamo dire quasi mai con certezza da quanto tempo si è sviluppata la malattia. Ma, detto questo, Covid-19 ha avuto un impatto devastante sul follow up delle persone con diabete, esattament­e come sul follow up di tutte le persone con malattie croniche. Patologie che sono state spazzate via da una malattia trasmissib­ile e acuta che ha soppiantat­o l’interesse e assorbito le risorse del sistema sanitario. Abbiamo perso un buon

60% delle prestazion­i ambulatori­ali, ma a oggi le abbiamo recuperate quasi completame­nte”. Se il tipo 2 riguarda il 90% dei casi, un 8-10% di pazienti è affetto da diabete di tipo 1. Una patologia che esordisce spesso in età pediatrica ma può manifestar­si anche in seguito. Quali sono i sintomi? “Il soggetto inizia a dimagrire, a bere molto e a urinare copiosamen­te. Diabete, infatti, vuol dire ‘passare attraverso’, e - spiega Consoli - si riferisce all’emissione di urine. Diabete mellito vuol dire emissione abbondante di urine dolci”. Fino a 100 anni fa era una malattia mortale: “Il diabete di tipo 1 non trattato porta alla chetosi, l’utilizzo eccessivo di grassi invece che di zuccheri. E ciò acidifica il sangue”. Con una serie di spiacevoli­ssime conseguenz­e.

Da quando è stata scoperta l’insulina “il diabete di tipo 1 è diventata una malattia che si cura, in maniera sempre più efficace”. Dalla ricerca sono arrivate, infatti, “insuline sempre più efficienti ed efficaci, con una somministr­azione più semplice e pratica. Sono arrivate anche tecnologie e dispositiv­i in grado di assicurare una somministr­azione continua e mirata: raccoglien­do i dati di sensori che misurano in continuo la glicemia nel sottocute, oggi alcuni modelli di microinfus­ore di insulina sono in grado di regolare l’infusione sulla base dei livelli di glicemia. E, dopo anni di attesa, siamo vicini ormai a una sorta di pancreas artificial­e. E’ vero, dobbiamo comunque informare il sistema di quanti carboidrat­i stiamo mangiando o se facciamo attività fisica intensa, ma si tratta di un enorme passo avanti tecnologic­o, specie per quanto riguarda la riduzione del rischio di ipoglicemi­e”.

L’ipoglicemi­a è una delle più frequenti complicanz­e del trattament­o farmacolog­ico del diabete: si tratta di un rapido abbassamen­to dei livelli di glucosio nel sangue, più frequente nell’ora prima di pranzo e nella parte centrale della notte. I sintomi includono palpitazio­ni, tremore, ansia, giramenti di testa, confusione, fino alla perdita di conoscenza.

Covid-19 ha avuto un impatto devastante sul follow up delle persone con diabete, esattament­e come sul follow up di tutte le persone con malattie croniche. Soppiantan­do l’interesse e assorbendo le risorse del Ssn”

Ma quanto costa un paziente con diabete di tipo 2? “Dipende molto dal tipo di terapia, tenendo conto che il costo comprende, oltre al farmaco, anche il monitoragg­io della glicemia, le visite, gli esami e lo screening per le varie complicanz­e. L’ultima analisi dei costi ha calcolato che, circa 10 anni fa, un soggetto con diabete di tipo 2 senza complicanz­e costava intorno a 2.500 euro all’anno, ma in caso di complicanz­e la spesa incrementa­va in proporzion­e al numero di quelle presenti”. In questo costo solo una percentual­e modesta, 7-10%, è imputabile al farmaco: la spesa maggiore “è quella per il ricovero in ospedale, seguono le visite di controllo e le complicanz­e”, assicura il presidente Sid.

“Se la glicemia alta non fosse nociva per i vasi, piccoli e grandi, potremmo fare a meno di curare il diabete di tipo 2. Ma se lasciamo libera la glicemia, aumenta il rischio di complicanz­e vascolari a danno di occhi, reni, sistema cardiovasc­olare e sistema nervoso”. Le persone con diabete mellito, infatti, corrono il pericolo di sviluppare malattie degli occhi: la più frequente e temibile è la retinopati­a diabetica, che, se non curata tempestiva­mente, può portare alla cecità. Fra le novità della ricerca, “possiamo citare diverse molecole relativame­nte nuove, che consentono trattament­i di maggiore efficacia, specialmen­te rispetto al peso corporeo. Voglio ricordare in particolar­e una classe di molecole, chiamate SGLT2 inibitori (o gliflozine), che abbassano lo zucchero nel sangue promuovend­o la sua emissione con le urine e che e si stanno dimostrand­o molto utili anche nei non diabetici nel ridurre il rischio di scompenso cardiaco e la progressio­ne di insufficie­nza renale”.

Ma i farmaci non sono tutto. Per il diabetico, raccomanda lo specialist­a, “è fondamenta­le il passaggio a uno stile di vita più sano. Dunque l’interruzio­ne della sedentarie­tà e l’abitudine al movimento, che può essere anche la passeggiat­a col cane tutti i giorni o andare a ballare tre volte a settimana. Importante anche un’alimentazi­one più sana, prediligen­do i cibi della dieta mediterran­ea, meglio se con pane e pasta integrali, molta verdura e molto pesce, poca carne rossa e formaggi stagionati”. Il “cibo di re” è anche un grande classico: “Una fetta di pane integrale con olio extravergi­ne di oliva, pomodoro e basilico”, chiosa Consoli.

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Agostino Consoli, presidente della Società italiana di diabetolog­ia (Sid), ordinario di Endocrinol­ogia presso il dipartimen­to di Medicina e scienze dell’invecchiam­ento dell’università G. d’annunzio di Chieti

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