Cosa fare col tempo che ci viene dato
Si dice che abbiamo più energia e più tempo libero mentre cresciamo, e che il livello di questi ultimi inizia a diminuire con l’avanzare dell’età, al contrario del denaro a disposizione. Il motivo per cui ho tirato fuori questo luogo comune è che il gioco può essere un hobby estremamente impegnativo in termini di soldi da investire, ore da dedicare e persino energia mentale da impiegare per viverlo. I titoli AAA contemporanei sembrano avere una strana ossessione nei confronti della loro durata. Se da un lato capisco che si tratti di informazioni importanti da trasmettere ai consumatori per aiutarli a prendere decisioni più consapevoli, dall’altro è chiaro che non sempre le maggiori dimensioni sono necessariamente migliori. La maggior parte dei grandi editori oggi sbandiera longevità esorbitanti alla stampa e nei trailer, trascrivendole con orgoglio nelle loro descrizioni su copertine e storie digitali come fossero attestazioni inoppugnabili dei loro elevati standard di qualità. Creare giochi con lunghi decorsi non è una cosa negativa di per sé, ma gli sviluppatori spesso ricorrono a ogni tipo di espediente per ampliare artificialmente un gioco più di quanto non sia già. Molti open world attuali possono richiedere più di 100 ore per arrivare ai titoli di coda, ma quante di queste vengono effettivamente dedicate alla progressione della storia e quante invece al completamento di contenuti secondari per soddisfare requisiti superflui? Ritengo sia importante che gli autori capiscano se i loro prodotti e le meccaniche in essi contenute siano effettivamente in grado di supportare tempistiche così estese, rivolgendo anche il doveroso rispetto verso le ore che i consumatori dedicano a tali esperienze. È fondamentale comprendere che l’essenza di ogni buon gioco è la sensazione di volerne ancora di più quando finisce, un’emozione che ben pochi titoli moderni sono in grado di regalare. D’altro canto, inizia a normalizzarsi un sentimento di stanchezza quando raggiungiamo l’atto finale di un open world enorme come Horizon, Fallout, Dying Light o Final Fantasy VII Rebirth, che pure corregge molte lacune del suo predecessore, ma lo fa accatastando una serie di contenuti uno sull’altro che a lungo andare diventano estenuanti. Eppure di modi intelligenti per tenere un giocatore attaccato allo schermo per ore, senza infarcire artificialmente la storia con segmenti poco interessanti o missioni secondarie ripetitive, ce ne sono diversi. I roguelike e i roguelite, ad esempio, sfruttano il concetto delle mappe procedurali per rendere le partite brevi ma altamente rigiocabili, il che a sua volta consente di sperimentare il meglio di ciò che il gioco ha da offrire molto più a lungo e con nuove prospettive. Intendiamoci, non sono contrario ai giochi di ampio respiro in generale: mi piace imbarcarmi in missioni epiche sullo sfondo di scenari fantastici accuratamente delineati, ma non ho il tempo materiale per affondare i denti in queste esperienze tanto spesso quanto vorrei. Ed è per questo che, quando succede, vorrei che portarle a termine mi lasciasse una sensazione di soddisfazione, non di affaticamento, cosa che trovo sempre più rara nell’odierno panorama videoludico. Indipendentemente dai soldi spesi, la qualità delle ore che trascorro nei miei mondi virtuali è molto più importante del puro, semplice e sterile conteggio delle stesse.