Fuoristrada e motocross d'epoca
RICORRENZE
L'America dei Boschi e Mario Tortone
Era il 14 maggio 1961 quando sulla pista piemontese dell’America dei Boschi si svolse la prima di una lunga serie di gare, nazionali e internazionali, che fecero grande l’impianto fondato da Giuseppe Mondino. Aneddoti, momenti indimenticabili e curiosità in questo articolo impreziosito dalle testimonianze di chi ha visto l’epilogo amaro del 2001, quando il tracciato in provincia di Cuneo, diretto per più di un ventennio da Mario Tortone (scomparso un anno fa),
chiuse definitivamente i battenti
In Italia, negli anni Sessanta, il Motocross divenne sempre più popolare grazie alle gesta di grandi campioni che, gara dopo gara, entusiasmarono i tifosi con duelli al limite, regalando un insieme di sensazioni indescrivibili destinate a rimanere sulla pelle. Contribuirono alla crescita progressiva di questo movimento, anche i magnifici tracciati presenti nel nostro Paese con i loro rispettivi responsabili: uomini innamorati del fuoristrada, dediti al lavoro e desiderosi di coltivare, giorno dopo giorno, quella passione che riempiva il loro cuore.
Per più di un ventennio, Mario Tortone è stato a capo dello storico impianto dell’America dei Boschi in provincia di Cuneo che, nell’arco degli oltre 40 anni di attività, ospitò numerose gare internazionali e quattro edizioni del Campionato del mondo, equamente divise tra Motocross e Sidecarcross. Grazie al ricordo dei suoi figli, Diego e Fabio e della moglie Angela, desideriamo mantenere viva la memoria di quest’uomo, scomparso il 26 marzo 2020, attraverso la lunga storia di questa pista che, esattamente 60 anni fa, fu inaugurata dal suo fondatore, Giuseppe Mondino. Un articolo intriso di aneddoti, momenti indimenticabili e curiosità, per ricordare Mario e quel tracciato che seppe regalare innumerevoli emozioni agli appassionati di tutto il mondo.
LA NASCITA DELL’IMPIANTO E IL PRIMO MONDIALE
La pista dell’America dei Boschi iniziò a prendere forma nel lontano 1959, quando Mondino acquistò un terreno ampio e ideale per formare un campo di Motocross. Un uomo lungimirante, abile nelle pubbliche relazioni e innovativo che, dopo due anni di duro lavoro e grazie all’aiuto di persone della zona a lui vicine, realizzò un circuito magnifico caratterizzato da un lungo rettilineo di partenza, seguito da un salitone che incuteva timore anche ai più esperti piloti dell’epoca e completato da una zona mista composta da curve e varie contropendenze, conclusa dal temibile discesone che immetteva sul traguardo.
La prima gara ufficiale si disputò il 14 maggio 1961 e, nell’arco di poco tempo, la fama della pista piemontese scavalcò i confini nazionali. Ogni anno le competizioni di cartello erano almeno tre, due a livello internazionale e una di Campionato Italiano. Un debutto promettente che fece da presagio al primo GP Mondiale, valido per il torneo iridato della classe 250: la prova si svolse l’11 giugno 1967 e al via di quella gara si annotarono numerose leggende del periodo. Il duo svedese composto da Torsten Hallman (futuro Campione del mondo) e Olle Pettersson s’impadronì della scena concludendo, nell’ordine, davanti al belga Joël Robert e al nostro
Emilio Ostorero, quarto assoluto e protagonista di due prestazioni coriacee dinanzi agli oltre 35mila spettatori. Già perché i presenti nell’impianto cuneese erano sempre numerosi, provenienti da tutta Italia pur di recarsi in quel meraviglioso anfiteatro naturale. La stessa cosa che fecero due anni più tardi, il primo giugno 1969, per una gara internazionale. In una giornata d’inizio estate, l’apice fu toccato nella manche conclusiva, quando ‘Il leone di Avigliana’ si rese protagonista di un duello al cardiopalma con Jeff Smith; il pubblico non poté credere ai propri occhi, di fronte a un corpo a corpo d’antologia che lo mandò in visibilio. All’inizio dell’ultima tornata, l’inglese, dopo un lungo inseguimento, prese il comando della corsa e sembrò involarsi verso il successo, ma Ostorero compì un miracolo sportivo infilando il Campione della classe 500 con un’azione da brividi nel discesone finale; un sorpasso di puro coraggio e istinto, compiuto grazie a un salto lunghissimo che gli diede la possibilità di mettere le sue ruote dinanzi al rivale, cogliendo il successo di giornata. Fu l’apoteosi per il talento piemontese arrivato a tutta velocità sul traguardo, tanto da finire contro le reti di protezione poste vicino al piazzale di partenza. L’impresa era però compiuta, in un misto di gioia e delirio, per quella che fu una delle più significative affermazioni dell’asso italiano in campo internazionale. Anche un uomo di poche parole come Jeff Smith non poté fare a meno di elogiare il pluricampione azzurro, recandosi da lui per complimentarsi di quel sorpasso ‘impossibile’.
