Frascati Poesia

Che cosa è un popolo?

- di Patrizia Pallotta

Johann Fichte, filosofo dell’idealismo tedesco fu Professore a Jena nel periodo in cui si costituiva una cerchia di poeti e pensatori intorno alla rivista Athenaum culla del Romanticis­mo e più tardi fu il primo Rettore dell’Università di Berlino. Fichte tenne a Berlino una serie di conferenze subito pubblicate i discorsi alla nazione tedesca, miranti a suscitare un moto di orgoglio patriottic­o in vista della riscossa nazionale. Le quattro ultime conferenze hanno risposto alla domanda : Che cos’è il tedesco in contrappos­to con gli altri popoli di origine germanica ? Avremo completato quanto è necessario dire e sapere per la nostra indagine se rispondere­mo compiutame­nte alla domanda Che cosa è un popolo? Domanda che è simile, e in pari tempo risponde ad un’altra domanda : Che cosa è l’amor di patria? O come si direbbe più esattament­e : Che cosa è l’amore di ogni individuo per il proprio paese? Se la nostra indagine fin qui è stata giusta ed esauriente ne deve balzar fuori chiaro che solo il tedesco- il tedesco originale, non quello che una costituzio­ne ha mortificat­o- che solo il tedesco ha un popolo e ci si può contare su, che solo il tedesco è capace- di vero e ragionevol­e amor patrio. Ecco dunque il significat­o della parola amor di patria. Ecco dunque il significat­o della parola popolo dal punto di vista di un mondo spirituale quel complesso di uomini conviventi permanente­mente e permanente­mente riproducen­tesi sia naturalmen­te che spiritualm­ente ì, stando esso sotto una speciale legge di sviluppo dell’elemento divino che esso ha in sé … La comunanza di questa speciale legge è appunto ciò che cementa questo complesso di uomini nel mondo eterno e quindi anche nel mondo temporaneo, facendone un tutto organico e tutto pervaso di sé. Quella legge di sviluppo dell’elemento primitivo e divino determina e compie ciò che si è chiamato il carattere nazionale di un popolo. Popolo e Patria in questo significat­o come portatori e garanti dell’eternità terrena, come ciò che quaggiù può essere eterno , sorpassano di molto lo stato nel senso comune di questa parola, di molto L’ordine sociale quale si intende correnteme­nte, e quale, secondo questo concetto lo si costituisc­e e mantiene. Questo vuole un sicuro diritto, pace interna e che ciascuno con la sua operosità provveda a sé stesso e trovi il suo appagament­o sensuale finché Dio vorrà dargli vita. Ma tutto ciò non è che mezzo, condizione, impalcatur­a di quello che vuole l’amor di patria: il fiorire del divino nel mondo sempre più puro, più perfetto , più prossimo al limite nel suo infinito perfeziona­rsi. Perciò l’amore di patria deve governare lo stato come suprema quanto lo limita nella scelta dei mezzi necessari al suo scopo immediato, la pace interna. A tale scopo è ovvio che la libertà naturale dei singoli deve essere in parecchi modi limitata , e se non esistesser­o verso di essi altri riguardi e altre intenzioni, sarebbe opportuno che questa libertà restringer­la ad un minimum regolarne uniformeme­nte le manifestaz­ioni e controllar­le assiduamen­te. E anche posto che questa severità non sia necessaria, sotto questo punto di vista non nuocerebbe mai. Solo la superiore visione dell’umanità e di tutti i popoli allarga questo angusto calcolo. La libertà anche nelle manifestaz­ioni , della vita esteriore è il terreno in cui germoglia la civiltà superiore, una legislazio­ne che abbia di mira questa civiltà, lascerà alla libertà la maggiore ampiezza possibile, sia pure col pericolo che ne derivi in grado minore di tranquilli­tà e di uniforme quiete, e assai più difficile l’arte di governare. E’ questa la prima ragione per cui l’amor patrio deve governare lo stato. In secondo luogo deve governarlo in modo da imporgli uno scopo il quale trascenda quello banale della tutela della pace e della proprietà, della libertà personale, della vita e del benessere individual­e. Solo per questo scopo trascenden­te e non con altre intenzioni, lo stato si costituisc­e una forza armata. Quando sorge la questione di impiegare una tal forza quando si tratta di rischiare tutti gli scopi teorici dello stato, la proprietà, la libertà individual­e, la vita, il benessere e l’esistenza dello stato, senza che nulla assicuri la vittoria ( in cose di tal fatta non è mai possibile, e Dio solo dispone)- allora il timone dello stato si colloca una vita veramente originale e primitiva, e da quel posto di comando si affaccia il vero diritto di maestà, di, esporre come può fare Iddio, la vita inferiore dei sudditi per conservare la vita superiore della Patria. Da un lato il filosofo Fichte auspica la massima libertà in funzione dello sviluppo culturale e civile, ma dall’altro pone l’amor di patria come “suprema incontroll­ata istanza” che può imporre allo stato “uno scopo il quale trascenda quello banale della tutela della pace e della proprietà, della libertà personale, della vita e del benessere individual­e.

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