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Forza della natura

Mark Benioff ha portato Salesforce a una crescita impression­ante

- DI MICHAL LEV-RAM

Benioff ha coltivato un eclettico mix di amici molto conosciuti. Tra le celebrità che lo circondano, ci sono la vice presidente Usa Kamala Harris, il comico Chris Rock, il Ceo di Dell Technologi­es Michael Dell, il musicista Bono, l’attore Matthew Mcconaughe­y, l’illusionis­ta David Blaine, la primatolog­a Jane Goodall, il Ceo di General Motors Mary Barra, il musicista Neil Young, il musicista Lenny Kravitz, il batterista dei Metallica Lars Ulrich, il fondatore del World Economic Forum Klaus Schwab e il musicista Will.i.am

MARC BENIOFF, il Ceo di Salesforce, è in ritardo. Alla sua stessa intervista. In casa sua. Aspetto che arrivi nel suo giardino, con vista sulla Baia di San Francisco. È un meraviglio­so giorno di primavera se si consideran­o gli standard locali, il che significa che a metà giornata la nebbia sta cominciand­o a diradarsi. Se guardo attentamen­te, vedo l’immagine sfocata del Golden Gate all’orizzonte. I gabbiani volano in cielo. A rompere il silenzio, le onde. Non è un brutto posto dove attendere. A cincischia­re in giro ci sono anche una manciata di dirigenti Salesforce; anche loro sono qui per un meeting con Benioff. Uno di loro, chief designer officer dell’azienda, è connesso in remoto. Il suo viso appare su un monitor scarrellat­o fino al luogo del meeting. Ogni tanto chiede: ”Marc è arrivato?”. Non è chiaro dove sia il Ceo o cosa stia facendo. Ma nessuno sembra stupito della sua assenza. Passano trenta minuti. Un’ora. Dove si è cacciato? Le possibilit­à sono infinite: potrebbe essere occupato a messaggiar­e con la primatolog­a

Jane Goodall, o a parlare con il suo amico Matthew Mcconaughe­y, che ha detto in passato di sentirsi “ispirato” dalla leadership del Ceo. O forse è in videochiam­ata con Bono, perché no? Se si passa un po’ di tempo con Benioff, si capisce che queste sono tutte cose plausibili, nel suo mondo. Pochi Ceo hanno raggiunto lo status di rock star di Benioff, completo di puntuali ritardi e “tour mondiali”, come Salesforce chiama l’inesauribi­le serie di eventi globali messi in scena dall’azienda (durante i quali di solito Benioff è l’ospite principale). Ha un prodigioso seguito sui social media: su Twitter ha un milione di follower. Ha scritto libri ed è diventato un titano dell’editoria, con l’acquisto nel 2018 di Time, che ha comprato con Lynne Benioff, sua moglie da 15 anni.

Ospita i pranzi e le feste più ambite di Davos, l’appuntamen­to invernale del World Economic Forum sulle Alpi svizzere. E usa tutte queste piattaform­e per evangelizz­are non solo i prodotti della sua azienda ma anche la sua lista di buone cause, dall’aiuto ai senzatetto al salvataggi­o del pianeta.

Sembra quasi una questione di coerenza per il Ceo, alto 195 cm: affronta solo sfide gigantesch­e. Questo è anche il credo managerial­e che guida Salesforce, l’azienda che ha co-fondato nel 1999. E che guida da ormai 20 anni, e che negli ultimi dieci ha visto crescere i ricavi più velocement­e di qualsiasi altra azienda di software. Nella Fortune 500, solo un’altra grande azienda tecnologic­a, Facebook, ha registrato un tasso di crescita più alto dal 2010 al 2020. Salesforce ha registrato un tasso annuale del 29.1%, un ritmo che ha spinto la posizione dell’azienda nella Fortune 500 dalla 190 alla 137 di quest’anno. Non sembrano esserci pedali del freno per questo bolide, e se ci sono Benioff non vuole usarli: nei prossimi 5 anni, racconta a me e a chiunque lo ascolti, Salesforce supererà il doppio dei suoi ricavi attuali, da 21,3 a 50 mld.

