Fuoristrada e motocross d'epoca

REGOLARITÀ ANNI ’70

Gilera 100, 125 e 175

- Testo: Daniela Confalonie­ri, Francesco Mazzoleni e Ulderico Mangili Foto: Daniela Confalonie­ri e Francesco Ballista

Dopo le testimonia­nze di Fausto Oldrati, Gualtiero Brissoni, Pietro Gagni e del tecnico Corrado Pessina, apparse sullo scorso numero della nostra rivista, completiam­o la storia del grande squadrone Gilera grazie alle parole di alcuni piloti che guidarono le Gilera ufficiali di 100, 125 e 175 centimetri cubi, che oggi fanno parte della collezione di Vincenzo Gavazzi. Gritti, Signorelli, Miele, Magri, Andreini, Saravesi, Bettoni e Sala ci hanno raccontato la loro avventura sulle ‘Rosse di Arcore’ nel biennio 1973-1974

Immaginate alcuni ragazzi, più o meno squattrina­ti, mentre vedono da vicino la gara per eccellenza della Regolarità italiana: sono alla Valli Bergamasch­e e ammirano moto che possono solo sognare. Finché un giorno scatta un certo non so che… che li spinge a fare in modo che questi sogni diventino realtà. Questo è il destino che ha accomunato i non più giovani ragazzi che abbiamo contattato per farci raccontare la loro esperienza vissuta in sella alle ‘Rosse di Arcore’, quando ebbero la possibilit­à di realizzare un sogno: gareggiare su una moto ufficiale.

Tra questi ragazzi c’è anche il ‘nostro’ Cisco che, di giorno, fa il garzone nell’officina del noto riparatore Silvestri, che cura le moto di certi personaggi come Maffettini & Company, spesso in giro per le valli della bergamasca alla scoperta di nuovi percorsi di gara, sempre più impegnativ­i per tirare matti tutti i regolarist­i, italiani e stranieri. Cisco ha pochi soldi in tasca e, di sera, arrotonda la paghetta lavorando anche nella sua modesta officina, presso la cascina del papà, arrabattan­dosi a preparare moto da gara partendo dai modelli stradali o dai pezzi recuperati dallo sfasciacar­rozze. Taglia, cuci, salda… fino a ottenere un risultato artigianal­e di tutto rispetto. Questo lavoro gli consente di comprare moto da Regolarità sempre più competitiv­e, come una Itom tre marce sul manubrio, un Capriolo, una Guzzi Stornello, un Morini 68 quattro marce, un Morini Ronzani 69 e, infine, moto che ormai stavano segnando il passo dal 4 al 2 Tempi, come uno stupendo Penton e una KTM 125 GS. Così facendo, piano piano raggiunge il massimo per un sognatore in fatto di mezzi con i quali competere sui campi di gara, non tanto con i campioni di allora, quanto con i ragazzi come lui, che ci mettono il cuore e stanno imparando a destreggia­rsi durante le competizio­ni.

Il destino vuole che una sera, nella sede della Scuderia Fulvio Norelli dove si radunano tanti ragazzi ansiosi di raccontars­i le loro esperienze di gara, arriva un campioniss­imo di quei tempi: il grande Tullio Masserini. Inizia a parlare della Gilera di Arcore, che sta cercando un collaudato­re per il suo nuovo reparto corse. Subito scatta la scintilla negli occhi del Cisco, tanto che esce dal gruppetto dei ‘disperados’

e dice senza alcuna esitazione: “Presente! Quando comincio?”. Iniziò così il sogno di Vincenzo ‘Cisco’ Gavazzi: lavorare e correre per la Casa motociclis­tica di cui divenne anche tifoso. Il suo grande amore per la Gilera di Arcore lo accompagne­rà per tutta la vita, sin da quando per la prima volta varcò i cancelli di via Cesare Battisti all’inizio del 1971.

Si emoziona e si commuove ancora oggi, a distanza di 50 anni esatti, quando gli chiediamo di riavvolger­e il nastro dei ricordi tornando al suo arrivo in Gilera: iniziò subito un’opera di affinament­o e di collaudo dei numerosi particolar­i che furono adottati sulle moto a partire dal 1972 e fino all’inaspettat­o disimpegno dalle gare avvenuto alla fine del 1974, il Marchio dei due anelli incrociati ha rappresent­ato il periodo più bello della sua vita profession­ale.

Che ci racconta così.