LA CRESCITA ESPONENZIALE E IL CAMBIO DELLA GUARDIA AL VERTICE
All’inizio del decennio successivo, Giuseppe Mondino conobbe Mario Tortone, frequentatore assiduo del tracciato per via di quella passione viscerale per il fuoristrada. È bene ricordare che l’America dei Boschi vide protagonisti anche i mezzi a quattro ruote, che gareggiarono sfruttando una porzione dell’impianto per poi allargarsi nelle zone limitrofe.
Nel maggio 1975 a fare notizia fu la presenza di Roger De Coster, che tenne un corso di Motocross pubblicato, in seguito, sulla rivista ‘Motociclismo’; all’inizio avrebbe dovuto svolgersi sul tracciato di Casale Monferrato, dopo la prova del Mondiale 500, ma viste le condizioni impraticabili della pista a causa delle abbondanti piogge, la sede fu rettificata e trovò nell’America dei Boschi la giusta soluzione all’inconveniente.
Nel frattempo, il rapporto d’amicizia tra Mondino e Tortone si cementificò sempre più e permise il passaggio di consegne tra questi due uomini d’altri tempi, diversi sotto vari aspetti, ma accomunati dal grande desiderio di tenere alto l’onore della pista piemontese in tutto il mondo. Le prove a livello nazionale erano ormai una bella consuetudine, ma questo non distolse Mario Tortone dal desiderio di calcare di nuovo palcoscenici prestigiosi. Il notevole sforzo profuso portò a una nuova soddisfazione: nel 1979 il Campionato del mondo della quarto di litro tornò nell’impianto cuneese. Anche in quella circostanza, i piloti di fama internazionale al via furono numerosi e seppero richiamare oltre 30mila appassionati. Il 29 aprile di quell’anno ogni angolo del tracciato fu occupato e nemmeno il rombo dei motori riuscì a coprire le urla della folla assiepata a bordo pista. Furono fatte le cose in grande stile, tanto che l’ospite d’onore della giornata fu Joël Robert, sei volte iridato nella 250, accorso nell’impianto che 11 anni prima lo vide duellare con il rivale Torsten
Hallman per la conquista del GP d’Italia. Aleggiava, però, una preoccupazione generale, dato che nei due anni precedenti la prova della classe 250 era stata condizionata dalle abbondanti precipitazioni, presenti tanto ad Apiro quanto a Serramazzoni. Giove Pluvio si scatenò pochi giorni prima della gara, ma nel fine settimana la situazione migliorò, facendo tirare un sospiro di sollievo agli organizzatori e al pubblico da record; l’impianto stabilì, infatti, il primato come maggior incasso nella storia di un GP svolto sul territorio italiano.
Prima dell’avvio della manche d’apertura si verificò un problema: la zona di partenza risultò per metà inagibile, per colpa di un terrapieno e per la presenza di un tratto divenuto simile a delle sabbie mobili. La Giuria Internazionale decise di ridurre il cancelletto e i piloti si posizionarono su un’abbondante doppia fila. Il più veloce al via della manche d’apertura fu il russo Vladimir Kavinov, mentre Giuseppe Andreani s’installò in zona podio, animando così il tifo nostrano. Ma la gioia durò poco: l’azzurro, infatti, scivolò e scese in fondo al gruppo, mentre l’inglese Neil Hudson rilevò il comando della corsa. Hakan Carlqvist, leader del Campionato, scattato a centro gruppo, rimontò con veemenza, tanto da portarsi a ridosso delle zone di vertice. La lodevole prestazione dello svedese, però, svanì a causa di un problema al pedale del cambio che lo costrinse al ritiro. Neil Hudson conquistò così il successo, mentre purtroppo nessun italiano entrò in zona punti.
