La semplicità severa di Lisi
La disposizione del poeta Tommaso Lisi al canto, alla poesia, già da poco più che adolescente è stata totale.
Non ha mai riguardato un singolo, isolato componimento, ma il poema, lo stesso frammentato poema che nei decenni ha dovuto trascrivere come intingendo nell’inchiostro per raccontare il dolore, la terribilità della guerra, il senso dell’esistere e della morte (la sparizione quale un’altra pienezza) attraverso una spinosa liturgia familiare per la quale non bastava una vita intera di lavoro. Se ne accorse Vittorio Sereni, quando Lisi pubblicò nel 1955, vent’anni,Ivana,annotando:«Così penso che si compongano, o si componessero, quasi estemporaneamente, certe “cantate” d’amore». A questo punto va detto, a chi pensa all’“arte bella”, che invece la poesia è govonianamente «un pugno nello stomaco».Il fuoco della scrittura, dunque,intravide Lisi ragazzo. E lo sentì perché sapeva ascoltare, e bene inseguiva la poesia vera, dialogava per lettera, o a voce direttamente, con i grandi come Carlo Betocchi (che poi gli pubblicò Un mignolo d’aria da Vallecchi) o Corrado Govoni che anche volle scrivere una densa lettera di presentazione per il suo primo libro. In questo modo Tommaso imparò a leggere (la leggenda vuole che lesse tutti i libri che andavano letti, parlava con poeti e narratori e così con i contadini) e assorbì infinitamente nel profondo la lezione così da diventare giovanissimo un acuto critico. In anni più maturi, poi, Asor Rosa proprio quale lettore lo inserì nella sua “Storia della letteratura italiana”.
Questo per riflettere di come possa essere stato possibile, oggi, nella pienezza della vecchiaia il nuovo libro in versi di Lisi.
Lo stradire (a pieno titolo parte nuova del suo poema e lume allo stesso) non ha eguali nella nostra esperienza in nessuna lingua. È un libro di poesia; e sorprendentemente un saggio di critica; infine un manuale di apprendimento della scrittura che ogni giovane che si appressa dovrebbe conoscere.(Esemplare il settimo passaggio: “Perché alla poesia si addice / un linguaggio elementare? // Semplicemente perché elementare / è ciò che dice”).
È meraviglia di conoscenza e di scoperta, questo stradire: è un andare oltre, andare via, forse concesso solo alla musica e alla poesia. Quale una cosa magnifica – e così la bellezza – un poeta e insieme uomo di lettere non poteva tenerla per sé. Cos’è la poesia; come la si fa o dovrebbe essere; quale il “foco” che la affini;e quali le parole, la pronuncia, la durata, la forma. Insomma: tutto che servirebbe ad avere una lingua per fare poesia. (Illuminante il quarto avvertimento: “La rima / è come assente / se ben presente / è la poesia. // La rima / è ben presente / se la poesia / è assente.”) A Lisi per raccontare è servita la semplicità severa, il nitore del parlato, la linea breve e lo stile che sono la sua voce. Ha usato parole assolute che sanno di aria di montagna. Le ha carpite dai libri e dalla gente nel viaggio della sua opera nel profondo dell’Universo familiare. Il grande senno, l’ardire di scrivere forse gli è venuto da una colata di silenzio: il solo sentimento che dalla lontananza può folgorare la memoria e dissotterrare storie.