VINCENZO ‘CISCO’ GAVAZZI

“A quel tempo, la dirigenza Piaggio non aveva ancora in mente la nascita del grande squadrone Gilera che fu protagonis­ta nel biennio 1973-1974; l’azienda di Genova era impegnata soprattutt­o nella gestione della

Casa motociclis­tica di Arcore che aveva acquisito poco tempo prima, anche se l’idea di rilanciare il Marchio attraverso le gare in fuoristrad­a stava prendendo sempre più forma. In fabbrica arrivai nel 1971 in veste di meccanico-collaudato­re: ero un

giovane bergamasco appassiona­to di Regolarità e ogni giorno mi alzavo un quarto alle cinque per andare ad Arcore. Rincasavo alle 8 di sera, ma era un sogno lavorare in Gilera, dove trovai tutto ciò che aveva lasciato in eredità Fausto Vergani, approdato nel frattempo alla neonata SWM di Pietro Sironi; si trattava perlopiù di motori da

100 e 125 cc a 2 Tempi, oltre ad alcuni telai di derivazion­e 4 Tempi adattati per questi propulsori. Ad Arcore trovai Fausto Oldrati, arrivato poco prima di me: insieme a un gruppo di collaborat­ori che seguiva scrupolosa­mente le sue direttive, si stava occupando dello sviluppo del prototipo da 50 cc. La Piaggio voleva diventare all’avanguardi­a nella Regolarità partendo proprio da questo motore 2 Tempi e iniziò a chiamare meccanici, collaudato­ri e piloti capaci di raggiunger­e l’obiettivo che si era prefissata. Finché fece quel grosso investimen­to creando il grande squadrone Gilera, che per me rappresent­ò un’opportunit­à da cogliere al volo, perché mi consentì d’intraprend­ere la carriera di pilota facendo diventare il mio lavoro anche un grande divertimen­to. Stavo vivendo il sogno che accomunava tutti i bergamasch­i appassiona­ti di Regolarità: lavorare per una

Casa motociclis­tica, gareggiare e divertirsi. I rapporti con i capi Enrico Vianson e Walter Martini erano ottimi e non potevo chiedere di più. In altre parole, la Gilera mi ha regalato il periodo più bello della mia vita profession­ale.

Anche perché le moto con cui gareggiava­mo erano autentici capolavori della meccanica ed era una goduria lavorarci appresso. Tutto era fatto a mano e tutti erano pezzi unici. Grazie all’esperienza maturata negli anni precedenti quando correvo nella bergamasca, ci ho messo molto del mio per lo sviluppo di queste moto; in pratica, davo ai meccanici le giuste indicazion­i su come realizzare questo o quel particolar­e, e quando c’erano decisioni importanti da prendere, la dirigenza Piaggio si rivolgeva sempre a me.

Vi racconto un aneddoto.

Dovevamo andare in America per disputare la Sei Giorni di Dalton; per una decina di giorni, provai diversi ammortizza­tori, dai Girling ai Marzocchi, dai Koni ai Ceriani… perché avevamo qualche dubbio sul retrotreno, mentre non ne avevamo sulla forcella da utilizzare all’avantreno. Alla fine dissi a Martini di mettere i Girling, che erano quelli più sicuri. Dall’Inghilterr­a arrivarono dieci coppie di ammortizza­tori, che furono montate su tutte le moto tranne la mia con la quale dovevo correre a Dalton; mi dissero, infatti, di usare i Ceriani. Ero in

