La leggenda di un premio 9° parte
Tanti sono i temi che caratterizzano la poesia di Seccareccia, topoi principali o contestualizzanti come gli incisivi affreschi della natura, esternanti i sentimenti del poeta. Di essi, quello della madre, della vita anche nel suo esito naturale della morte, del locus amoenus, dello spazio, del tempo, dell'amore, dell'amicizia, del viaggio, si è già ragionato. Di questi e di altri che ci arricchiscono e impreziosiscono la sua poesia anche quando essa è prosa, come ad esempio l'emigrazione, il lavoro e il senso del dovere, ci sarà ancora occasione di parlare con più compiutezza. Ora, invece, nellìndividuare l'altro cardine fondamentale riguardo gli affetti familiari, si vuole far riferimento ad un altro topos d'eccellenza, la figura del padre. Chi legge, con meraviglia si rende conto che pochi sono gli scritti a riguardo, anzi a volerli individuare nelle raccolte poetiche “Viaggio nel Sud” e “La memoria ferita” ne compaiono un paio, e meglio uno nella prima silloge “Lettera al padre”, ed un altro nella seconda “Còte de Neiges”. Altrettanto scarsi, sono i passi prosastici quantificabili in una diade, nel libro di narrativa “Partenza da un mattino freddo”. Questo è in sintesi, il tutto paterno della sua produzione letteraria, questo è quanto riesce a manifestare dei suoi ricordi riguardo una figura pur tanto importante per ogni essere umano, e a lui mancata per assenza, ogni giorno ed ogni ora della sua esistenza. E' leggendo queste opere che il lettore capisce quanto esse siano il frutto dei suoi anni cupi, e il perchè da persona riservata pur non timida, per discrezione e per orgoglio nel suo comportamento di grande dignità, volutamente non abbia voluto scarnificarli, perchè fruttiferi solo di tanto dolore. Seccareccia amava studiare gli autori a lui contemporanei e dei tempi passati, e sicuramente loro tramite, ha interiorizzato la figura paterna, che è stata delineata dai tempi più antichi nella letteratura già del mito, che tanto predilegeva leggere, proprio per quelle figure, che interpreti di un ruolo privilegiato per il loro agire, sono divenute archetipe. La lettura degli scrittori della Grecia e della Roma antica altrettanto devono avergli confermato quel sistema patriarcale raggiunto da un padre divenuto riferimento di “valori” degni di rispetto, pur talvolta impartiti con autorità per una forma di potere.
Potere scemato nel tempo, con La Rivoluzione francese nel dettame di quella concenzione di “libertè, fraternitè, egalitè” raggiunta, e con la Rivoluzione industriale con l'accesso al lavoro nelle fabbriche da parte delle donne. Nel '900, negli anni della contestazione sessantottina con ancor più l'affermazione delle donne stesse, la figura paterna è sbiadita ulteriormente, perdendo la sua autorevolezza, determinando quell'allontanamento generazionale tra padri e figli. Seccareccia, non ha vissuto, però, nessuna autorità, nessun conflitto generazionale, né quell'allontanamento tanto sentito già nel romanzo ottocentesco e del '900, di cui palese esempio di sentimento è uno dei suoi scrittori preferiti, Kafka. Seccareccia il suo allontanamento di diverso significato, pertanto, lo vive da subito, già da quegli ignari anni dell'infanzia. Quanto deve essere stato di turbamento il conoscere da parte del nostro autore i mutevoli rapporti genitoriali di gioia e non, espressi dai suoi beniamini letterati! A lui, infatti, era mancato tutto. I suoi ricordi erano fatti solo di silenzi nel tempo e di quella sua forte volontà di riempire di senso quella figura mai stata e di cui non conosceva né la sfera personale, né quella sociale, non le qualità e non i limiti. Quante volte si sarà chiesto il perchè di quell'assenza, il perchè da parte di suo padre dell'esser venuto meno al suo ruolo paterno, il perchè dell”aver disatteso di portare i suoi figli verso il domani. Sicuramente il nostro autore avrebbe voluto una storia serena fatta di baci, carezze, amore e di balocchi, invece per lui niente luce, ma solo ombre, ed una volta più grandicello, non la possibilità di dialoghi e confidenze, ma quell'unico ricordo nodoso di incopiutezza e inquietudine. “Lettera al padre” è la toccante afflitta ammissione fatta a se stesso di questo affetto mancato.
La poesia snoda i suoi versi in due grandi strofe e nel suo piano stilistico formale è estremamente comunicativa nel lasciar spazio alla memoria d'infanzia. Esordisce con una immediata condanna di abbandono di lui ancora fanciullo, della sorella e della madre “nella povera casa di campagna”, dove l'attributo “povera” casa, nella translatio di pensiero va intesa e sottolinea povera famiglia, per l'andar via del padre dalla famiglia stessa, con quell'allontanamento del tutto privativo per loro figli dipendenti da lui per ogni cosa, perfino di quel bacio non dato. E quanto, a seguire, la parentesi tonda argomentativa, è la giustificazione della coscienza del padre, tanto gli ultimi versi della prima strofe sono l'esplosione di un dramma infantile per quelle lacrime e lamenti amaramente mancati. Niente ha di misericordioso questo padre andato via quasi di nascosto. Quasi, perchè è sua madre che lo accompagna “fino all'ultime case con la lanterna”, con quella fiamma tremante come il suo cuore “che il dolore faceva di pietra”, mentre loro figli sognano il balocco, di pascoliana memoria. Belle sono questa similitudine e metafora preannuncianti i versi finali del freddo inverno, simbolo di una casa solitaria, che diventa la loro solitudine per quell'affetto spento ed altrettanto freddo. Godibile è questa poesia nel suo stile discorsivo fatto di ipotassi e di quell'inciso prosastico dell'episodio centrale della partenza, inteso a dare più densità al significato delle parole, pur fruibili e mirate nei versi a seguire. Accurata è la doppia ripetizione di quel “si spense”, identità semantica cristallizzante il significato, che torna per il lume e metaforicamente per l'affetto paterno, replica che nel registro stilistico di semplificazione, porta chi legge a coinvolgersi e a commuoversi ancor più.