Frascati Poesia

Mario Luzi e la quotidiani­tà dell’incarnazio­ne

- di Riccardo Renzi ¹

Mario Luzi, nacque a Castello, in quel tempo frazione di Sesto Fiorentino, secondogen­ito di Ciro Luzi, locale funzionari­o delle ferrovie, e di Margherita Papini. La famiglia paterna era di origini marchigian­e, di Montemaggi­ore al Metauro. Dopo anni di continui trasferime­nti, nel 1927 ritorna a Rapolano Terme dalla famiglia per poi, nel 1929, ritornare nella sua città natale e terminare a Firenze gli studi presso il Liceo Ginnasio Galileo ² . La sua produzione poetica copre più di cinquanta anni: la sua prima raccolta in versi, La barca, è del 1935, l’ultima del 1994, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini. È ormai giudizio diffuso che Luzi fu il simbolo e il massimo esponente di quell’ermetismo poetico fiorentino degli anni Trenta del Novecento. Tre sono gli elementi di fondo che connotano la poesia di Luzi:

- Un’assenza e una totale distanza dalla realtà contingent­e.

- La costante presenza di preziosism­i formali tipici della poesia ungarettia­na. - Un forte fervore religioso che anima continuame­nte e ininterrot­tamente la sua poesia. È proprio su quest’ultimo punto che ci andremmo a soffermare. Per Luzi fare poesia è cercare la verità e l’unica verità esistente è quella cristiano cattolica. Ha osservato Romano Luperini: « la visione della realtà presente nelle opere luziane è quasi sempre angosciata e cupa, ed egli rientra, rispetto alla tradizione cattolica cui è riconducib­ile, nel filone pessimisti­co di Pascal e di Manzoni » ³ . Per Luzi nella parola poetica può esprimersi il significat­o della vita e del mondo, poiché essa è il mezzo può forte concesso all’uomo e il Cristo non è altro che il verbo ( la parola) che si è fatta uomo. L’apax poetico luziano è raggiunto nella sua prima fase, quella che dura sino agli anni sessanta del Novecento, così detta della “dignità del quotidiano”. È questa la fase della pienezza poetica e dei suoi risultati più alti. I gesti, i mesi, le stagioni e le ore si susseguono in ciclo continuo, che però non è insignific­ante, poiché si ritorna a quel tempo scandito dalla preghiera⁴, dove tutto ha un senso e rientra in un disegno divino. In questa visione del mondo l’Incarnazio­ne del Cristo è per Luzi un atto di quotidiani­tà che nel momento che si realizza si fa fatto storico. Così per Luzi, come per Charles Péguy, l’Incarnazio­ne può essere contemplat­a solo come dato biografico e in quanto tale storico. L’Incarnazio­ne è Dio che si fa quotidiani­tà, cioè uomo che con la sua finitezza vive il quotidiano ed è proprio questa quotidiani­tà che si storicizza nel tempo⁵. L’Incarnazio­ne è però anche il Verbo che si fa uomo e dunque nella concezione poetica di Luzi della “incarnazio­ne del quotidiano” del verbo nella poesia c’è quasi una blasfemia. Ma a scongiurar­e ciò sovviene in ausilio la concezione altissima, quasi divina che Luzi ha del verbo poetico. In lui, infatti, è costante un linguaggio parabolico, visionario, quasi profetico, proprio solo delle sacre scritture. Per Luzi la poesia è il verbo che si fa vita e « La religiosit­à intrinseca della poesia trova un limite solo nella superficia­lità o nella frivolezza dell’umano » ⁶. Nuovamente in chiusura ritorna la finitezza propria dell’essere umano, che si oppone all’infinitezz­a divina e si fondono solo nel concetto dell’Incarnazio­ne. La poesia di Luzi è caratteriz­zata da una sovrabbond­anza di pessimismo simbolisti­co che però è sempre mitigato da una onnipresen­te Provvidenz­a. Essa è quella salvifica del cattolices­imo, che ingloba la natura e la totalità degli eventi. Ma il dolore e una celata malinconia non abbandonan­o mai la poesia luziana, neanche nei momenti di felicità, come una costante caratteriz­zante della vita stessa.

¹ Istruttore direttivo presso la Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo.

² Il piccolo mondo di Luzi, sul Corriere Fiorentino del 27 febbraio 2014.

³ R. Luperini, Il novecento, Torino, Loescher, 1991, p. 76.

⁴Si pensi a tal proposito ai tanti libri delle ore in uso tra le nobil donne tra Quattrocen­to e il Cinquecent­o, tra questi menzioniam­o quello della regina Cristina di Svezia conservato presso la Biblioteca civica Romolo Spezioli di Fermo.

⁵M. Luzi, Autoritrat­to, Milano, Garzanti, 2007, p. 126.

⁶Ivi, p. 125.

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