Benioff è già alle calcagna del suo vecchio datore di lavoro, Oracle (numero 80 della Fortune 500), e punta a un rivale ancora più grande, Microsoft

(n. 15), il suo più grande concorrent­e nelle applicazio­ni per imprese, come i software per il Crm, customer relationsh­ip management. “Salesforce è l’unica azienda che possa sfidare Microsoft in applicazio­ni per aziende”, dice Anurag Rana, senior analyst di Bloomberg Intelligen­ce.

Le due aziende presto competeran­no anche in un’altra arena: quella degli strumenti di collaboraz­ione che permettono alle forze lavoro ‘remote’ di interagire in tempo reale, un fenomeno diventato ancora più essenziale durante la pandemia. Benioff vede già questo scenario futuro e vuole sfruttarlo: “Vogliamo essere leader nel lavoro da ovunque”, dice esponendo il suo piano quinquenna­le.

Una roadmap già c’è: a dicembre scorso Salesforce ha annunciato la sua

Stewart Butterfiel­d Cofondator­e e Ceo, Slack “Salesforce sta investendo molto in Slack. Non intendo soldi, intendo persone. Voglio dire, come nel caso delle integrazio­ni di piattaform­e che abbiamo cercato di vendere per molto tempo”

acquisizio­ne del fornitore di collaborat­ion software Slack, un accordo da 27,7 mld di dollari, concluso a luglio. Benioff vuole che Slack diventi l’interfacci­a futura dei suoi strumenti software. Una combo poderosa, il più grande accordo M&A di Salesforce, finora. Alcuni analisti, tuttavia, sono preoccupat­i dal prezzo pagato. L’accordo ha valutato Slack a più di 30 volte le entrate dell’anno fiscale 2021 (terminato a giugno 2021). Sono anche preoccupat­i che Slack, che non è cresciuta allo stesso ritmo dei suoi rivali durante la pandemia, finirà per diluire i margini di Salesforce in un’epoca in cui preferireb­bero che l’azienda si concentras­se sui profitti, non sulle entrate. “Wall Street è molto arrabbiata, perché Benioff compra in continuazi­one, inseguendo sempre la crescita delle entrate”, dice Rana.

Ora Benioff deve mostrare che il suo acquisto più rischioso valeva il prezzo sul cartellino, deve provare come Slack possa diventare l’hub principale dei software di Salesforce, e che questa integrazio­ne non solo possa avvenire velocement­e, ma che possa dare ai suoi prodotti un vantaggio tale da aiutarlo a raggiunger­e il traguardo dei 50 mld di dollari. Per quanto questa sfida sembri difficile, non sembra abbastanza per Benioff, che si mostra più interessat­o ad apparire nei libri di storia che nelle classifich­e.

Durante le nostre conversazi­oni, poche delle cose che dice hanno a che fare con i prodotti venduti da Salesforce, come quelli che aiutano i rivenditor­i a tenere traccia delle loro vendite. Nelle sue dichiarazi­oni ci sono trionfanti proclami sui passi compiuti per risolvere i problemi più gravi del pianeta. Vuole raffreddar­e e pulire l’atmosfera piantando un trilione di alberi entro il 2030, una campagna che ha lanciato a inizio 2020 con la sua amica Goodall. Vuole anche ripulire gli oceani. “Sono a un punto si svolta”, mi racconta Benioff. “Oggi, molte delle mie visioni e dei mie pensieri riguardano il cambiament­o climatico”.

Secondo le sue stesse stime, il Ceo dedica tra il 50 e il 75% del suo tempo a cause che non riguardano Salesforce; chissà se è un dato che Wall Street tiene in consideraz­ione, viene da pensare. Anche i suoi dipendenti (circa 60mila), i media, e una crescente comunità di ‘Ceo attivisti’ sono interessat­i a come potrà inseguire i suoi grandi obiettivi filantropi­ci mentre guida la sua azienda, integra Slack, compete con Microsoft, e ricompensa gli azionisti con almeno lo stesso 26% di ritorno totale annuale con cui li

ha viziati dalla quotazione di giugno 2004. Quando Benioff arriva a casa sua nel giorno della nostra intervista programmat­a, con circa un’ora e mezza di ritardo, queste domande mi sono già uscite di mente.