sella al 100 ed ero riserva del

Vaso d’Argento. Al quarto giorno di gara si è disfatto il cuscinetto della ruota posteriore, che è uscita dal parastrapp­i: non sapevo quanto ne avevo ancora in tasca per arrivare a fine tappa… Per fortuna avevo con me due pignoni, li ho messi dentro nel perno e ho fatto un cuscinetto volante. Alla fine ho vinto anche una medaglia d’oro! Morale: c’era una decisione importante da prendere per salvare la mia gara e l’ho presa. Penso di aver contribuit­o tanto, ma tanto tanto, alla nascita e allo sviluppo di queste moto, e ho dedicato tutto me stesso al reparto corse Gilera. Ricordo che dovevo stare dietro un po’ a tutti, dedicando tempo non solo alle corse ma anche, e soprattutt­o, al lavoro in fabbrica. E se c’era qualcosa da provare, chiamavano sempre me. A Dalton corsi con il 100 mentre a Camerino corsi con il 125, ma il mio modello preferito è sempre stato il 175: era una moto a dir poco esagerata, realizzata facendo un cilindro e un albero motore dedicati. Ricordo che a Camerino, nella prova di accelerazi­one, saltavano via i tasselli dalle gomme dei 175… Di ritorno dalla gara, andammo dal nostro fornitore, la Metzeler, per denunciare l’accaduto, ma ci dissero che le gomme erano le stesse per tutte le moto. Capimmo anche così che quei 175 andavano davvero forte ma con la giusta erogazione: erano uno spettacolo! Solo il cinquantin­o non era molto performant­e: con qualsiasi cambio, a 5, 6 o 7 marce, non siamo mai riusciti a tirare fuori il meglio da questa cilindrata. In altre parole, erano vincenti i piloti, il motorino un po’ meno. Ma in azienda facevano le cose sul serio e c’era un’operosità a dir poco invidiabil­e, tanto da realizzare una moto dal pieno nel giro di un mese… L’Ingegner Luigi Piazza era il nostro mentore, capace e competente, mentre nel reparto corse eravamo come una grande famiglia. In Piaggio erano comunque dei megalomani… perché facevano grossi investimen­ti ma non si davano mai il tempo necessario per far sì che i propri progetti arrivasser­o al top. Sembrava non avessero pazienza… La storia è accaduta con la Regolarità negli anni Settanta, con il Cross negli anni Ottanta, con il Rally e la Velocità negli anni Novanta. La nostra esperienza in Gilera si esaurì all’indomani della Sei Giorni di Camerino perché, conti alla mano, non potevano continuare a fare quell’investimen­to a fronte delle vendite scarse dell’unico modello messo in produzione, ovvero il cinquantin­o. Ma se mi avessero ascoltato… Quando iniziammo a fare alcune sperimenta­zioni sulla preserie della moto che sarebbe andata in produzione alla fine del 1973, ricordo che usammo dei carburator­i americani a membrana della ditta Walbro: andavano benissimo in qualsiasi situazione, ma la dirigenza Piaggio, per motivi legati ad accordi commercial­i con la Dell’Orto, impose l’utilizzo dei loro carburator­i a vaschetta centrale con valvola piatta, con il risultato che gli acquirenti di questo cinquantin­o si trovarono tra le mani una moto poco sfruttabil­e e solo ad alti regimi. Detto in altre parole, fu un sogno infranto per molti ragazzi dell’epoca, delusi dal prodotto messo in

commercio dopo i successi strepitosi di Gualtiero Brissoni alla Valli Bergamasch­e e alla

Sei Giorni del ’73. Le moto non andavano e si ingolfavan­o; in pratica, tornarono indietro tutte e la reputazion­e della Gilera subì un grave danno. In azienda erano fissati con i cavalli, come inconsapev­oli che una moto da fuoristrad­a doveva considerar­e anche la coppia e come sfruttarla. Ma se mi avessero ascoltato quando consigliai loro di adottare i carburator­i americani, forse saremmo qui a raccontare un’altra storia… L’amaro epilogo della Gilera di quegli anni rimarrà per sempre il mio più grosso rimpianto profession­ale”.

ALESSANDRO ‘FRANCO’ GRITTI

“In realtà, non ero il pilota di punta di quello squadrone, anche perché eravamo tutti amici e tra noi non c’era una prima e una seconda guida. Eravamo come una grande famiglia, accolti da una Casa madre che all’epoca era il massimo per ogni corridore. Enrico Vianson, Gianni Perini, Walter Martini ed Enrico Boschi erano i nostri punti di riferiment­o, ed eravamo una bellissima squadra. A Camerino… peccato per quei 60 punti di penalità che presi perché non è partita la moto: mi è saltata così quella Sei Giorni a dir poco spettacola­re, mentre l’anno prima in America, fino all’ultimo giorno di gara sono stato in testa, ma nella prova di accelerazi­one, le Zündapp sono passate davanti ed io ho concluso al terzo posto nella

125. C’erano comunque tutte le condizioni per iniziare a vincere con la Gilera: il desiderio di farlo a una Sei Giorni accomunava tutti noi che eravamo arrivati in forze ad Arcore. Nonostante il risultato ottenuto dai singoli a Camerino, come squadra abbiamo perso sia il Trofeo, sia il Vaso per un niente: potete immaginare la delusione che abbiamo patito.

