FUORI DALLA TENEBRA
Il videogioco artigianale con Chris Darril, Laura Crosio e Beatrice Gentili
Game Pro: La prima domanda, è per te Chris: parlaci un po’ della vostra realtà, Little Sewing Machine, una piccola bottega d’artigianato videoludico. Inoltre, so che siete detentori di un primato particolare, per altro, del tutto involontario: la realtà del settore videoludico con maggior rappresentanza femminile.
Chris Darril: Wow, un primato che, bisogna ammetterlo, è venuto così, da sé. Se da un lato tuttavia siamo, sì onorati, nel rappresentare questo primato, ci dispiace dover apprendere che ci siano ancora così poche realtà, specie nel nostro settore, figuriamoci nel nostro paese, in cui i generi vengano equamente rappresentati. Credo nel mio team, l’ho sempre fatto, nelle loro interezza e varietà, ed ognuno di loro è stato coinvolto per le reali capacità professionali. Già dai primi tempi siamo tutti diventati una famiglia e siamo presto cresciuti insieme, molteplici e diversissime sfaccettature della stessa realtà. Ciò che mi inorgoglisce ulteriormente è che ognuno abbia dato il suo diretto contributo anziché doversi solo ed esclusivamente basare su un canovaccio già ben imbastito. Lana, Carole e gli altri personaggi di questo progetto, hanno via, via preso vita delineandosi intorno alle figure che hanno reso possibile tutto questo, non solo in Little Sewing Machine ma anche in Meangrip Game Studios e, a tal proposito, voglio poter fare i loro nomi, ringraziandoli sinceramente: a partire dal mio partner in crime e socio, Davide, poi ovviamente Alexia, Luigi, Federica, Laura, Beatrice, Alessia, Valeria, Elios, Lucia, Emma, Simone, Rocco, Carlo, Marica, Greta, Luisa, Vania, Tasia, Anton, Pino, Mattia, Pietro e spero di non dimenticare nessuno. Un grazie speciale va poi al nostro nobile collaboratore in publishing, Just For Games (oggi Maximum Entertainment) che, credendo sinceramente in noi, sin dal principio, senza veli o perplessità, ha fatto sì che questo progetto prendesse forma come sempre abbiamo sognato e sperato, senza mai interferire e anzi, appoggiandoci in pieno e contribuendo sempre attivamente alla sua riuscita.
GP: Cosa vuol dire lavorare in un team a maggioranza femminile? Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensano Laura e Beatrice. Laura Crosio: Nella mia esperienza non ho notato differenze nel lavorare con donne o uomini, ho sempre creduto che contino di più le capacità lavorative e la professionalità e non il genere stesso. Sono infatti molto contenta di poter lavorare in un contesto senza discriminazioni di genere ma forgiato sulle sole competenze di ognuno.Penso che la forza di questo gruppo risieda nella forte comunicazione collaborativa e nella estrema libertà che è stata data ad ognuno di noi, non solo in qualità di collaboratori ma come veri e propri artisti in primis, a prescindere dal genere, e certamente la vasta possibilità che ci è stata data di poterci esprimere e dar un reale contributo personale al progetto. È bello sentirsi parte di una realtà in cui ti viene data piena fiducia.
Beatrice Gentili: Avendo già lavorato con altri studi, non ho mai notato differenze nelle capacità lavorative, né in passato né ora. Mi sono sempre concentrata più sulla disponibilità e la capacità di cooperare come elemento fondamentale da ricercare in un collega, mentre non ho mai dato rilevanza al fatto che qualcuno appartenesse ad un determinato genere. Detto questo, non posso comunque negare di essere decisamente contenta che in questo progetto non ci siano mai state discriminazioni di genere e che, anzi, si sia da subito instaurato un’alchimia familiare.
GP: Cosa vi ha portato a scegliere una protagonista femminile? Nonostante le cose stiano cambiando molto, le protagoniste donne restano comunque una minoranza nel nostro settore.
LC: La scelta di una protagonista femminile era semplicemente la più adatta per quello che la storia vuole raccontare. Bye Sweet Carole prende infatti le tipiche (non) eroine dei film d’animazione del passato: la fragile e indifesa principessa da salvare, ma la rende via, via sempre più matura, dettata dalla sola determinazione che va, e deve andare, ben oltre il genere. E’ un cliché che, col tempo, più la storia si articola, più diventa un anti-cliché e rompe tutti gli stereotipi più prevedibili a cui negli anni siamo stati tutti abituati.
