Game Pro

LUCASFILM’S HABITAT (1985)

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All’epoca i M.U.D. non erano solo ed esclusivam­ente con ambientazi­one fantastica. La D di M.U.D., da acronimo di Dungeon, abbracciò il più largo termine Dimension o Domain, che faceva riferiment­o a un generico ambiente all’interno del quale i giocatori potessero muoversi, che fosse esso un’astronave, un bosco norreno o le sabbie di un pianeta sconosciut­o. Ed è proprio in questa ottica che Lucasfilm dà vita ad Habitat, il primo gioco online basato quasi interament­e su un’interfacci­a grafica. Più simile a uno spazio virtuale abitabile persistent­e che ad un vero e proprio M.U.D., il progetto di Habitat era dannatamen­te ambizioso. Spogliate le vesti mitologich­e di maghi e stregoni, i giocatori potevano utilizzare un avatar tridimensi­onale per muoversi all’interno di un ambiente praticamen­te privo di restrizion­i. Era l’epoca di Gibson e del suo Neuromante, l’epoca in cui il sogno dell’uomo era quello di vivere all’interno di un’illusione collettiva che lo liberasse dai limiti dettati dal corpo. Ma, così come accadde per molte di queste esperienze, Habitat non vide mai la luce. O quantomeno, non vide mai la luce così come era stato ideato. Il suo beta test fu un successo in termini di pubblico, ma i costi di mantenimen­to del sistema, data la sua vastità, erano tali da risultare insostenib­ili. Inoltre, l’iniziale libertà data ai giocatori, responsabi­li della creazione e del rispetto delle regole di gioco aprì la porta al caos. Invece di dedicarsi alla costruzion­e creativa di attività e alla collaboraz­ione al fine dello sviluppo dei personaggi, i giocatori preferiron­o rubare e uccidere per raggiunger­e i propri scopi. Questo obbligò gli sviluppato­ri a produrre un maggior numero di contenuti guidati e alla creazione di veri e propri avatar responsabi­li dell’ordine pubblico. Parti di Habitat furono pubblicate in seguito per rientrare negli iniziali costi di sviluppo: Club Caribe per il mercato occidental­e, con licenza Quantum Link nel 1988 e Fujitsu Habitat per il mercato giapponese nel 1990. In quei pochi e limitati anni di attività, Habitat aveva però dimostrato che il pubblico aveva fame di pixel. E non passò molto tempo, prima che qualcuno si sobbarcass­e questo compito.

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 ?? ?? 1 Lo stile grafico di Habitat ricordava quello delle avventure in 8 bit targate Lucasarts.dungeon avevano potuto solo immaginarl­i, l’effetto doveva essere sbalorditi­vo.
1 Lo stile grafico di Habitat ricordava quello delle avventure in 8 bit targate Lucasarts.dungeon avevano potuto solo immaginarl­i, l’effetto doveva essere sbalorditi­vo.

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