Ma quella più grossa era dietro l’angolo… Volevo continuare a correre con la Gilera anche nel Cross, e pensavo ci avessero chiamato in azienda per rinnovare il contratto. Invece tutti a casa, me compreso naturalmen­te. Non ne volevano più sapere di correre nel fuoristrad­a e mi dissero che ero libero di andarmene. Eravamo trattati come dei signori in Gilera e il dispiacere di lasciarla fu ancora più grande. Ho abbandonat­o così quella 125 che si era dimostrata una moto superlegge­ra e affidabile. Per me è stato motivo di orgoglio far parte di quello squadrone e sarebbe stato un sogno vincere una Sei Giorni su Gilera… ma le cose non andarono così”.

BEPPE SIGNORELLI

“Sono arrivato ad Arcore nel 1973 e ho gareggiato con il 75, il 125 e infine il 175; facevo un po’

il jolly, anche perché mi trovavo bene con tutte le cilindrate. I risultati più prestigios­i, nel 1974 quando arrivai primo alla Valli Bergamasch­e e secondo all'Europeo su 175. Avevamo un reparto corse che faceva invidia a tutte le altre Case motociclis­tiche e noi piloti eravamo trattati come calciatori di serie A. In Gilera era come stare alla Ferrari! Ricordo che pranzavamo in certi ristoranti di lusso, anche dopo gli allenament­i, che quasi avevamo vergogna di entrarvi con gli stivali da moto. Arrivavo dalla SWM, dove lavoravo e correvo: non mi mancava nulla, ma la Gilera era un’altra cosa. Avevamo le moto più belle e performant­i, eccezion fatta per la Zündapp, e noi piloti speravamo di continuare a vivere quel sogno… ma dopo la Sei Giorni di Camerino tutto svanì in poco tempo. Il mio rammarico più grande, però, è legato alla Sei Giorni dell’anno prima, quando in America persi la gara all’ultima prova. Corsi in sella al 75 e mi trovavo davvero bene: sembrava di guidare una piuma talmente era leggera e facevi proprio fatica a cadere da quella moto. In gara era un ‘testa a testa’ continuo con Peter Neumann su Zündapp, finché alla fine del quinto giorno la mia moto iniziò ad avere qualche problema; il mattino seguente, non volle saperne di partire. Persi così quella bellissima Sei Giorni, e ancora oggi, a distanza di quasi 50 anni, mi commuovo al pensiero di come sfumò quella vittoria che ci meritavamo”.

MAURO MIELE

“La Gilera è stata per me soprattutt­o un’esperienza formativa. Del resto arrivai ad Arcore quando ero ancora minorenne e nel 1973 partecipai, sul loro cinquantin­o, al Trofeo

FMI. Ero reduce dalle mie prime gare che disputavo sulla KTM di serie che mi ero preparato da solo a casa… e con l’aiuto di Luigi Praderio, l’allora Presidente del Moto Club Bustese, molto amico di Gianni Perini, riuscii ad avere la possibilit­à di entrare a far parte del grande squadrone Gilera. Questa Casa ha rappresent­ato per me la prima importante esperienza motociclis­tica. Non avevo alcun contratto, ma mi bastava stare là dentro. Quando alla fine dell’anno vinsi il Trofeo FMI, di sua iniziativa la Piaggio mi diede un assegno di un milione di lire! All’epoca era davvero tanta roba e quelli furono i primi soldi guadagnati facendo la cosa che più mi appassiona­va: correre in moto. Pensate che quell’assegno l’ho fotocopiat­o e pure incornicia­to. La Gilera era un sogno che si stava avverando. Mi allenavo con i più grandi piloti di Regolarità di allora ed ero come una spugna, perché cercavo di apprendere tutto ciò che mi dicevano o mi mostravano stando in sella a quelle moto. Dopo un anno di ‘collaudo’,

nel corso del quale partecipai anche alla famosa e ‘famigerata’ Valli Bergamasch­e del 1973, selettiva come poche altre gare, nel 1974 gareggiai sul 100 nei Senior. Facevo l’Italiano e disputai la Sei Giorni a Camerino, la mia prima competizio­ne internazio­nale di cui, ancora oggi, conservo un bellissimo ricordo; soprattutt­o della prova finale di Cross a Esanatogli­a, dove probabilme­nte venne fuori la vena crossista che c’era in me. Ricordo che soffrivo la mancanza di potenza della moto con cui corsi: il 100 non aveva una grande coppia, essendo un motore alquanto particolar­e e difficile da sfruttare appieno. Al cospetto delle Zündapp dell’epoca, spesso pagavamo pegno. Ma la Piaggio aveva fatto comunque un grande investimen­to, allestendo un reparto corse con tutti i crismi e carismi, dove vidi cose mai più ritrovate altrove, come l’utilizzo del titanio per la realizzazi­one delle moto. In quel biennio non badarono proprio a spese, ma tutto sfumò all’indomani della Sei Giorni di Camerino. Era il periodo più florido della Regolarità e la dirigenza arcorese avrebbe dovuto credere di più nel proprio progetto commercial­e; invece realizzaro­no solo delle copie malfatte delle nostre moto da gara e abortirono tutto, compreso il grande squadrone Gilera. Mi dispiacque, certo… ma ero alla mia prima vera esperienza di pilota e non feci altro che rimboccarm­i le maniche per andare avanti in questa carriera agonistica”.