BG: Posso serenamente affermare che venire a conoscenza del fatto che il mio prossimo lavoro si sarebbe basato su un’avventura al femminile mi ha decisamente spronata, posto comunque che il settore videoludico presenta ancora una forte minoranza di rappresentazione femminile, specie per ciò che riguarda i ruoli principali e, se non altro, quelle poche protagoniste che ci sono sposano canoni triti e ritriti.
GP: Tanto le protagoniste, quanto le sviluppatrici. Anche lì la situazione è migliorata ma siamo lontani da una reale situazione di equità. Cosa vuol dire essere donne nell’industria del videogioco oggi? In particolar modo in Italia.
LC: Questa è la mia prima esperienza nell’industria dei videogiochi. Per ora è stata molto positiva e non ho subito discriminazioni di genere, anzi! Spero che la realtà di Little Sewing Machine possa essere di ispirazione per altri studi dove questa situazione di equità, sfortunatamente, non è ancora presente.
BG: Per mia esperienza personale posso parlare degli studi di animazione a cui ho preso parte in precedenza e dove effettivamente ho notato che nei primi lavori che ho svolto si tendeva a guardare molto al genere della persona e all’aspetto fisico ma ad oggi ho notato un sostanziale miglioramento: si sta iniziando a guardare più alle capacità, anche se ancora bisogna lavorarci tanto.
GP: Il vostro è un progetto atipico, anche per il panorama indie, ci raccontate come è nato? E quali sono stati i capisaldi imprescindibili dell’opera che avete deciso fin da subito?
CD: Fa un po’ ridere ripensarci oggi. Tuttavia, Bye Sweet Carole nasce proprio per caso e, se vogliamo davvero dirla tutta, quasi per errore. Il caso volle che, giocherellando su dei vecchi frames dell’originalissima versione di Remothered (il prototipo 2d poi andato cancellato) disattivassi dei layers, ombre e luci, e, ritrovandomi dinanzi a frames che avrei considerato “flat”, non ho potuto fare a meno di notare come questi ricordassero le palette dei classici dell’animazione tra
dizionale. Il progetto è venuto fuori così poi, quasi da sé. Un esperimento decisamente complesso che ci ha anche portato ad adottare tecniche che non avrei mai detto ideali per il genere videoludico. Spesso è stato accostato a Cuphead che, ci tengo a dirlo, per me è un grande onore, ma Bye Sweet Carole attinge a un genere intero, quelle delle fiabe d’animazione, con cui tutti siamo cresciuti e poi, attraverso una narrativa serrata e spesso cupa, stravolge gli stilemi stessi della fiaba tradizionale e a quegli intramontabili classici: da La Bella e la Bestia, Biancaneve e i 7 nani, a Brisby e il Segreto del Nimh, ma anche Cenerentola e Alice nel paese delle meraviglie e così via.
GP: Scegliere l’animazione, quella classica, totalmente manuale e senza l’ausilio di alcun tipo di tecnologia è una scelta coraggiosa, con importanti implicazioni non solo economiche ma anche dal punto di vista ludico. Vi ha comportato grandi sfide rispetto al processo di sviluppo di Bye Sweet Carole?
LC: Anche se abbiamo disegnato tutti i frame dell’animazione a mano, la tecnologia ha sicuramente contribuito a rendere le cose più agevoli rispetto a come si faceva ai tempi nell’animazione tradizionale. Anche se, devo ammettere, in principio alcuni software non si prestavano alla realizzazione di un’opera videoludica, ma abbiamo presto sperimentato e trovato il metodo più congeniale per procedere. Penso che, quella da noi trovata, sia la tecnica di animazione perfetta per questo progetto, che prende ispirazione dai classici Disney e, quasi in modo dadaista, ne prende piena coscienza e ne mette in discussione i fondamenti, ricomponendo il tutto con un sapore nuovo e inedito, persino in netta contrapposizione con le stesse opere che ci avevano ispirato!
