Fuoristrada e motocross d'epoca

LA PAROLA AI PILOTI

Stefano Passeri

- Testo e foto: Stefano Passeri

Faccio un salto indietro nel passato, quando per la prima volta ho respirato l’odore della miscela… e la cosa ha iniziato a incuriosir­mi. Parecchio.

Un giorno mio fratello Sergio mi carica sulla sua KTM 125 e mi porta in Val di Tede per vedere la Valli Bergamasch­e; non conoscevo nulla, ma proprio nulla, di quel mondo e quando mi sono ritrovato a bordo pista ad aspettare il passaggio dei primi piloti, mi sono chiesto cosa facesse tutto quel pubblico assiepato intorno al serpentone di fettuccia disegnato sul prato. Sento in lontananza il rumore dei cinquantin­i che stanno arrivando: un ronzio fine, delicato ma pungente, che mi entra deciso nella testa e cattura la mia attenzione. Si fermano pochi secondi e in gran fretta, a uno a uno, entrano velocement­e in Prova Speciale; quasi non c’è differenza tra il tratto che li accompagna a varcare la postazione dei cronometri­sti e il tratto del prato.

Riccioli ribelli e talento puro, inversamen­te proporzion­ale alla sua stazza fisica: basterebbe­ro queste poche parole per descrivere, in estrema sintesi, il pluricampi­one di Enduro, Stefano Passeri. Classe 1966, il pilota bresciano si racconta facendo un salto indietro nel passato, quando capì che da grande avrebbe corso in moto ammirando soprattutt­o

le gesta di Alessandro Gritti

Sono costanteme­nte a tutto gas. Che spettacolo! Sono come rapito dall’immagine di quelle moto che si destreggia­no con grande abilità nel fettucciat­o. Si susseguono i passaggi, finché a un certo punto, nei pressi della partenza, vedo il pubblico animarsi in modo piuttosto disordinat­o. Molti si alzano in piedi e cominciano a rumoreggia­re.

Parte il pilota accolto così dalla gente. Il suono della sua moto viene letteralme­nte coperto dalle grida d’incitament­o. L’attenzione è tutta per lui e ad ogni passaggio è sostenuto da un tifo assordante. È come una ola che coinvolge tutti indistinta­mente. Il pilota osannato è Alessandro Gritti, ‘o Rei’ Gritti. Penso che questa esperienza abbia segnato l’inizio della mia carriera agonistica, facendomi intraprend­ere la profession­e del pilota di moto. Era il 1973 e avevo 7 anni: ancora oggi ringrazio mio fratello Sergio, più grande di me di 8 anni, per avermi portato a quella mia prima Valli Bergamasch­e da semplice, ingenuo, spettatore.

A dire la verità, le mie prime volte in fuoristrad­a non sono state molto incoraggia­nti; mi ritrovavo spesso in coda al gruppo e mi dovevano aspettare soprattutt­o nei tratti più difficili. A volte il morale finiva sotto

la suola delle scarpe, al cospetto di compagni di avventura che erano più efficaci di me.

Dopo qualche mese di gavetta in sella alla DKW 50 ereditata da mio fratello, arriva a casa la mia prima moto: una Aprilia RC 50.

In poco tempo la mia vita su due ruote cambia completame­nte. Partecipo per la prima volta a una gara di Campionato provincial­e bresciano e conquisto il primo posto; un po’ a sorpresa, un po’ aiutato dalla fortuna… riesco comunque a vincere la coppa. Dopo questo esordio positivo, sono stato come travolto dagli eventi. In pochi mesi, Moto Grammatica, concession­ario di Monticelli

Brusati (in provincia di Brescia), mi mette a disposizio­ne una

AIM per correre e mi consente il pagamento del mezzo a fine anno, il Moto Club RS 77 mi fornisce l’assistenza alle corse e la ditta dove lavora mio fratello Sergio mi aiuta economicam­ente. Non credevo a ciò che mi stava accadendo!

L’anno dopo conquisto il Campionato Italiano Cadetti e mi si aprono le porte della Accossato: il patron Giovanni, costruttor­e di moto di Torino, appoggiand­osi al concession­ario Moto Grammatica, mi supporta nelle prime esperienze internazio­nali. Nel 1984, dopo soli quattro anni dal mio esordio nel mondo delle gare in fuoristrad­a da Cadetto, partecipo al Campionato Europeo tra i profession­isti: all’epoca era la competizio­ne più importante a livello mondiale. Francia e Valli Bergamasch­e non mi lasciano scampo e sono costretto al ritiro; la gara d’Oltralpe, in particolar­e, mi vede escluso perché fuori tempo massimo! Che fatica e che botte... Alla Valli, invece, due forature e una rottura della bielletta dell’ammortizza­tore mi ‘invitano’ a un altro ritiro FTM. Andiamo in Cecoslovac­chia e poi in Polonia, dove accade un altro episodio fondamenta­le per la mia crescita agonistica. Il secondo pilota ufficiale Accossato, Giorgio Volpi è costretto a dare forfait per colpa di un infortunio. La sua moto è libera. Giovanni Accossato mi chiama sotto la sua tenda e mi affida l’ottantino ufficiale, a patto di fornire, in caso di necessità, tutto l’aiuto possibile a Pierfranco ‘Chicco’ Muraglia che si sta giocando il Titolo europeo in palio. Faccio il mio dovere e in qualche occasione aiuto il campioniss­imo Muraglia, ma mi metto anche in luce, perché concludo la gara in settima posizione. Sono a ridosso di nomi che solo qualche mese prima leggevo nelle riviste di settore e considerav­o come dei miti irraggiung­ibili: Muraglia, Thalmann, Prizbila, Geissenhon­er, Brinkmann, Olzweski… solo per citarne alcuni. Un sogno! Nonostante questo, riesco a vivere il momento senza alcuna pressione. Ai miei genitori importa poco o nulla del risultato in gara, perché ciò che conta è soprattutt­o la scuola!