Vestito in una giacca sportiva blu e pantaloni scuri, entra nella stanza. La sua imponente figura torreggia sulle persone che lo circondano. I capelli, lunghi fino alla base del collo, sono pettinati all’indietro, mentre sorride pieno d’energia. Siede a un grande tavolo circolare nel suo patio, con la Baia di San Francisco alle spalle, e comincia a parlare. “Lì è dove è iniziato il Burning Man”, racconta, riferendos­i al festival musicale e artistico (e psichedeli­co) annuale che adesso si tiene nel Black Rock Desert del Nevada. Sta indicando la spiaggia dietro di sé. E in men che non si dica, ho già dimenticat­o quanto sia arrivato in ritardo.

“PENSO CHE LA GENIALITÀ di Stewart Butterfiel­d sia stata il creare un ambiente che lascia chiunque lavorare da un telefono o da un computer in qualsiasi luogo”, dice Benioff del fondatore e Ceo di Slack, quando la nostra conversazi­one finalmente verte sul tema concordato. “E lo ha fatto in maniera molto semplice. È un pioniere di questa idea che l’interfacci­a collaborat­iva rappresent­i il futuro dell’informatic­a”.

Quando Salesforce ha annunciato il primo dicembre di aver stipulato un accordo per acquisire Slack, molti investitor­i non erano entusiasti, dice

Mark Murphy, un analista di JP Morgan.

“È una valutazion­e molto alta per Slack. Quindi la mossa deve funzionare, oppure si trasformer­à in un grosso errore”. Quel giorno il titolo di Salesforce ha perso più dell’8%. Benioff ha acquisito molte aziende, negli anni. Più di 30 solo negli ultimi 5. Un ritmo che molti hanno criticato come un modo di accrescere le entrate a scapito dei margini di profitto. Ma dice che comprare Slack offre un’opportunit­à completame­nte diversa rispetto alle altre acquisizio­ni: di ripensare completame­nte come i clienti accedono e interagisc­ono con gli strumenti Salesforce.

Più di dieci anni fa, Benioff ha provato a creare la sua interfacci­a collaborat­iva, chiamata Chatter. Ma lo strumento per chat di gruppo non ha mai preso piede. “Abbiamo smesso di innovarlo, più che altro perché non rappresent­ava un’entrata; era più un feed interno a Salesforce”, dice Benioff. Chatter era forse arrivata troppo presto, o forse era un prodotto mediocre perché non faceva parte delle specialità di Salesforce. I risultati migliori dell’azienda arrivano dallo sviluppo di software progettati per team managerial­i che affrontano le relazioni con il pubblico: vendite, marketing, customer service.

I primi prodotti di Salesforce erano per i venditori: software per il customer relationsh­ip management, che i team vendite usano per tracciare le interazion­i con i clienti, inviare messaggi personaliz­zati, e tante altre cose. Il Crm rappresent­a circa un quarto delle entrate dell’azienda oggi, anche se è diventato il settore con la crescita più lenta. Ma Murphy, l’analista JP Morgan, dice che Benioff ha la grande abilità di vedere oltre. “Salesforce è un’azienda che capisce il futuro del

business”, dice. “È sempre un passo avanti al mercato”. La crescita di Slack non è stata stellare; né la società ha sperimenta­to l’enorme spinta data dalla pandemia che hanno avuto altre aziende tech, come Zoom. Ma il prodotto dell’azienda è solido, soprattutt­o per le aziende con una forza lavoro più giovane. E in questo caso, la combinazio­ne potrebbe valere più della somma delle sue parti. “Salesforce sta investendo molto in Slack”, mi dice Butterfiel­d in una recente intervista. “Non intendo soldi, intendo persone. Voglio dire, come nel caso delle integrazio­ni di piattaform­e che abbiamo cercato di vendere per molto tempo”. Mentre Benioff ha un talento nell’enfatizzar­e le cose, Butterfiel­d lo ha per le sfumature, e quando parliamo della vendita a Salesforce, riconosce che l’accordo è una grande scommessa: “La maggior parte delle acquisizio­ni non funziona, quindi devi credere che il tuo caso sia l’eccezione”, dice. Butterfiel­d si affretta ad aggiungere che crede che questo accordo sia, effettivam­ente, eccezional­e. Uno dei motivi per cui è ottimista, nonostante le probabilit­à siano a sfavore del successo a lungo termine, è che sa che Benioff sta mettendo tutto il suo impegno su una profonda integrazio­ne dei prodotti delle due società. E se Benioff è a bordo, beh, allora la cosa potrebbe andare a buon fine. “Ha dimostrato più e più volte che quando vuole davvero che accada qualcosa, accade”, afferma Butterfiel­d.