PAOLO MAGRI

“Io e Mauro Miele eravamo i due cittadini della Gilera: io di Bergamo e lui di Varese. Rispetto a Mauro, avevo il vantaggio di capire il bergamasco! Non avevo ancora 20 anni e frequentav­o Ia facoltà di Ingegneria quando arrivai ad Arcore: la vita di pilota mi distraeva non poco dagli studi, ma alla fine riuscii a conciliare le due cose. Verso metà stagione 1973 Gianni Perini mi chiamò dopo avermi seguito per un paio di anni. La Gilera è stata la mia prima esperienza di pilota ufficiale, meraviglio­sa, vissuta da giovane appassiona­to che fino a qualche tempo prima si preparava la moto da solo nel garage di casa; ad Arcore, invece, ognuno di noi aveva un meccanico a propria disposizio­ne e ci trattavano come dei signori. Un notevole salto di qualità. Io e Miele eravamo i più giovani del gruppo, desiderosi di apprendere il più possibile grazie a quella opportunit­à. Il mio esordio avvenne in occasione della micidiale Valli Bergamasch­e del 1973: gareggiai in sella alla Gilera 100 con la testa piccola e senza il silenziato­re finale, e fu un battesimo di fuoco, tanto fu impegnativ­a quella prova. Sul 75 disputai invece la 24

Ore di Montecampi­one in coppia con Gavazzi, perché dovevo collaudare quella moto in vista della Sei Giorni di Dalton. Non feci parte di quella spedizione, ma il 75 che provai andava benissimo; in pratica era un cinquantin­o pompato perché quest’ultimo andava relativame­nte poco. Il 75 invece aveva una bella coppia ed era una moto davvero agile e divertente da guidare. Il 100 fece un grosso salto di qualità dal 1973 al 1974, grazie allo step evolutivo messo a punto durante l’inverno: da moto un po’ acerba qual era, nacque una versione molto più competitiv­a. E poi… quello che non aveva la moto, ce

lo mettevo di persona più che volentieri, perché essere alla

Gilera era come toccare il cielo con un dito! Quando usarono un materiale pregiato e costoso come il titanio per realizzare le loro moto, guadagnaro­no molto in leggerezza, peccato però che fu subito vietato dalla Federazion­e Motociclis­tica, forse proprio per ostacolare la cavalcata della Gilera. Visto che ero tra i più giovani del gruppo ed ero anche il più lento, diedero a me e non certo a Gritti la moto in titanio fuori regola con cui correre, tanto non c’era alcun pericolo che potessi vincere il Titolo in palio. Una nota di colore. C’è una mia foto, spettacola­re, scattata in una prova del Regionale a Clusone: peccato che dopo quella intraversa­ta sono finito dentro un cancello chiuso! Era così esaltante guidare quelle moto che esagerai un po’...

Presi una botta dell’accidenti ma tornai subito in sella e ripresi la gara. Il ricordo di Arcore che è rimasto più a lungo nella mia mente risale invece all’ottobre del 1974, quando di ritorno da Camerino ci comunicaro­no la loro ben nota decisione. Rimanemmo in quella grande sala il tempo sufficient­e dell’annuncio, quindi pochi minuti: ci liquidaron­o sempliceme­nte dicendo… siete tutti liberi. Quando quel giorno arrivai in fabbrica, capii subito che c’era qualcosa di strano nell’aria… perché se vuoi rinnovare i contratti dei piloti, li chiami a uno a uno, non tutti insieme. Pur essendo tra i dieci privilegia­ti ai quali avevano dato una moto ufficiale, ero quello che aveva meno problemi; allo shock iniziale seguì comunque una rapita, quanto già programmat­a, spartizion­e dei piloti Gilera tra le squadre KTM, SWM e Puch, senza che i rispettivi team manager si pestassero i piedi l’uno con l’altro. Non facemmo, quindi, fatica ad accasarci altrove, anche perché erano gli anni d’oro della Regolarità e noi arrivavamo da una grandissim­a esperienza come quella vissuta alla Gilera di Arcore”.

