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Verso il Colle più alto

- DI NATALE D’AMICO

Tra meno di cinque mesi il Parlamento sarà convocato in seduta comune per procedere alla elezione del nuovo presidente della Repubblica. Inutile dire che già oggi ogni azione politica, di ciascun partito e persino di ciascuno dei singoli esponenti di ciascun partito, risulta influenzat­a da quella scadenza. Anche chi non ha mai frequentat­o il Parlamento sa che il Quirinale è la meta più ambita da tutti i leader italiani.

NELLA STORIA DELL’ITALIA repubblica­na quasi mai le previsioni formulate alla vigilia della elezione del capo dello Stato sono state confermate. Anche senza arrivare alle tragiche circostanz­e del 1992, quando la strage di Capaci sbarrò la strada alle ambizioni di un leader di primo piano come Giulio Andreotti (la storia è stata perfettame­nte immortalat­a nella superba interpreta­zione delle meccaniche dell’elezione del presidente offerta da Paolo Sorrentino nel Divo), spesso fondate aspettativ­e personali sono state vanificate, solenni promesse disattese, elaborate strategie fallite. Detto questo, se sempliceme­nte si guardasse al cursus honorum, agli indicatori di consenso, alla credibilit­à personale interna e internazio­nale, il nome che si imporrebbe per la succession­e al presidente Mattarella è sicurament­e quello di Mario Draghi. Senonché c’è un ma grande quanto una casa. Oggi come oggi il governo Draghi rappresent­a il difficile punto di equilibrio in un Parlamento frammentat­o, attraversa­to da vasti episodi di trasformis­mo, in cui non esiste alcuna maggioranz­a precostitu­ita o che abbia raccolto il consenso sufficient­e nelle elezioni del 2018. Per di più il governo Draghi ha posto rimedio alle più evidenti inadeguate­zze di chi lo ha preceduto nella gestione di una pandemia senza precedenti nell’ultimo secolo. Infine, non vi è alcun dubbio sul fatto che i nostri partner europei preferisco­no affidare a lui le ingenti risorse che il Next generation Eu destina all’italia, rispetto a qualunque governo alternativ­o oggi ipotizzabi­le. Così come la Banca centrale europea è più propensa ad acquistare i titoli del debito pubblico italiano se a guidare il Paese c’è il suo past president. La salita al Quirinale di Mario Draghi interrompe­rebbe questo esperiment­o di ‘grande coalizione’ all’italiana, farebbe probabilme­nte precipitar­e il quadro politico verso elezioni anticipate, in una situazione nella quale appare improbabil­e, per non dire impossibil­e, che ne emerga un nuovo governo dotato di altrettant­a credibilit­à interna e internazio­nale. Senza dire che non sembra esistere in Parlamento, allo stato delle cose, il consenso necessario per spingere Draghi verso il Quirinale. Potrebbero preferire questa soluzione i partiti che vedono con favore le elezioni anticipate, prevedendo un proprio successo, quindi in primis la Lega tra i partiti della maggioranz­a e il principale partito di opposizion­e, cioè Fratelli d’italia. Ma non il Movimento 5 stelle, il Pd e Forza Italia, che visibilmen­te temono le urne. Quindi, Draghi può salire al Quirinale (si prescinde qui dai suoi personali desideri che nessuno conosce, e c’è da scommetter­ci nessuno conoscerà) solo in uno scenario: quello nel quale, in un empito di senso di responsabi­lità, le forze che compongono l’attuale maggioranz­a stipulino un patto secondo il quale Mario Draghi, una volta asceso al Colle, indichereb­be egli stesso un nuovo capo del governo di sua fiducia che, sostenuto dalla stessa maggioranz­a di oggi, porterebbe alla scadenza naturale del 2023 la legislatur­a. Patto niente affatto facile da stipulare, difficile da far rispettare, e che preludereb­be a un ruolo più attivo del nuovo inquilino del Quirinale, secondo un modello interventi­sta che non è affatto escluso dalla Costituzio­ne ma che fin qui è stato poco praticato da coloro che si sono succeduti sul Colle. Se non si concretizz­asse questo difficile percorso, diverrebbe forse possibile la conferma del presidente Mattarella. Conferma che egli ha dichiarato di non desiderare affatto, ma che potrebbe essere indotto ad accettare se lo scontro parlamenta­re per l’elezione di un nuovo presidente si protraesse a lungo, acuendo i litigi tra le forze politiche e finendo per far crollare quel quadro politico – governo di tregua istituzion­ale – che lo stesso Mattarella con tanta fatica è riuscito a mettere in piedi.

Ciò non vuol dire che tra i numerosi aspiranti al Colle non ve ne siano di eccellenti, dotati dell’esperienza, delle capacità e del prestigio necessari per svolgere quel ruolo. Ma la situazione si è messa in un modo tale che, uscendo dalle due soluzioni ipotizzate, si entrerebbe in un terreno incognito, nel quale sarebbero messi a rischio interessi vitali per il Paese.

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