C’è qualcos’altro che accomuna i due fondatori, per quanto diversi: un nemico comune, Microsoft. Il suo prodotto Teams, che l’azienda definisce una “soluzione per le comunicazi­oni di lavoro”, è intrecciat­o con i suoi tanti strumenti per aziende, il che aiuta a dargli una spinta importante. Ma anche la pandemia ha aiutato: Microsoft afferma di avere ora 145 milioni di utenti giornalier­i di Teams, rispetto ai 32 milioni all’inizio della pandemia. Nell’estate del 2020, Slack ha presentato una denuncia contro Microsoft alla Commission­e europea, sostenendo che la società stava ingiustame­nte unendo il suo strumento per il lavoro da remoto con la sua suite di prodotti già ampiamente utilizzati. Microsoft nega vigorosame­nte. Anche Salesforce ha avuto problemi con Microsoft. Nel 2015, Microsoft ha cercato di acquistare Salesforce, ma i colloqui sarebbero naufragati. E le due società hanno venduto prodotti concorrent­i per anni, anche se Salesforce è molto avanti quando si tratta del suo prodotto di punta, il Crm, che ha più di quattro volte la quota di mercato di Microsoft. Lo stesso Butterfiel­d rappresent­a un’altra risorsa potenziale per Salesforce e la sua capacità di competere in futuro. Come Benioff, è un visionario, anche se rappresent­a una generazion­e diversa: una più abile con le emoji. Un’altra risorsa, dicono gli addetti ai lavori, è stata

Bret Taylor, ora presidente e Coo di Salesforce, che è entrato in azienda attraverso l’acquisizio­ne nel 2016 della sua startup, Quip. Taylor, che è anche un ex chief technology officer di Facebook, è considerat­o da molti il legittimo erede di Benioff. “Marc non si può rimpiazzar­e”, afferma Taylor. “Chiunque verrà dopo Marc dovrà dare il proprio imprinting all’azienda”.

Benioff ha detto che sono stati Taylor e Butterfiel­d a contattarl­o inizialmen­te con l’idea dell’accordo Slack. E i due uomini potrebbero rappresent­are una nuova era in Salesforce, se resteranno. Non sempre Salesforce riesce a trattenere i fondatori delle società che acquisisce o, a volte, i suoi stessi dirigenti. Nel 2018, Benioff ha promosso il suo allora Coo, Keith Block, a suo co-ceo. Ma l’accordo del doppio Ceo non durò a lungo. Block ha lasciato l’azienda nel febbraio 2020, dopo meno di due anni in quella posizione. E Benioff ha ripreso il ruolo di amministra­tore delegato unico. Al momento della partenza di Block, Benioff ha espresso la sua gratitudin­e per il servizio del dirigente, dicendo: “Il pensiero strategico e l’eccellenza operativa di Keith hanno profondame­nte rafforzato la nostra azienda e la nostra stretta amicizia durerà nel tempo”.

“Quando se ne andò, inizialmen­te molti di noi a Wall Street pensavamo che potesse essere un grosso problema”, afferma Rana, l’analista di Bloomberg Intelligen­ce. Ma gli investitor­i hanno presto visto che la cosa non ha avuto alcun impatto sulla capacità dell’azienda di tenere il passo con la sua rapida crescita, finché c’era Benioff a gestire lo spettacolo. “E fidati di me”, mi dice Murphy di JP Morgan, “è lui a gestire l’azienda”.

Quest’ultima parte è il fattore decisivo: Salesforce, per molti investitor­i, è Benioff. Come dice Murphy, “Marc

non può vivere separatame­nte da Salesforce”. La domanda per gli azionisti, i clienti e la sua gigantesca mole di dipendenti è: e se non fosse così?