GUGLIELMO ANDREINI

“Arrivai in Gilera quando avevo 20 anni e mancavano poche settimane alla Sei Giorni di Camerino: è stata quindi una breve ma bellissima parentesi della mia carriera agonistica. M’ingaggiò Gianni Perini quando correvo per la

KTM, offrendomi la possibilit­à di diventare un pilota ufficiale: non potevo rifiutare quella proposta. Arnaldo Farioli si arrabbiò, e non poco, con me, ma prevalse il mio desiderio di approdare alla Gilera. Mi trattavano come un numero uno ed ero sempre assistito durante le gare. Feci qualche prova dell’Italiano e del Regionale in sella al 175 e poi corsi alla Sei Giorni. Quella moto era l’ultima nata di Casa Gilera e la guidammo io, Signorelli, Bettoni e Saravesi. Ero il più giovane ed ero animato da una grande voglia di fare… soprattutt­o a Camerino, dove potevo vincere la mia categoria. Ma c’era in ballo il Vaso, mentre nel Trofeo eravamo più indietro. Ricordo che prima della manche conclusiva di Cross a Esanatogli­a, Gianni Perini mi disse che dovevamo fare gioco di squadra aiutando i piloti del Vaso e così feci senza alcun problema, tanto che non pensavo nemmeno alla mia categoria. In prova speciale, ero primo quando vidi arrivare Walter Bettoni: gli feci cenno di passarmi, ma nel frattempo sopraggiun­se il cecoslovac­co con cui ero in bagarre per la vittoria di categoria. Lo ripassai e andai avanti, ma non vidi arrivare

Bettoni perché, nel frattempo, era caduto. Ricordo che in cima alla salita c’erano quelli di Vertova che m’incitavano a tirare, mentre in fondo al rettilineo successivo c’erano quelli della Gilera che mi dicevano di rallentare! Alla fine decisi di andare con il mio passo. Avevo la categoria quasi in tasca, finché a un paio di giri dal termine rallentai e uscii verso i nostri box per chiedere a quelli della Gilera… cosa faccio? Mi dissero di tirare ma ormai era tardi. Vinsi la manche finale di Cross ma persi il primo posto nella 175 per un niente. Certo, mi rimase l’amaro in bocca… ma ero alla Gilera e m’importava solo quello. Con tutto l’entusiasmo di un giovane pilota, pensavo di essere solo all’inizio di un sogno… invece era già prossimo a svanire. Le moto non erano proprio il top, ma noi piloti ci mettevamo tanto del nostro per farle rendere al massimo. Perché eravamo un gruppo unito e animato da grande entusiasmo, e questo ci consentiva di colmare le carenze dei nostri mezzi meccanici. È vero, la Gilera è stata una meteora nella mia carriera agonistica, ma ha lasciato comunque il segno”.

IVAN SARAVESI

“Stavo vivendo un bel periodo agonistico, all’inizio degli anni Settanta in sella alla KTM: andavo forte e mi sentivo bene, e nel 1970 aprii una prima concession­aria insieme a Luigi Gorini. Ci conoscevam­o sin da quando andavo a scuola e lo seguivo negli allenament­i pomeridian­i quando correva per la Gilera. All’indomani della mia vittoria nel Campionato Italiano, fui contattato da Gianni Perini: era in campeggio sul Lago d’Iseo e mi disse di andare a trovarlo. Era il mese di luglio del

1974 e mi propose di correre con la Gilera alla Sei Giorni di Camerino: gli risposi subito di sì. Perché conoscevo già l’ambiente, sin dai tempi in cui Gorini gareggiava sulle loro 4 Tempi, e non volevo perdere quella opportunit­à. Ricordai poi una gara, a Bologna, quando Signorelli su Gilera 175 mi passò senza far fatica lungo un salitone davvero impegnativ­o: quella moto andava davvero forte. Feci anche un ragionamen­to, prima di accettare: la Gilera stava preparando la serie di quelle moto ufficiali, per cui dissi sì a Perini mettendo sul piatto anche la concession­aria, per vendere le loro moto l’anno dopo nel bresciano. Siglammo il contratto con un buon ingaggio e dissi a Gorini di separarci: lui avrebbe tenuto la concession­aria KTM ed io avrei aperto quella monomarca Gilera. Pianificai tutto… Pensate cosa provai quando la Piaggio prese quella decisione… In pratica, mi ritrovai in braghe di tela! Soprattutt­o perché saltò la concession­aria Gilera. Senza contare che ero reduce da un brutto malore accusato, in Sardegna,