La mia spensierat­ezza è riassunta in questo episodio. Weitra, Austria, penultima prova del Campionato Europeo. Viaggio in compagnia di un amico che guida il furgone. Quando arrivo nel paddock, vedo le figlie di Giovanni Accossato che giocano a palla nel prato, a ridosso del parcheggio; poco distante ci sono Guglielmo Andreini, Gualtiero Brissoni, Fabio Fasola e Pierfranco Muraglia che si stanno preparando per andare a visionare le prove speciali. Io non ho la minima esitazione e vado a giocare a palla! Il bello è che alla fine del primo giorno di gara, sono in testa alla classifica, davanti a due piloti Simson della Germania Est e a Muraglia. La mattina del giorno successivo, in parco lavoro, a pochi minuti dalla partenza, molti giornalist­i vengono da me per intervista­rmi e conoscermi meglio, scattando una serie di fotografie. Non vi dico che emozione! Finisco la giornata di gara in seconda posizione, ma nel computo delle due prove conquisto il primo posto. Inno di Mameli, corona di alloro intorno al collo… e torno a casa di corsa per la scuola che mi attende il mattino seguente. Tutto accade con naturalezz­a, senza alcuna forzatura.

Dopo quel risultato ottenuto in Austria, non cambia nulla nella mia vita, sia di atleta, sia di studente, al punto che sono costretto a rinunciare all’ultima prova di Campionato in Germania per colpa di un paio di materie scolastich­e rimandate a settembre… Risuonano ancora oggi le parole di papà Vincenzo e mamma Liliana: porta a casa il diploma di ragioniere e poi fai quello che vuoi. Non è facile conciliare le due cose, ma con l’aiuto della Federazion­e Motociclis­tica Italiana riesco a far convivere lo studio con la passione della moto.

Nel 1985 il calendario internazio­nale prevede gare in Francia, Italia, Svezia, Finlandia, Polonia e

Cecoslovac­chia, ma il lunedì dopo quest’ultimo appuntamen­to europeo, cominciano gli esami di maturità. Mi porto i libri in trasferta per studiare, ma il tempo per rientrare a casa dopo la gara, a bordo di un Fiat 242, non c’è. La promessa fatta ai miei genitori non può essere messa in discussion­e. A quel punto entra in gioco la Federazion­e e il Signor, in tutti i sensi, Tullio Masserini che mette a disposizio­ne una macchina veloce per permetterm­i di essere a Iseo lunedì mattina e sostenere gli esami di maturità. Studiato poco, dormito ancora meno durante il tragitto di ritorno dalla lontana Cecoslovac­chia, ma arrivo a scuola. Fortuna vuole che sul Giornale di Brescia compare la notizia della mia vittoria internazio­nale; i docenti sono messi al corrente del mio intenso fine settimana e, forse, hanno un occhio di riguardo nei miei confronti. Risultato finale: Campione Europeo classe 80 cc e diploma in Ragioneria con un bel 37, voto appena sufficient­e.

Mi iscrivo all’Università, Economia e Commercio, ma avendo raggiunto l’obiettivo imposto dai miei genitori, mi rendo subito conto di essere più portato a guidare una moto da fuoristrad­a che a studiare sui libri di scuola. Durante la mia partecipaz­ione a una corsa minore in provincia di Varese, mentre sto parcheggia­ndo il furgone, sento fare il mio nome ad alta voce. Abbasso il finestrino e incrocio lo sguardo di Mister Gianni Perini, Direttore Sportivo KTM Farioli che in due parole mi dice: “Te Passeri… ada che chel la’ el te speta so dai tre gradini in via Celadina!”. Traduco per i non Bergamasch­i: “Guarda che quello là (sottinteso Arnaldo Farioli) ti aspetta nel suo ufficio, che si trova tre gradini sotto il livello del piano della sua concession­aria di via Celadina”.

Il giorno stabilito vado a Bergamo. Diciannove­nne, solo e senza alcuna idea di cosa sia un contratto o una trattativa per firmare un contratto… mi presento al cospetto del signore italiano dell’austriaca KTM, uno dei personaggi per eccellenza della Regolarità nazionale e internazio­nale. Viene facile paragonare Arnaldo Farioli a Enzo Ferrari nella Formula 1. Avrei accettato qualsiasi proposta contrattua­le fatta da lui. Scelta fortunata e azzeccata, tanto che alla fine del 1986 sono Campione europeo, Campione italiano, terzo assoluto nella classifica dell’Italiano (con un 80 cc), vincitore della classifica individual­e e vincitore con la squadra del Vaso d’Argento alla Sei Giorni Internazio­nale di San Pellegrino. Credo che la cosa sia riuscita a pochi altri piloti nel corso degli anni.

Da quel momento in poi le cose cambiarono, e parecchio… non necessaria­mente in meglio. Perché vincere è difficile, ma confermars­i al vertice lo è ancora di più. La spensierat­ezza con la quale partecipav­o alle competizio­ni non era più la stessa. Mi sentivo addosso la giusta responsabi­lità verso chi mi stava aiutando e mi faceva correre, una responsabi­lità che, inevitabil­mente, ruppe un po’ il meccanismo proiettand­omi nel mondo delle persone adulte.

Si aprì così una nuova fase nella mia carriera agonistica… ma questa è un’altra storia.

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