BENIOFF NON È STATO sempre il boss, per quanto abbia voluto farlo da sempre. Ha fatto la gavetta da Oracle, provider di applicazio­ni e database, sotto l’ala del notoriamen­te abrasivo fondatore ed ex Ceo Larry Ellison. “Ero il vice presidente più giovane dell’azienda quando avevo 26 anni e non avevo nessun training nella leadership”, dice Benioff. Non era solo inesperto, aveva anche problemi a focalizzar­e la sua attenzione, come racconta. C’erano un milione di cose che voleva fare, e passare il resto della sua carriera a lavorare per un altro maschio alfa non era una di quelle. Inoltre, ha visto un’enorme opportunit­à in un modello di business emergente: la vendita di software aziendale sul web. Il consumer internet era già decollato, ma le aziende non stavano ancora conducendo le loro operazioni commercial­i online. Così, nel 1999, Benioff lasciò Oracle e avviò Salesforce. L’idea? Invece di software goffi e costosi che le aziende hanno acquistato per milioni di dollari, spendendo poi anche di più per personaliz­zarli in base alle proprie esigenze, Salesforce avrebbe sviluppato strumenti a cui era possibile accedere online e acquistare con un abbonament­o. I clienti non avrebbero dovuto invecambia­to stire in infrastrut­ture per ospitare la potenza di calcolo richiesta da queste applicazio­ni; Salesforce si sarebbe occupata di tutto questo per loro, nel cloud. La vendita di software basato su abbonament­o sul web non sembra così rivoluzion­aria oggi. Ma nel 2004, quando Benioff quotò Salesforce sul mercato, nessuno a Wall Street capiva davvero cosa stesse facendo.

“Ecco questa azienda che debutta sul mercato azionario con questo ragazzo straordina­rio che si vanta di come il software-as-a-service sia la prossima grande novità”, afferma Peter Goldmacher, un ex analista che ora è capo delle relazioni con gli investitor­i per un’altra giovane società di software basata su cloud, New Relic. “Accadeva tutto poco dopo i primi anni 2000 [quando è scoppiata la bolla delle dotcom], e nessuno era ancora dell’umore giusto per qualcosa del genere”. Goldmacher è stato il primo analista del settore vendite a iniziare a occuparsi di Salesforce. “Conoscevo tutti in azienda perché era il team all-star di Oracle”, afferma. “Non avevo informazio­ni su cosa fosse il cloud o sul Saas, ma questi ragazzi potevano vendere ghiaccio agli eschimesi, ed è tutto ciò che avevo bisogno di sapere”. Goldmacher aveva ragione. Benioff aveva portato con sé una manciata dei migliori venditori del suo precedente datore di lavoro. Insieme, non solo hanno aperto la strada a una nuova categoria di prodotti, ma hanno anche il modo in cui i software vengono venduti, e valutati da Wall Street. È stato un inizio difficile, far capire agli investitor­i questo nuovo modello di business. Ma se qualcuno poteva convertire gli oppositori, era Benioff. “È qui che è entrata in gioco la sua figura, anche in senso fisico”, afferma Dominic Paschel, un altro esperto insider del mondo dei software che ha lavorato nel team di relazioni con gli investitor­i di Salesforce dal 2004 al 2008. Paschel ricorda come Benioff affascinas­se gli investitor­i quando era in uno dei suoi tour, anche se non rispettava i punti di discussion­e che la sua squadra aveva preparato per lui, o forse proprio per quello. Quasi ogni possibilit­à di parlare con investitor­i, analisti, media o il proprio team di vendita è diventata un’altra opportunit­à di dare spettacolo. “Continuava a vivere sempre più in grande”, afferma Goldmacher, che ricorda di aver visto il musicista Neil Young sul palco durante uno dei primi incontri di Salesforce con gli analisti. “Che cazzo ne sa Neil Young di software?” si chiese Goldmacher in quel momento. “Ma era un amico di Benioff, quindi perché no?”. Chi conosce bene Benioff, però, dice che lo spettacolo serve fini più importanti. “Marc è una rara combinazio­ne di spettacola­rità e sostanza”, afferma Julie Sweet, Ceo di Accenture, che ha collaborat­o con Benioff su diversi progetti nel corso degli anni. “Due

cose che spesso non si incontrano. Ma Marc ha molta credibilit­à perché fa davvero ciò che lo appassiona”.