BG: Usare una tecnica tradizionale è sicuramente una decisione difficile, ci sono molte persone che lavorano come una catena di montaggio anche solo per fare pochi secondi di montato: la sfida più grande è stata cercare di avere un ottimo risultato quasi al primo colpo senza dover poi successivamente rifare un’animazione da capo, cosa che comporterebbe conseguenze pesanti per tutto il team. Non ci sono scorciatoie, modelli già fatti, rigging o cutout: ogni personaggio, oggetto, evento viene puntualmente ridisegnato, frame by frame, acquisendo spesso le influenze della persona che ha raffigurato quel dato personaggio.
GP: L’elemento ludico predominante è quello del platform, ma ci sono anche inserti stealth e sequenze action. Questa combinazione è frutto di una precisa scelta legata al gameplay?
BG: Penso che avere una varietà di generi renda un prodotto più divertente da giocare e anche più interessante, sia dal punto di vista stilistico, sia narrativo. Ed è anche questo uno dei punti di forza di Bye Sweet Carole, al pari dello stile d’animazione tradizionale impiegato in questa storia dalle tinte creepy che però si ergono ad allegoria in un contesto di denuncia sociale, a partire dalle stesse lotte per l’emancipazione femminile.
LC: I molteplici generi e sfaccettature nel gameplay sono il riflesso del contesto narrativo che evolve intorno alla figura di Lana, dalla “tipica principessa disneyana” a una ragazza ribelle e determinata, in conflitto con un mondo che va alla velocità della luce, per certi aspetti, ma lentamente come una lumaca per tanti altri aspetti. Basta pensare ai diritti sociali..
GP: Qual è il principale veicolo dello storytelling emotivo di Bye Sweet Carole? Lana, Mr. Baesie, Ms. Fisherin, sono tutti personaggi assolutamente peculiari ma c’è molto altro, vero?
CD: Bye Sweet Carole è un prodotto corale: adopera generi distinti ma che, nella loro complementarietà, hanno forgiato la nostra infanzia. Un po’ come i personaggi di gioco che quasi, quasi, a vederli singolarmente, non si direbbero mai accomunabili. Ed è questo uno dei suoi tanti punti di forza: una combinazione inedita di elementi tanto distinti, contraddittori, eppure perfettamente comunicanti.
BG: Tutti i personaggi di Bye Sweet Carole accompagnano Lana Benton nel contesto della sua crescita personale, aiutandola a formare il proprio carattere in un periodo molto duro della sua vita, a partire dalla scomparsa di Carole. Ovviamente non vi anticipo nient’altro, scoprirete di cosa parlo giocandoci.
GP: In conclusione, da sempre Game Pro si batte per l’utilizzo del termine “opera multimediale interattiva” in sostituzione del ben più prosaico “videogioco”. Chris tu che ne pensi? Le parole sono importanti?
CD: Il mio docente di “teoria e tecniche del videogioco e dei nuovi media” all’università li avrebbe presto definiti IDHE (Interactive digital hybrid entertainment) e certamente condivido la vostra filosofia: la parola “videogioco” ha certamente oramai acquisito quasi un significante riduttivo, specie per quello che i videogiochi, i nuovi media in genere, fanno e continueranno a fare. Tuttavia un nome è solo un etichetta, una parola che acquisisce mutevole significato a seconda dei suoi effetti sul mondo e sulle persone. “Film” è solo “pellicola”, del resto, ma è indiscutibile pensare quale significato artisticamente aulico abbia oggi acquisito, grazie a fulgidi esempi, ai grandi maestri.
Così come “teatro” è solo un edificio che mette in scena rappresentazioni di performers di qualsivoglia genere: forse fra i più nobili dei media. E il videogioco è questo, e noi possiamo solo contribuire affinché la parola stessa, sebbene non vada sottovalutata l’importanza del gioco, così come Huizinga ci ha insegnato, acquisisca sempre più, negli anni, un nobile significato, variegato da opere tanto diverse quanto fondamentali, non solo per l’intrattenimento di un individuo, ma anche e soprattutto per la sua formazione e l’espressione stessa degli artisti che le hanno rese possibili, artisti che un tempo, a loro volta, ispirati da altri artisti, avevano sognato di farne parte.