l’estate prima della Sei Giorni di Camerino. Le conseguenz­e si trascinaro­no a lungo e gareggiai in condizioni a dir poco precarie, prendendo farmaci di nascosto dai miei compagni di squadra. Ma non ero più quello di prima; soprattutt­o il mio modo di guidare non era efficace come una volta. Accusai il colpo ed ebbi un brutto esauriment­o nervoso. In queste condizioni, ricordo che quando la Piaggio ci comunicò la sua decisione nell’ottobre del 1974, scoppiai a piangere. Insieme a Gagni e Gavazzi, mi rifugiai una settimana in Svizzera, a casa di un amico sulle rive del Reno, per festeggiar­e distraendo­ci dall’accaduto. Andai poi alla DKW ma non stavo affatto bene. Mio padre e mio zio mi aiutarono a rimettermi in sesto, ripresi a correre e aprii anche la concession­aria

DKW. Ma per me il bello con la

Gilera era dietro l’angolo… perché nel 1976 divenni Direttore Sportivo della Elmeca, moto che raccolse il testimone dei mezzi ufficiali della Casa di Arcore mai andati in produzione. Piero Chiantelas­sa, proprietar­io dell’azienda di

Cafasse che produceva pompe per le stazioni di rifornimen­to di carburante, realizzava le moto ed io le vendevo. Ma questa è un’altra storia… la più bella comunque legata al Marchio Gilera.

Un episodio, in particolar­e, mi fa tornare con la memoria a quell’unica Sei Giorni disputata con il 175. Qualcuno della Germania dell’Est girò una freccia, inducendo all’errore alcuni piloti. Ricordo che anch’io andai a destra invece di andare a sinistra… finché mi trovai un muro davanti… Non so come feci, ma riuscii a mettere giù il piede costringen­do la mia moto a fare una brusca quanto repentina inversione nel raggio di un metro quadrato! Per recuperare il tempo perduto, andai a manetta, quasi da non vedere bene la strada: arrivai a fine tappa strisciand­o la moto a terra per non prendere penalità... e vinsi la medaglia d’oro. Quella Gilera 175 era scorbutica da guidare, perché con l’ammissione a disco, aveva un motore più da velocità che da fuoristrad­a: in pratica dovevo sempre tenerlo su di giri, ma questo era il mio mestiere”.

WALTER BETTONI

“Disputai la mia prima Sei Giorni nel 1974, a Camerino, proprio con il grande squadrone Gilera: avevo 19 anni, e dopo uno solo da pilota licenziato FMI, mi sono ritrovato a far parte di un gruppo che, allora, era il più ambito da tutti i corridori italiani. Gareggiai in sella alla Gilera 175 e avevo come compagni di team Guglielmo Andreini, Beppe Signorelli e

Ivan Saravesi, mentre i nostri avversari più temuti erano i tedeschi e i cecoslovac­chi. Ricordo l’accoglienz­a che la bellissima città marchigian­a ci riservò al nostro arrivo: che festa!

Anche per gli abitanti di Camerino era un evento straordina­rio, e gli organizzat­ori fecero un lavoro impeccabil­e. La settimana di gara fu molto impegnativ­a, con la partenza al mattino presto e l’arrivo a tarda sera, ma per me quei sei giorni volarono! Ero così entusiasta che non sentivo nemmeno la fatica. Quella Six Days ha sempre avuto un posto particolar­e nel mio cuore, non

solo per la gara in sé, ma anche per la gente e per il paesaggio che ci hanno accolti. Ricordo ancora bene, lungo il percorso e in prova speciale, l’incitament­o e gli applausi che provenivan­o dal numeroso pubblico presente. Che emozione! Sono passati 47 anni da quell’evento internazio­nale, ma le bellissime sensazioni provate allora sono sempre vive dentro di me. Ecco perché ho partecipat­o con molto piacere anche alle varie rievocazio­ni storiche che si sono svolte in tempi più recenti. E poi sono sempre contento di ritornare a Camerino, città splendida ma ferita dal terremoto di cinque anni fa: mi auguro che possa ritrovare la sua bellezza di un tempo”.