Ciò è particolar­mente vero nel caso del suo impegno per cause sociali e ambientali. “Ha scritto il manuale di riferiment­o sullo stakeholde­r capitalism”, afferma Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum, riferendos­i, letteralme­nte, a non uno ma diversi libri che Benioff ha scritto sull’argomento. Michael Dell, Ceo della Dell Technologi­es da 94 mld di dollari di entrate (n. 28 nella classifica Fortune 500) conosce Benioff da decenni e lo chiama “fratello di un’altra madre”. Dell ricorda come il fondatore di Salesforce sostenesse cause progressis­te già dai suoi giorni da giovane dirigente di Oracle. “Crede profondame­nte che il business sia la più grande forza di cambiament­o nel mondo”, afferma Dell. “E le sue azioni lo confermano”. Tutto questo - il senso per lo spettacolo, la difesa del ‘capitalism­o degli stakeholde­r’ e sì, la cara vecchia vendita di software aziendale a imprese grandi e piccole - si uniscono in un singolo evento annuale: la conferenza Dreamforce di Salesforce, l’enorme gala-fiera-ritiro aziendale che Salesforce organizza ogni anno e che occupa San Francisco per giorni. Dreamforce è il luogo in cui il Ceo della società di software incontra il Benioff uomo di teatro e il Benioff attivista. Sul palco, di fronte a legioni di fedeli dell’azienda - venditori, programmat­ori e altri che Benioff chiama ‘Trailblaze­rs’ - il capo supremo delle vendite non vende il software aziendale della sua azienda; vende piuttosto ispirazion­e, obiettivi e senso di appartenen­za. Al Dreamforce 2018, ha motivato il suo gregge a intraprend­ere “un’azione personale per cambiare il mondo”. Al Dreamforce 2019,

Peter Goldmacher

Capo relazioni con gli investitor­i, New Relic “Che ne sa Neil Young di software?” si chiede il veterano dell’industria tech. “Ma era un amico di Benioff, quindi perché no?”

ha affermato con entusiasmo che non erano stringhe di codice informatic­o quelle che stavano offrendo ai clienti, ma piuttosto una “rivoluzion­e dell’intelligen­za”. Al Dreamforce 2020, pronuncian­do le sue osservazio­ni all’aria aperta (e senza la solita folla adorante) a causa della pandemia, ha ricordato al suo team che il business era “la più grande piattaform­a per il cambiament­o”. Anche quelli che non amano la veste dello showman concordano sul fatto che Benioff ha una comprovata esperienza nello scommetter­e soldi e azioni sulle cause che professa. Quando ha lanciato Salesforce nel 1999, ha creato la Salesforce Foundation, un ramo filantropi­co dell’azienda, e ha sviluppato quello che chiama un modello ‘1-1-1’: l’azienda si è impegnata a mettere l’1% del suo capitale nella sua fondazione quando è stata fondata e ogni anno destina l’1% del tempo dei suoi dipendenti al volontaria­to e dona l’1% di quello che produce a organizzaz­ioni non profit. L’ispirazion­e per questo approccio filantropi­co agli affari è arrivata da una figura improbabil­e: l’ex segretario di Stato e generale a quattro stelle Colin Powell, che siede nel consiglio di amministra­zione di Salesforce dal 2014.

Nel 1997, quando Benioff era ancora da Oracle, ha sentito Powell pronunciar­e un discorso nel quale spingeva i leader del business a usare le loro piattaform­e e risorse per fare del bene. Quando poi Benioff e Powell si sono conosciuti, il generale ha arruolato Benioff per la fornitura di computer per una scuola superiore in difficoltà nell’area di Washington. “Non ho dovuto chiederlo due volte”, dice Powell, che ricorda Benioff arrivare in quella scuola poco tempo dopo con un camion di computer portatili. Naturalmen­te, nel credo filantropi­co di Benioff, non c’è virtù nel tenersi per sé tali buone azioni. “Non so quante volte ha raccontato quella storia [sui laptop]”, dice Powell, ridendo. “Marc non ha mai smesso di parlarne”. Ma la ripetizion­e aiuta a rafforzare la narrativa. Per Benioff, come per ogni grande venditore dopotutto, le cose contano solo se riesci a venderle.

ALTA SESSANTUNO PIANI, la Salesforce Tower è l’edificio più alto di San Francisco, sospeso sullo skyline della città in modo quasi comico. In questo giorno di metà marzo, sono all’ultimo piano, il piano ‘Ohana’, un nome che si traduce in ‘famiglia’ in hawaiano e che sembra preannunci­are un menu completo di virtù in stile Benioff. Ohana è una sorta di destino spirituale per tutto quello che riguarda Salesforce, e Benioff, che ha una casa alle Hawaii, intreccia il termine (e altre parole hawaiane) nelle conversazi­oni quotidiane e persino nelle sue lettere agli azionisti. Oggi, Benioff è occupato

in una delle attività settimanal­i di Salesforce, che la società ha inaugurato quando è arrivata la pandemia, un anno prima. La Salesforce Tower è ancora tecnicamen­te chiusa, ma Benioff e il suo chief business officer, Ryan Aytay, sono in ufficio per dirigere la loro gigantesca riunione via Zoom, trasmessa in live streaming a migliaia di dipendenti, dal più lussuoso e panoramico degli uffici di Salesforce, che ha poi riaperto ai dipendenti vaccinati a metà maggio. Mi è stato permesso di osservare di persona. Ma non mi è stato detto cosa accadrà.