Nella frazione conclusiva, il vincitore della prima manche si piazzò subito in vetta al gruppo; pochi minuti dopo, si delineò una lotta a tre per il primato, con Gennady Moiseev e Hakan Carlqvist decisi a dare battaglia al pilota britannico della Maico. Il sovietico e lo scandinavo iniziarono a pressare, a più riprese, il battistrada, con il primo che acquisì il comando delle operazioni a poche tornate dalla bandiera a scacchi. Moiseev tentò, quindi, la fuga decisiva, ma non poté fare nulla contro la determinazione del coriaceo svedese, che lo infilò perentoriamente infuocando le conclusive battute di gara. Gli ultimi giri furono al cardiopalma, con i due rivali impegnati allo spasimo in ogni metro del tracciato; la situazione non mutò più e ‘Carla’ riuscì a portarsi a casa
il successo parziale davanti al Campione in carica della categoria. Nonostante un finale in affanno, Neil Hudson riuscì a difendersi dal forcing messo in atto dal compagno di marca, Hans Maisch e salì sul gradino più alto del podio nell’assoluta. Il nostro tricolore fu difeso dalla prestazione tutta cuore e sacrificio di Ivan Alborghetti, che dopo aver mantenuto a lungo la quinta piazza, acciuffò l’ottavo posto meritandosi l’applauso del pubblico. La giornata si concluse con un’immagine indimenticabile: Hakan Carlqvist e Gennady Moiseev, da veri campioni, si strinsero la mano subito dopo il traguardo, congratulandosi a vicenda e mettendo il punto esclamativo su una pagina marchiata nella leggenda di questo sport. Ultimata la prova, l’organizzazione di Mario Tortone ricevette notevoli consensi per l’impeccabile gestione del weekend, che portò il tracciato cuneese a ergersi come capitale del Motocross nazionale.
LE GARE NAZIONALI, I MONDIALI SIDECAR E LA NASCITA
DEL ‘GOLDEN TROPHY’
Gli anni Ottanta non furono da meno in quanto a soddisfazioni e si aprirono con lo svolgimento dell’ultima prova valida per il Campionato Italiano 1980, classe 500. Il 28 settembre la battaglia per la tabella numero uno tra Franco Picco e Corrado Maddii si concluse in favore di quest’ultimo per appena due lunghezze. In sella a una Aprilia (dotata quel giorno di motore Yamaha), il toscano recuperò il distacco dal rivale veneto, aggiudicandosi sul filo di lana la prima affermazione tricolore nei Senior in carriera, nonostante una seconda manche corsa in apnea a causa di un ammortizzatore fuori uso che fece temere il peggio. Non appena conclusa la frazione di chiusura, i tanti supporters di Maddii portarono in trionfo il loro beniamino, osannato per quel successo tanto atteso, quanto desiderato. Da rimarcare la lodevole prestazione di Pietro Miccheli, vincitore di giornata su KTM con un primo e un secondo posto parziale. Un anno dopo, l’America dei Boschi tornò al centro dei palcoscenici nazionali con la nona tappa del Trofeo Supermotocross. Il 6 settembre 1981 i migliori assi del Cross tricolore offrirono uno show magnifico, facendo emozionare le oltre diecimila persone accorse per l’occasione. Le due semifinali fecero intravedere grandi cose, con i successi parziali di Maurizio Dolce e Michele Rinaldi. L’attesa si riversò poi sulla finale: 45 minuti vissuti con il cuore in gola, senza un attimo di sosta, né per gli appassionati, né per i protagonisti in gara. La tensione salì alle stelle, tanto che al via qualche pilota anticipò lo start, costringendo tutti a tornare dietro il cancelletto. Alla ripartenza, Maurizio Dolce uscì come un proiettile imprimendo, fin dai primi metri, un ritmo forsennato, con Ivan Alborghetti e Michele Rinaldi subito a inseguire. Il leader della prova mise in campo un concentrato di forza ed esplosività, ma a tradirlo fu la voglia di strafare: il portacolori della Maico scivolò nel primo curvone di ritorno rispetto al rettilineo di partenza e fu infilato dai due rivali che lo inseguivano. Fu la scintilla che fece prendere fuoco alla gara. Con rapidità, Maurizio Dolce tornò in sella, ferito nell’animo ma pronto a dare ancora battaglia; Ivan Alborghetti acquisì la testa della gara e parve resistere, per alcuni giri, agli assalti di Michele Rinaldi. Finché il pilota di Parma tirò fuori dal cilindro l’ennesima magia, trovando lo spiraglio per impossessarsi della prima posizione. I colpi di scena non finirono qui. L’alfiere della Gilera cadde sul tratto in cemento alla fine del salitone e fu costretto ad accontentarsi del terzo gradino del podio, permettendo a Ivan Alborghetti di riprendersi la vetta. A poche centinaia di metri dalla bandiera a scacchi, Maurizio Dolce trovò ancora la forza per tentare un ultimo assalto, tenendo il gas aperto laddove nessun altro avrebbe avuto il coraggio di farlo: fu un
arrivo al fotofinish, che premiò Alborghetti di appena mezzo secondo. Un finale thrilling, degno di una prova iridata, che rapì l’animo degli spettatori letteralmente ammaliati dinanzi a cotanto agonismo. Il pilota della KTM trionfò sul filo di lana, ma il plauso del pubblico fu equamente diviso per i ‘tre tenori italiani’, autori di una performance d’altri tempi per intensità e coraggio. Dopo soli sette mesi da quella prova, l’impianto piemontese conquistò nuovamente il centro delle attenzioni, grazie all’assegnazione della tappa italiana del Mondiale Sidecar, round inaugurale della stagione.
Il 4 aprile 1982 l’America dei Boschi fu di nuovo tirata a lucido per un appuntamento di prim’ordine. Nonostante la disciplina non fosse così evoluta come il Motocross, la risposta del pubblico fu ancora una volta eccellente, con oltre 20mila persone assiepate nei punti nevralgici della pista. Un entusiasmo che contagiò i piloti presenti, tanto che in molti affermarono di non aver mai corso una gara con così tanta gente. Le due manche andarono ai detentori della corona iridata, ovvero l’equipaggio olandese formato da Van Heugten e Kiggen, in grado di regolare la resistenza dei coriacei svizzeri, Bollhalder e Busser. Passarono pochi mesi e il 5 settembre dello stesso anno, andò in scena il penultimo atto del Supermotocross riservato alla classe 125. La finale vide come assoluto protagonista, nel bene e nel male, Michele Magarotto: il veneto impresse alla gara un ritmo insostenibile, tanto da riuscire a scavare, in poco tempo, un notevole gap tra sé e Franco Perfini, il più immediato degli inseguitori. Ne venne fuori uno show d’alta scuola, nonostante la pioggia improvvisa scatenatasi nel corso della manche. Il leader della prova rischiò seriamente di gettare tutto al vento, dapprima con una paurosa imbarcata avvenuta al culmine del salitone e, in seguito, con una caduta a pochi metri dall’arrivo. I tecnici della TGM presenti a bordo pista osservarono impotenti il loro pilota a terra, che sembrò vedere svanire un successo ormai suo; il fango creatosi parve imprigionarlo, ma con un motto d’orgoglio Magarotto si rialzò e concluse l’azione tagliando per primo il traguardo, malgrado la sventura patita.
Arrivò il 1985 e una nuova prova di caratura internazionale segnò la nascita di un giovane fuoriclasse capace, a soli 17 anni, di compiere una manovra magistrale ai danni del due volte iridato, Hakan Carlqvist. Questo fu il biglietto da visita di Alex Puzar, secondo assoluto nella generale dietro al corregionale Paolo Caramellino, ma grande protagonista della giornata con un sorpasso effettuato nel discesone finale ai danni dello stupefatto Carlqvist. Da uomo sportivo, a fine gara ‘Carla’ andò a stringere la mano del ragazzo di Ceva, complimentandosi con lui per quanto realizzato.
Dodici mesi più tardi, il 28 settembre 1986, il Mondiale Sidecarcross fece ritorno sul suolo cuneese, questa volta per disputare l’atto finale del Campionato del mondo. Il duo svizzero formato da Bachtold e Fuss spadroneggiò nella prova conclusiva, mettendo la ciliegina sulla torta a un’annata vissuta da protagonisti e culminata con la conferma del Titolo iridato. Anche in questo frangente, non mancò il plauso da parte dei piloti e della Giuria Internazionale per il magnifico lavoro svolto da Mario Tortone che, nonostante la delusione per la mancata assegnazione di un Mondiale assai più prestigioso, non si scoraggiò e mise in campo tutta la sua bravura nel preparare al meglio l’impianto.
Quell’anno, Mario capì che il Motocross stava migrando verso nuove direzioni; decise, quindi, di realizzare un tracciato di Supercross, movimento in decisa ascesa oltreoceano e in grado di catalizzare l’interesse generale. Non tralasciò alcun dettaglio e proprio nel 1986, dopo aver analizzato alcuni circuiti indoor in Germania, creò questa nuova pista a pochi passi dal tracciato principale, ideando per l’occasione una competizione ad hoc: il ‘Golden Trophy’. La risposta dei piloti e degli appassionati fu incredibile, tanto che fin dagli esordi il successo fu sotto gli occhi di tutti. Una fiumana di gente si accalcò per seguire queste gare infrasettimanali che si svolgevano in notturna. Gli assi del Motocross non tardarono ad arrivare e così, in poco tempo, l’America dei Boschi elevò nuovamente il suo già notevole prestigio, ribadendo lo status di impianto internazionale di altissimo livello. In questo challenge innovativo si sfidarono fuoriclasse europei e americani, sempre più desiderosi di non mancare al via dinnanzi ai tanti tifosi
che prendevano posto sulle tribune naturali sin dal tardo pomeriggio.
Da Alex Puzar a Trampas Parker, passando per Billy Liles, Bob Moore, Bader Manneh, Maurizio Dolce e Paolo Caramellino, la lista dei partenti faceva impallidire per classe e talento. Una serie di prove in cui nessuno tirò mai i remi in barca, nonostante gli svariati impegni a livello mondiale. L’esempio più eclatante avvenne nel 1987 quando, nel corso del secondo round, un giovane Trampas Parker entrò in curva come un falco in picchiata sul malcapitato Maurizio Dolce, finito al tappeto con una mano dolorante; la manovra azzardata comportò la squalifica dell’americano e dopo quell’episodio, scaturirono numerose polemiche, a dimostrazione di quanta fosse la voglia di vincere dei piloti in quella nuova e affascinante competizione. L’edizione d’apertura, invece, fu marchiata a fuoco dal successo di Alex Puzar, capace d’imporsi in due delle quattro prove che si disputarono.
Sul finire degli anni Ottanta, l’America dei Boschi tenne a battesimo la prova d’apertura del neonato Campionato Europeo classe 125, che vedeva in gara i migliori interpreti under 21 della specialità a livello continentale. Il debutto delle ottavo di litro non fu dei più fortunati: il 15 maggio 1988, le fitte piogge cadute nei giorni precedenti ridussero il tracciato a un inferno di fango. Il weekend fu una lotta continua, con moto e piloti impegnati a barcamenarsi con tutte le loro forze pur di non affondare nell’infido fondo formatosi. La Giuria Internazionale, dopo vari incontri, decise di confermare la prova e le tre manche che si svolsero furono una vera e propria battaglia per i giovani partecipanti. Al termine della heat inaugurale, fu tagliato addirittura il salitone per i numerosi problemi riscontrati dai piloti nel percorrerlo. A portare a casa la contesa fu Annunzio Fanton, fratello di Michele, che grazie alla vittoria nella manche d’apertura e tre podi parziali, s’impose dinanzi all’agguerrito terzetto tedesco composto da Berndt Eckemback (vincitore della frazione centrale),
Horst Schneider e Andreas Kanstinger. Da rimarcare anche il successo nella heat di chiusura dell’azzurro Davide Gariboldi, autore di un’autorevole prestazione conclusa davanti al vincitore di giornata. Il decennio si chiuse con la classica ciliegina sulla torta: il 27 marzo 1989 andò in scena il Campionato Italiano classe 125. Circa diecimila persone incitarono senza sosta Alex Puzar e Trampas Parker, eroi di giornata con tre gare al cardiopalma vissute costantemente sul filo dell’incertezza. Un confronto tra due fuoriclasse tutto cuore e grinta: ad avere la meglio fu il talento di Ceva, autore di una tripletta che gli garantì il boato del pubblico sul podio finale.
Oltre al torneo tricolore, ci fu lo svolgimento di un trofeo internazionale rinomato in prova unica, denominato ‘Silver Cup’. Il 10 settembre 1989 la coppa finì nelle mani dello svedese Leif Persson, nonostante il notevole sforzo di un mai domo Franco Rossi, al quale non bastò aggiudicarsi due manche su tre per imporsi nell’assoluta. Da sottolineare anche la presenza di un giovanissimo Stefan Everts che, nonostante fosse ancora minorenne, diede in più di un’occasione del filo da torcere agli esperti rivali, acciuffando addirittura il terzo posto nella frazione inaugurale. In quella circostanza il tracciato fu rinnovato e si presentò sotto una nuova veste: il lungo rettilineo di partenza fu spezzato in due con la creazione di un tratto misto. Una modifica attuata da Mario Tortone su richiesta della Federazione, per potersi garantire un Mondiale di primo piano nell’annata seguente. Tutto ciò venne in seguito disatteso a causa di una vicenda che, di nuovo, esattamente come accaduto quattro anni prima, lasciò l’amaro in bocca al proprietario dell’impianto.
LE ULTIME GARE INTERNAZIONALI E LA CHIUSURA
Nonostante la beffa per un accordo mancato al fine di ottenere una prova iridata, gli anni Novanta partirono comunque con il piede giusto. Il nuovo decennio si aprì ufficialmente il 25 febbraio 1990 con la tappa d’apertura degli Assoluti d’Italia classe 500: gli americani Trampas Parker e Shaun Kalos si aggiudicarono le prime due batterie, ma grazie al successo nella manche conclusiva, fu Franco Rossi a incamerare il trionfo di giornata, iniziando così nel migliore dei modi il Campionato nazionale. L’allora rappresentante del Team KTM IPA Corse tornò sul campo dell’America dei Boschi il 27 maggio e si prese la rivincita sullo scandinavo Leif Persson per la conquista della ‘Silver Cup’. Il pilota spezzino ribadì l’ottimo feeling con il tracciato cuneese aggiudicandosi, anche in quest’occasione, due delle tre
frazioni in programma: salì sul gradino più alto del podio dopo una battaglia che, tra gli altri, vide protagonista anche il veterano Giuseppe Gaspardone. L’esperto pilota piemontese, nonostante le 35 primavere sulle spalle, fu sospinto a gran voce dal pubblico locale, tanto d’acciuffare il terzo posto assoluto. Arrivò poi il biennio degli Assoluti d’Italia, competizione divenuta con il tempo una piacevole habitué. Il 20 aprile 1992, l’immancabile gara di Pasquetta si animò grazie alle fantastiche battaglie tra i grandi protagonisti del torneo tricolore. Max Gazzarata, Michele Fanton e Franco Rossi dettarono legge nelle tre manche valide per la classe Open, ma lodevoli furono anche le performance dei giovani Andrea Bartolini e Chicco Chiodi.
Dodici mesi più tardi, il 12 aprile 1993, l’America dei Boschi fu scelta come tracciato d’apertura della stagione tricolore. La giornata, iniziata sotto il sole e conclusa sotto il diluvio, vide il padrone di casa, Alex Puzar in veste di prim’attore: trionfò, infatti, sia nella frazione d’apertura, sia in quella di chiusura, lasciando solo quella centrale in favore di Michele Fanton. Soprattutto nella manche finale, il piemontese diede prova del suo eccelso talento sui terreni fangosi, dominando al punto tale da tagliare il traguardo con quasi 50 secondi di vantaggio sul più diretto inseguitore. Una prova maiuscola, applaudita dal folto pubblico accorso a sostenere il suo beniamino, che un decennio prima aveva mosso i primi passi nel Motocross proprio su questo impianto. Il giorno dopo, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che quella gara sarebbe stata l’ultima di grande caratura per quell’impianto leggendario. Le problematiche dovute alle lamentele dei residenti limitrofi per l’eccessivo rumore proveniente dalla pista, causarono diverse chiusure che, seppur seguite da nuove aperture e dalla voglia di non mollare di Mario Tortone, non lasciarono scampo con il passare del tempo. L’ultima gara di spessore fu disputata il 14 settembre 1997, quando andò in scena una prova tricolore Junior: s’imposero Cristian Stevanini e Fabrizio Dini, piloti che da lì a poco avrebbero calcato palcoscenici internazionali. Questo fu l’acuto conclusivo di un tracciato che chiuse i battenti con l’avvento del nuovo millennio: il 2001 segnò, infatti, l’epilogo amaro di una pista entrata, di diritto, nella leggenda del Motocross.
LA TESTIMONIENZA DI DIEGO E FABIO TORTONE
Per comprendere al meglio la storia dell’America dei Boschi, abbiamo intervistato Diego e Fabio
Tortone, figli di Mario che, insieme alla moglie Angela, hanno portato alla luce fatti inediti con l’intento di mantenere vivo il ricordo del padre e dell’impianto che per oltre due decenni è stata la loro seconda casa.
“Negli anni Settanta, papà correva spesso in macchina, tanto che in più di un’occasione gareggiò nelle prove di autocross che si svolgevano proprio su questo tracciato. Conobbe così Giuseppe Mondino, fondatore dell’impianto; la loro amicizia si consolidò con il passare del tempo, tanto da favorire il passaggio di consegne dall’uno all’altro verso la fine del 1977. Nostro padre iniziò quell’avventura con investimenti studiati e precisi, a partire dall’allargamento della pista. Il notevole sforzo prodotto portò, in breve, una giusta ricompensa: il Mondiale 1979 classe 250. Un evento magnifico, preparato fin nei minimi dettagli e ripagato dalle oltre 30mila persone presenti. Negli anni Ottanta, ospitammo due Mondiali Sidecarcross e il Campionato Europeo, competizioni di prestigio ma quasi ‘di scorta’ per noi, perché eravamo a un passo dall’acquisizione del GP d’Italia valevole per il Campionato del mondo classe 500. Per ben due volte, nel 1986 e nel 1988, sembrò cosa fatta… ma alla fine tutto sfumò all’ultimo momento, suscitando una grande delusione in nostro padre. Nel 1990 ci fu assegnato il Mondiale classe 125, ma lui decise di rifiutarlo, perché riteneva che l’America dei Boschi meritasse il torneo iridato più prestigioso, ovvero quello della quarto di litro. Senza contare che, quell’anno, nella 250, c’era anche Alex Puzar, che qui era di casa… e la sua presenza, come quella degli altri italiani in gara, avrebbe certamente incrementato l’afflusso degli appassionati. Nel 1989 i tecnici della Federazione Motociclistica ci chiesero di modificare, in parte, la pista per ridurre la velocità media sul giro, secondo loro troppo elevata; in quel modo avremmo potuto ottenere il via libera per il Mondiale dell’annata seguente, ma di nuovo
quelle promesse furono disattese. Episodi diciamo sfortunati, che lasciarono dei rimpianti e influirono molto sul futuro della pista. Finché alla fine degli anni Novanta, anche le continue lotte giudiziarie per tenere aperto l’impianto fecero sentire il loro peso... Come accaduto per altri tracciati rinomati, il fattore rumore ci costrinse alla chiusura, nonostante la passione enorme e la dedizione assoluta messe in campo, giorno dopo giorno, da nostro padre e dal suo gruppo di lavoro. Il dispiacere fu enorme, anche perché non ci sentimmo supportati da vari organi che avrebbero potuto aiutare l’impianto a rimanere aperto. Un finale amaro per un luogo che ha offerto ricordi ed emozioni a tantissime persone. Nel complesso è stata comunque una bellissima avventura e un periodo della nostra vita che non potremo mai dimenticare. Quando un anno fa è venuto a mancare nostro padre - hanno concluso Diego e Fabio - abbiamo ricevuto molti messaggi di vicinanza e di affetto da parte di tanti campioni che all’America dei Boschi hanno corso: è stato il segno che, nonostante il passare del tempo, le cose buone e fatte bene non sono state dimenticate. A nostro padre tutto questo avrebbe fatto piacere…”.
LA TESTIMONIANZA DI PAOLO FERRERO
L’America dei Boschi divenne un impianto di fama internazionale anche per merito della grande organizzazione presente in ogni circostanza e delle persone che lavorarono con passione a ogni gara, dal Campionato regionale alla prova di livello mondiale. Abbiamo interpellato Paolo Ferrero, che nei gloriosi anni Ottanta fu il segretario di gara del tracciato piemontese.
“Il mio primo vero incontro con Mario Tortone fu particolare, per colpa di una bravata fatta da me insieme ad alcuni amici. All’America dei Boschi c’era una gara molto attesa come il Supermotocross… e decidemmo di entrare in pista per assistere all’evento senza passare dall’entrata. Le persone che gestivano la sicurezza ci adocchiarono subito, ed essendo sprovvisti di biglietto, ci portarono da Mario. Lui giustamente ci tirò le orecchie, senza però farci pagare alcuna multa. In fondo ci conosceva da tempo ed eravamo assidui frequentatori dell’impianto. Ci diede addirittura una possibilità, tanto inattesa quanto bella: vista la nostra grande passione, ci chiese di partecipare attivamente, come personale di servizio, alle varie gare che si sarebbero disputate sul circuito. Fui l’unico ad accettare la proposta… e in poco tempo mi ritrovi arruolato all’America dei Boschi. Quella bravata ebbe per me un bellissimo risvolto, soprattutto nel periodo in cui, per oltre un decennio, ho ricoperto il ruolo di segretario di gara. Di tutto questo non posso che ringraziare il grande Mario Tortone”.
LA TESTIMONIANZA DI PAOLO CARAMELLINO
Tra i tanti campioni che hanno gareggiato all’America dei Boschi, abbiamo interpellato Paolo Caramellino che su questo tracciato si tolse belle soddisfazioni, riuscendo a fare ancora meglio nell’impianto indoor, dove si aggiudicò svariate gare.
“La famiglia Tortone era un agglomerato di organizzazione e passione. Mario era una grande persona, di quelle d’altri tempi che oggi mancano tanto. Si occupava di tutte le faccende e veniva supportato splendidamente dalla moglie e dai figli. Il tracciato era naturale, con varie zone ad alto tasso di difficoltà. Il salitone con il tratto in cemento riportato nella zona alta era il punto distintivo dell’impianto, come anche il celebre e temuto discesone. Il giorno della gara, la pista veniva sempre tirata a lucido ed era composta da un terreno che variava molto da una parte all’altra del tracciato. Se l’America dei Boschi esistesse ancora oggi, sono certo che sarebbe molto apprezzata, e tanti appassionati andrebbero lì ad allenarsi esattamente come una volta. Era una delle poche piste sempre aperte, tant’è che anch’io, non a caso, vi ho passato molto tempo della mia gioventù, come hanno fatto altri campioni piemontesi, in primis Alex Puzar e Giuseppe Gaspardone. Ricordo di aver preso parte, nel 1985, a una prova internazionale nel giorno di Pasquetta… un appuntamento sacro a cui non si poteva mancare. Duellai a più riprese con Hakan Carlqvist e riuscii a vincere una manche, imponendomi anche nell’assoluta. Una soddisfazione non da poco, come anche il successo che ottenni al ‘Golden Trophy’ 1989, quando in una di quelle gare in notturna, m’imposi davanti a rivali di caratura mondiale come Bob Moore, Rodney Smith, John Van den Berk, Trampas Parker e Billy Liles, senza dimenticare i vari talenti azzurri. Nella storia di quella manifestazione, fu la tappa con il maggior numero di campioni al via e con il cachet più alto: terminare davanti a tutti quei fuoriclasse
mi diede un’enorme soddisfazione, che ricordo ancora bene! Un decennio più tardi, grazie anche al prezioso sostegno della famiglia Tortone, organizzai una gara denominata ‘Last Event’ della durata di due giorni, con una prova in bicicletta il sabato e una prova in moto la domenica. Fu l’ultimo evento proposto su quel tracciato, che da lì a poco chiuse i battenti. Insomma, non posso che avere un bellissimo ricordo dell’America dei Boschi, di Mario Tortone e dei suoi familiari”.
PER CONCLUDERE…
Ci sono luoghi che sentiamo nostri, anche se non esistono più. Posti che ci legano a una fase della nostra esistenza, a persone a noi care. L’America dei Boschi era un tracciato davvero molto bello che, negli anni, seppe elevarsi a punto di riferimento del Motocross, nazionale e internazionale. Le gare che si svolgevano a Pasquetta erano un momento di aggregazione imperdibile per molte famiglie: una giornata intera per ritrovarsi e stare insieme, godendo della compagnia e dell’affetto dei propri cari, lontano dalla frenesia e dal lavoro quotidiani. Un posto intriso di storia ed emozione, fatto di una moltitudine d’immagini che sono ancora vive nella mente e nell’animo delle persone appassionate di Motocross. Quelle di un gruppo di amici assiepati sul celebre salitone, oppure di un bambino gioioso tenuto in braccio dal padre in attesa dell’arrivo dei campioni sul temuto discesone. Scene ricche di valore umano, quando non c’era tempo per perdersi dietro a un selfie o a un post sui vari social. Perché quella giornata era magia, era un momento unico, di quelli che mancano al giorno d’oggi, soprattutto in un periodo come questo... Nel silenzio odierno, ricordiamo la gioia di quello che abbiamo vissuto. Qualcosa di bellissimo capace di riecheggiare ancora oggi nel nostro cuore. Qualcosa che mai svanirà. Come non svanirà mai il ricordo dei piloti leggendari che in sella alle loro rombanti due ruote hanno segnato la storia di questo impianto.
Ecco perché l’America dei Boschi non è stato solo un luogo dove fare Motocross: quella pista è una memoria, quasi un sentimento, indelebile nell’animo di chi l’ha vissuta e amata incondizionatamente.