Un tesoro da scoprire scavando nel noir: Giorgio Ballario
Il romanzo noir, da letteratura di serie B è diventato un genere acclamatissimo. Questo grazie anche ad operazioni come quella di Adelphi che ha voluto ripubblicare l’opera di Simenon ricca non solo delle indagini del commissario Maigret ma anche di tanti altri romanzi mainstream carichi di fascino. Sulla scia di questo successo l’editoria si è affollata di un mucchio di autori, primo tra tutti Andrea Camilleri, che hanno saputo sfruttare questa scia per accreditarsi come autori di culto. Difficile dunque riuscire ad orientarsi in questo profluvio di scrittori che spesso e volentieri sono monotoni, ripetitivi, resi famosi più dalle serie TV che non dalla loro scrittura. Fa eccezione un autore, ancora non noto ai più, che vale la pena di prendere in considerazione se si vuole entrare nel mondo del noir dalla porta giusta. Giorgio Ballario, giornalista e scrittore torinese, è un autore ormai navigato visto che, oltre ad altri interessanti scritti ( fra tutti Vita spericolata di Albert Spaggiari), ha pubblicato, con la casa editrice torinese Edizioni del Capricorno, la sesta indagine del suo Maggiore Morosini, protagonista insieme ai suoi fedeli sodali il Maresciallo Barbagallo e Tesfaghì, un sottufficiale indigeno, di una serie di casi ed enigmi originali.
I luoghi sono quelli dell’Africa Orientale, i tempi sono quelli in cui Eritrea, Etiopia e Somalia ( una parte almeno) erano nostre colonie, gli anni il 1935 e seguenti. La ricostruzione dei tempi, dei luoghi, dei personaggi è meticolosa. Il mondo della colonia è riproposto in modo splendido. Si osserva in tralice il tessuto che lo compone. È un microcosmo chiuso in sé, scarsamente permeabile. Un ambiente fatto di riti, spesso incomprensibili per chi vi è proiettato dall’esterno, con regole non scritte ma ferree, intriso da una bruma di messaggi, criptici per i forestieri, chiarissimi per i coloni. Il clima, quello atmosferico, fatto di sole abbacinante, di afe spossanti, di sudori opprimenti, solo talvolta alleviati da bave ventose che spesso sono foriere, con il loro alito pesante, di nuove fatiche, sembra quasi l’esplicitazione fisica dello stesso clima che si è instaurato tra i coloni. Mi ricorda una vecchia foto sfocata in cui un Rimbaud barbuto, viene ritratto ad Aden nella sua seconda vita di trafficante d’armi.
Sembra di ravvisare lo stesso ambiente descritto ne Il porto delle nebbie in cui Simenon rappresenta un microcosmo asfittico che nello stile a me sembra molto simile.
Le descrizioni accurate ed evocative sono solcate da una vena di elegante esotismo che acquista un retrogusto salgariano senza risultare ridondante. Le pagine sono vive. Si sente la polvere da sparo, l’odore dolciastro del sangue che vira verso il dolcissimo e stordente profumo di gelsomino, a testimoniare che un incontro notturno e galante può essere ben più pericoloso e carico di mistero di qualsiasi morte diurna. Lo scheletro che sorregge tutto infine è una scrittura secca, asciutta, talvolta vibrante e telegrafica, ma che sostiene con una nervatura elegante, le morbidità e le dolcezze di certe descrizioni. Uno strano limpido strumento adatto alle vicende poliziesche ma che si sposa assai bene anche con tutto il resto. Una scrittura in agrodolce che non si ammanta mai delle tinte fosche ed eccessive di molti odierni libri gialli, in cui si mescolano sapori differenti ma tutti necessari alla buona riuscita del racconto. Un giallo sì ma molto di più. Romanzo storico, reportage esotico, poetico arabesco che rappresenta un mondo inghiottito dai gorghi crudeli della storia ma che può rivivere nelle nostre fantasie grazie ai libri di Giorgio Ballario.
Mario “vox clamantis in deserto” Grossi - Frascati, 30 marzo 2024