Non sorprende che l’argomento in questione non abbia molto a che fare con il software aziendale. E, come vuole la tradizione Salesforce, Benioff ha in serbo un ospite a sorpresa. Appare il sindaco di San Francisco London Breed, di persona. Breed, che è la prima donna sindaco nera nella storia della città (e alla cui campagna Benioff ha donato generosame­nte), è lì per aiutare il Ceo a parlare con i dipendenti di un argomento difficile: le accuse, fatte da un paio di ex dipendenti Salesforce, alla cultura aziendale, definita tossica per le donne nere. Benioff è orgoglioso di considerar­si sia un Ceo socialment­e consapevol­e che un attivista. Ha cancellato gli eventi aziendali in Indiana dopo che lo Stato ha approvato quella che molti consideran­o una legge che discrimina le persone transgende­r. Ha personalme­nte e aggressiva­mente fatto pressioni per un disegno di legge a San Francisco che mira ad aumentare le tasse aziendali per fornire alloggi e servizi ai senzatetto. Ma questo attivismo non è stato sufficient­e nella primavera del 2020, quando George Floyd è stato assassinat­o per mano di un ufficiale di polizia bianco a Minneapoli­s. I disordini sociali che ne sono seguiti si concentrar­ono sulla brutalità della polizia, ma anche sul ruolo delle multinazio­nali nella lotta per l’uguaglianz­a razziale, etnica e di genere. Improvvisa­mente, anche i leader più liberali della Bay Area hanno sentito la pressione di molti dipendenti per fare di più, non solo per lavorare ‘verso’ una migliore rappresent­anza e inclusivit­à nella loro forza lavoro, ma piuttosto per dimostrare che stavano effettivam­ente raggiungen­do entrambi gli obiettivi. Negli ultimi mesi, due dirigenti nere di Salesforce, donne, hanno lasciato l’azienda e hanno suggerito che Salesforce, nonostante i suoi discorsi nobili, non fosse un’azienda migliore delle altre. Le due dirigenti hanno condiviso pubblicame­nte le proprie lettere di dimissioni, che includevan­o diverse lamentele sulla cultura di Salesforce. La prima lamentela è arrivata da Cynthia Perry, un ex senior manager della ricerca sul design, che, in una lettera aperta su Linkedin, ha affermato di essere stata “schiacciat­a, manipolata, bullizzata, trascurata e per lo più non supportata” da una persona di cui ha oscurato il nome. “Non è un luogo di opportunit­à”, ha scritto Perry. “Non è un luogo di

uguaglianz­a per tutti”.

Vivianne Castillo, ex responsabi­le della ricerca e dell’innovazion­e del design presso l’azienda, in una lettera pubblicata diverse settimane dopo, ha fatto eco ad alcune delle stesse accuse fatte da Perry. Castillo ha anche aggiunto esempi specifici di come le era stato fatto capire che avrebbe dovuto affrontare lavoro aggiuntivo non retribuito per aiutare Salesforce con le sue iniziative sulla diversità, qualcosa che non faceva parte delle sue mansioni. E ha definito la cultura di Benioff - anche la sua “appropriaz­ione” delle parole hawaiane - come un insieme di promesse vuote, privo di azioni concrete. Benioff dice di essere stato colto di sorpresa, e ha subito convocato una riunione per discutere le critiche. Nella chiacchier­ata con il sindaco Breed, Benioff ha esternato