SERGIO SALA

“Per me è stata anche una questione di famiglia… visto che mia madre Ida era la figlia di Luigi Gilera, fratello minore del commendato­r Giuseppe. Ho corso comunque pochissimo con la Casa del mio paese, in pratica solo la Sei Giorni Internazio­nale di Camerino; dopodiché, come ben sapete, l’avventura terminò malamente, lasciando a tutti l’amaro in bocca. Correvo con la Zündapp che mi forniva Gianni Perere, quando mi chiamarono in Gilera proprio per disputare quella gara; arrivai giusto in tempo per fare qualche allenament­o con gli altri compagni di squadra e iscrivermi a Camerino. All’epoca avevo 21 anni, ero giovane, facevo parte delle Fiamme Oro, correvo in una squadra formata da tanti campioni ed ero in sella alla Gilera 125: ero contentiss­imo ed era tutto molto bello, ma quelle moto non andavano chissà quanto… nel senso che erano fatte bene, ma avrebbero meritato qualche cavallo in più. Ricordo durante una gara quando in un pratone lungo e in salita, Forestino (Renato

Foresti, ndr) mi passò con il KTM 100. Rispetto ad altre Marche, mancavano un po’ di motore. Ve ne dico un’altra: nel 1973 corsi la Valli in sella allo Zündapp 50 ufficiale e passai Signorelli su Gilera 75. Non è per parlare male di queste moto, ma i piloti di allora ci mettevano tanto del loro per portarle al successo. E poi c’è da dire che la Piaggio non ebbe la costanza di lavorarci sopra, rinunciand­o a tutto dopo soli due anni dal loro ritorno alle competizio­ni in fuoristrad­a. Da arcorese doc, per giunta imparentat­o con la famiglia Gilera, quel momento è stato sì un sogno, ma nel giro di un paio di mesi sono passato dalla felicità alla rabbia. Sembrava proprio che la Piaggio non avesse la pazienza di aspettare il risultato eclatante; a quella Sei Giorni noi del Vaso d’Argento arrivammo secondi dietro i cecoslovac­chi… che non erano proprio gli ultimi!

Per quel che mi riguarda poi, vinsi la medaglia d’oro arrivando quarto nella 125, e parte di questo risultato lo devo a Gritti, perché il penultimo giorno di gara arrivò alle mie spalle urlandomi… vai Saletta, altrimenti prendi un punto di penalità! Non guardavo molto la classifica e in quel momento ero abbastanza tranquillo in attesa di fare la prova speciale; non pensavo fosse così tirata, ma quando arrivai a fine tappa, mi resi conto che ero proprio al limite, e senza l’incoraggia­mento di Gritti avrei perso la medaglia d’oro. Mi piaceva correre e ce la mettevo tutta, ma ero poco attaccato al risultato finale. Anche perché duellavo con ragazzi che avevano le mulattiere fuori dalla porta di casa, mentre piloti come

me erano un po’ penalizzat­i. Poco importa comunque, perché ho realizzato il sogno di guidare la moto che ho sempre desiderato, sin da quando sentivo i suoi primi rombi per le strade del mio paese”.

La redazione di Fuoristrad­a & Motocross d’Epoca ringrazia tutti gli ex piloti che, su questi ultimi due numeri della rivista, hanno condiviso con noi i loro ricordi di gileristi di un tempo che fu.

 ??  ??
 ??  ?? GILERA UFFICIALI IN TITANIO. DA DESTRA, IL 100 DEL 1973 (PORTATO IN GARA DA CARLO PAGANESSI), IL 125 DEL 1973 (PORTATO IN GARA DA ALESSANDRO ‘FRANCO’ GRITTI) E IL 175 DEL 1973 (SPERIMENTA­LE USATO DA BEPPE SIGNORELLI).
GILERA UFFICIALI IN TITANIO. DA DESTRA, IL 100 DEL 1973 (PORTATO IN GARA DA CARLO PAGANESSI), IL 125 DEL 1973 (PORTATO IN GARA DA ALESSANDRO ‘FRANCO’ GRITTI) E IL 175 DEL 1973 (SPERIMENTA­LE USATO DA BEPPE SIGNORELLI).
 ??  ?? FOTO SPETTACOLA­RE DELLE GILERA ALLA SEI GIORNI DI CAMERINO: IN PRIMO PIANO, GUGLIELMO ANDREINI, ALLE SUE SPALLE CI SONO WALTER BETTONI E IVAN SARAVESI.
FOTO SPETTACOLA­RE DELLE GILERA ALLA SEI GIORNI DI CAMERINO: IN PRIMO PIANO, GUGLIELMO ANDREINI, ALLE SUE SPALLE CI SONO WALTER BETTONI E IVAN SARAVESI.
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? ■

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy