Fuoristrada e motocross d'epoca
FIRME D'ALTRI TEMPI
Dario Agrati
Competente, intelligente, caparbio, curioso e animato da una voglia di fare che non si è mai incrinata da quando, a marzo del 1977, ha iniziato a collaborare con il settimanale ‘Motosprint’: il giornalista e fotografo Dario Agrati si racconta in questa intervista nell’inedita rubrica ‘Firme d’altri tempi’, dedicata alle persone che hanno fatto della scrittura un bene al servizio dei lettori
Classe 1951, il prossimo 17 settembre taglierà il traguardo dei 70 anni. Al di là del dato anagrafico, il giornalista e fotografo Dario Agrati ha tagliato ben altri traguardi nella sua vita di grande appassionato delle due ruote, soprattutto se hanno il tassello e sfrecciano nelle prove speciali di Enduro, la specialità off road alla quale ha giurato amore eterno. Residente a Renate nella ridente Brianza, tempo fa c’eravamo accordati con lui per una piacevole chiacchierata da inserire in questa nuova rubrica; poi, però, questo maledetto virus che continua a condizionare la nostra voglia di fare e di stare in mezzo alla gente, ci ha costretto a cambiare i nostri piani… e ci siamo dovuti accontentare di questa telefonata, altrettanto piacevole e ricca di spunti interessanti. Del resto, la grande passione e la profonda conoscenza del mondo dell’Enduro di quest’omone dallo sguardo sempre arguto e curioso, sono garanzia di un’intervista che vale la pena di leggere tutta d’un fiato.
Nel suo ‘palmares’ si contano 42 Assoluti d’Italia, 10 Campionati Europei, 30 Campionati del Mondo, 40 Sei Giorni, 4 Rally dei Faraoni, 6 Camel Trophy, 4 Incas Rally, 2 Parigi-Dakar, 2 Rally di Tunisia, 3 Nevada Rally, 7 Gilles Lalay
Classic, 8 Enduropale du Touquet e vari Rally come il Sardegna e il Titano. Nel 1990 ha realizzato un sogno: la pubblicazione del suo primo libro intitolato ‘Off Road Champions’ che, da quell’anno, esce regolarmente edizione dopo edizione, fino alla trentesima fresca di stampa.
Prima come pilota e poi come collaboratore di ‘Motosprint’, Dario Agrati è sempre stato un grande appassionato del tassello, al quale può dare orgogliosamente del ‘tu’ dopo 44 anni di ‘onorato servizio’ in veste di inviato della rivista settimanale per eccellenza delle due ruote. Gli piace fare foto
e scrivere articoli, raccontando dell’Enduro che gli ha consentito di girare il mondo, soprattutto dove c’è polvere, fango, sudore e fatica nelle gare più titolate di questa specialità off road. Adora quello che fa, sin da quando scrisse il suo primo reportage per ‘Motosprint’: era il mese di marzo del 1977 e da quel momento Dario ha saputo farsi strada in questo ambiente grazie alla sua competenza, intelligenza, caparbietà, curiosità e voglia di fare. A 40 anni esatti dal suo primo pezzo, ha festeggiato quattro decenni di passione per il fuoristrada con una serata speciale presso ‘La Rinascente’ di Piazza Duomo a Milano intitolata
‘L’Enduro in centro città’, capace di richiamare i grandi campioni di ieri e di oggi conosciuti durante la sua lunga carriera.
“Per me è sempre stato importante raccontare le gare, le sfide, le vicende di quelli che ritengo siano non solo semplici piloti, ma anche grandi eroi, facendo conoscere a tutto il mondo le loro imprese attraverso le mie foto”, aveva dichiarato Dario Agrati al termine di quella serata emozionante.
La sua è una storia fatta di passione, condivisione e dedizione, che vogliamo raccontarvi attraverso questa intervista.
Come ti sei avvicinato al mondo dell’Enduro?
“L’Enduro è sempre stata la mia passione, coltivata dapprima come pilota gareggiando per otto anni consecutivi, dal 1967 al 1974 (in questo periodo ho concluso due volte in terza posizione nell’allora Trofeo FMI vincendo, in un paio di stagioni, anche 18 gare sulle 22 disputate) e poi, all’inizio del 1977, come collaboratore del settimanale ‘Motosprint’. Il mio hobby era fotografare e scrivere articoli, avendo studiato anche legge, ed è così che nel 1980 sono divenuto giornalista regolarmente iscritto all’Ordine professionale della stampa italiana. Devo dire che fino a metà degli anni Novanta non ho seguito solo l’Enduro, ma anche gare di velocità, Rally in Africa come la Parigi-Dakar, Cross, Trial e Camel Trophy, fino a quando ho scelto di dedicarmi esclusivamente all’Enduro, perché gli impegni professionali con le gare erano divenuti impossibili da sostenere”.
Cosa ti piace dell’Enduro? “Dopo 44 anni passati ininterrottamente a seguire le gare, nel 2019 ho festeggiato, in Portogallo, la mia 40esima Sei Giorni Internazionale consecutiva. Dell’Enduro mi piace tutto! Mi stimola la curiosità e la possibilità di scoprire sempre luoghi nuovi.
L’Enduro è la moto nella natura. L’Enduro non è l’aggressività di una manche di Motocross. Certo, nelle prove speciali il pilota deve sapere essere aggressivo, irruente nell’affrontare il percorso per fare un buon tempo; ma quando la prova speciale è finita, l’Enduro ritorna ad avere il suo fascino di condividere con la natura l’aspetto romantico di una sfida sportiva che tutti i giorni l’uomo deve affrontare anche nel lavoro e nella vita. Grazie all’Enduro ho conosciuto anche i resti di antiche civiltà, come è accaduto in Perù o in Messico, per poi buttarmi nella vita caotica di metropoli brasiliane o cilene, scoprendo vecchi mercatini o acquistando accessori per le mie Nikon in quelli super tecnologici dei Paesi asiatici. E ho sempre vissuto anche i luoghi già conosciuti come se fossero diversi. Mi ritengo, quindi, uno di quei pochi fortunati ad aver fatto di un hobby una specie di lavoro. Cosa che, alla fine, resta sempre più un hobby che un lavoro. Come giornalista, quello che cerco di fare è raccontare sempre con il ‘cuore’ ciò che avviene alle gare. Lo spirito con cui affronto i miei impegni è sempre lo stesso, cosa che non si può dire invece del mio fisico che ormai, a 70 anni da compiere il prossimo 17 settembre, non è certo quello di un ragazzino. Come fotografo, invece, il mio obiettivo è quello di scattare una foto che prima di tutto deve trasmettere qualcosa a me stesso, perché sono convinto che se così non fosse, occhi diversi rimarrebbero estranei a tutto quello che lo scatto cela”.
Ti piaceva di più l’Enduro di 30 anni fa o quello di oggi?
“Ogni periodo ha sempre avuto il suo fascino: bello e romantico negli anni Ottanta, più agonistico negli anni Novanta. Dal 2000 decisamente professionale, anche se nell’Enduro rimane sempre uguale l’aspetto umano di questo sport”.
Cosa ti spinge a seguire le gare? “La curiosità. La voglia di sfida come quando correvo io e vincevo. Ho sempre sostenuto, inoltre, che prima di tutto se prendi un impegno, lo prendi con i lettori che sono i tuoi veri e unici datori di lavoro. Poi c’è la voglia di affrontare una gara con le stesse motivazioni di quando correvo, perché alla fine se esce un buon reportage su ‘Motosprint’, puoi solo sentirti orgoglioso di aver fatto bene il tuo dovere. Perché per me ogni volta che scrivo è anche ricordare una famosa sentenza della Corte Suprema americana in cui si spiega che la stampa è fatta per servire i governati e non i governanti”.
Se dovessi pensare a una gara che ti è rimasta nel cuore, quale sarebbe? Perché?
“La Gilles Lalay Classic, perché era la sfida massima dei piloti con l’Enduro vero. Diciamo quello che qualcuno oggi vorrebbe chiamare Enduro Estremo che, però, resta Enduro vero… Ma qui il discorso diverrebbe complicato, anche se molto semplice, perché per fortuna ora non ci sono più divisioni nell’Enduro, anche se le gare devono adeguarsi all’evoluzione dei tempi e a quello che vorrebbero gli appassionati”.
Chi è stato il pilota più interessante che hai avuto modo di seguire?
“Non vorrei che qualcuno rimanesse deluso. Io ho tifato e tifo per tutti i piloti, dal primo all’ultimo in classifica, perché l’Enduro è universale, da Giovanni Sala a Mario Rinadi, Stefano Passeri, Alex Salvini, Brad Freeman e Steve Holcombe. Ma un pilota è ancora oggi sopra tutti, ed è il finlandese Mika Ahola. Secondo me è stato il più forte, anche se questo elenco comprende tanti campionissimi italiani: un elenco troppo lungo da scrivere”.
Parlaci delle tue altre iniziative. “Nel 1990 ho concretizzato il sogno di realizzare il mio primo libro sull’Enduro; ci ho pure rimesso qualche soldo nonostante l’aiuto di alcune aziende che mi hanno supportato con la pubblicità, ma va bene così. Pensavo di essere arrivato alla meta, invece ho scoperto che non era vero… e nel 2020 sono uscito con quello che è stato il mio 30esimo libro sull’Enduro, grazie ancora al supporto di aziende, amici e sponsor che non finirò mai di ringraziare: tutti grandi appassionati come me. Quattro anni fa ho avuto l’onore di essere ospitato da ‘La Rinascente’ di Milano che, per una settimana, mi ha dato la possibilità di realizzare una mostra con le mie fotografie e una piccola esposizione di moto da Enduro all’interno di quello che è il Grande Magazzino Glamour più importante e famoso al Mondo: e tutto questo perché anche la sua dirigenza è appassionata di Enduro. È stata un’esperienza davvero emozionante”.
Perché ti piace raccontare l’Enduro? Quali elementi narrativi particolari trovi rispetto alle altre discipline?
“In poche parole… la sfida dell’uomo pilota con le difficoltà della natura, che non deve essere violentata ma solo rispettata. La fatica fa parte della natura: la devi rispettare e vedrai che lei stessa saprà ripagarti”.
Qual è stata la tua moto preferita di sempre?
“Nessuna moto in particolare, se non la mia Hercules K50 GS del 1971 che mi sono ricomprato cinque anni fa: ora si trova nel salotto di casa mia come arredamento”.
Riusciresti mai a stare senza l’Enduro o senza scrivere di Enduro?
“No”.
Come giudichi la stagione agonistica 2021?
“Bisogna essere positivi in mezzo a tanta negatività e a tante problematiche ancora dovute alla pandemia mondiale da Coronavirus. Vedi, dopo 5 anni che scrivevo che certe scelte avevano fatto solo danni all’EnduroGP, proponendo anche possibili soluzioni, è stato fatto proprio quello che ho sempre ipotizzato, in pieno accordo con il mio amico Franco Gualdi. Dico che a livello di Mondiale sarebbe stato molto meno complicato fare un copia-incolla di quello che è staro fatto negli Assoluti d’Italia: in pratica, FMI con Gualdi, Comitato Enduro e Promoter Maxim hanno ampliato e suddiviso, 2T e 4T, le varie classi
come sono gli stessi listini delle Case produttrici, allargando ancora più la partecipazione dei piloti con la Coppa FMI e la Coppa Italia. Sono solo orgoglioso di dire che se qualcuno, a livello politico elevato, ha letto le mie puntualizzazioni e/o consigli (non certo critiche!), alla fine ha fatto proprio ciò che speravo fosse fatto. Ribadisco il concetto già espresso: la stampa è fatta per servire i governati e non i governanti”.
Come vedi il futuro dell’Enduro? “L’Enduro è uno sport meraviglioso che meriterebbe solo maggiore attenzione mediatica. Diciamo che dal 2019 si è iniziato e fare qualcosa e si sta proseguendo su questa strada. Occorre però guardare sempre avanti con positività, mai guardare indietro a cercare difetti, perché altrimenti si rischia di restare fermi”.
Quando appenderai la macchina fotografica al chiodo, cosa farai della tua vita?
“Ho sempre pensato che non ci sia modo più bello di raccontare la propria passione se non attraverso una fotografia: finché mi piacerà farlo, non mi pongo il problema di cosa farò quando appenderò il mio principale strumento di lavoro al fatidico chiodo”.
La redazione di Fuoristrada & Motocross d’Epoca ringrazia sentitamente Dario Agrati per questa piacevolissima chiacchierata.