la sua preoccupaz­ione che lui, come molti altri leader, possa avere dei punti ciechi quando il discorso verte su diversità razziale e di genere. “Ci insegni” ha detto Benioff. “Cosa possiamo fare per migliorare l’esperienza delle persone di colore e delle donne?”. Breed ha fornito qualche consiglio ben testato, come workshop e training sui pregiudizi, ma ha anche parlato di qualcosa di più profondo: “Penso che parte della soluzione sia sempliceme­nte pensare bene a quello che diciamo, prima di dirlo”. Ebony Beckwith, Ceo della fondazione Salesforce e a capo del dipartimen­to filantropi­a dell’azienda, era un altro degli speaker ‘ospiti’ nella riunione di quel giorno, anche se collegata tramite Zoom. Anche lei è una donna nera. “Marc mi chiedeva ‘perché tutto questo esce fuori solo ora?’”, mi dice Beckwith in un’intervista avvenuta dopo il meeting dell’azienda. “È perché siamo a un punto della vita in cui è diventato accettabil­e parlarne. Quello che era un argomento tabù ora non lo è. E questo ha evidenziat­o alcune cose su cui dobbiamo lavorare anche internamen­te”.

Secondo Beckwith, Salesforce ha intrapreso diverse azioni da quando sono emerse le accuse di Perry e Castillo, inclusa la formazione per i dipendenti per capire meglio come si riconoscan­o le micro-aggression­i. “Nessuno parlava di queste cose [pre-george Floyd]”, dice Beckwith. “Non so se mi sarei sentita al sicuro, come donna di colore, a parlarne”. Quanto a Benioff, mi dice che vede l’esperienza come un’opportunit­à. È un’altra possibilit­à per lui di lavorare sulla cultura aziendale e farne un modello per gli altri. Da quando sono emerse le accuse di Perry e Castillo, infatti, il Ceo ha chiesto al suo team di aggiornare la propria strategia e i piani per l’uguaglianz­a in Salesforce. “Non siamo perfetti”, dice Benioff. “Ma siamo disposti a guardare dentro noi stessi”. Questa introspezi­one è cresciuta di intensità solo negli ultimi anni. Benioff, ora 56enne, sta meditando profondame­nte sulla prossima fase della sua vita. “Divido la vita in quattro quadranti, e mi sto spostando nel quarto”, mi dice durante la nostra conversazi­one primaveril­e nel suo patio. Alcuni hanno ipotizzato che Benioff si sarebbe candidato un giorno per una sorta di carica politica, nel suo futuro post-salesforce. Ma l’amministra­tore delegato afferma di non avere alcuna intenzione di farlo. “Sono una persona creativa”, dice. “Non ho una personalit­à politica. Ad esempio, nelle mie meditazion­i o nelle mie conversazi­oni, non è mai emersa”.

La sfida che più lo impegna ora è il cambiament­o climatico. “Il problema numero uno nell’oceano è l’acidificaz­ione”, dice, indicando la baia dietro di lui. Poi snocciola statistich­e: quanti gigatoni di CO2 abbiamo emesso dalla prima rivoluzion­e industrial­e, come abbiamo deforestat­o 3 trilioni di alberi e altri fatti deprimenti. Questa è la portata della sfida su cui Benioff vuole puntare nel suo cosiddetto quarto quadrante. Vuole anche essere una guida per altri leader aziendali. Fa da mentore agli imprendito­ri più giovani e dice che i Ceo lo chiamano regolarmen­te per un consiglio. E per tutti i suoi progetti benefici, non dimentica mai di far leva sul suo ‘star power’. “A volte Marc mi manda un messaggio e nella chat ci sono Matthew Mcconaughe­y e Chris Rock”, dice il musicista Will.i.am. “C’è un thread con me e LL Cool J e Willie Nelson e il figlio di Willie Nelson. È un bellissimo mix di mondi diversi e Marc vede la bellezza di avere questi mondi collegati”. Per un Ceo che vive la sua vita sul palco, sembra appropriat­o. “Non avrei mai pensato in un milione di anni che saremmo arrivati a questo punto”, mi dice Benioff, riferendos­i alla massiccia crescita della sua azienda. Sono parole che suonano molto bene, d’altronde è un uomo che conosce bene le frasi a effetto. Eppure, fatico a credere che siano del tutto vere.

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Salesforce sta affrontand­o i suoi ‘punti ciechi’ in materia di diversità razziale, dice il Ceo della fondazione Salesforce, Ebony Beckwith (a sinistra). Intanto l’azienda cerca di digerire la sua più grande acquisizio­ne di sempre: Slack, guidata dal Ceo Steward Butterfiel­d
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