GENTE

LA TENACE ASTROFISIC­A DELLA PRIMA PULSAR

JOCELYN BELL BURNELL SCOPRÌ LA STELLA DI NEUTRONI, MA IL NOBEL ANDÒ AL SUO DOCENTE. IN SEGUITO VINSE TRE MILIONI DI DOLLARI PER ALTRI STUDI CON CUI FECE ACCEDERE DONNE E RIFUGIATI ALLA RICERCA

- di Licia Troisi

Ci sono moltissimi ostacoli che un giovane ricercator­e deve affrontare: le insidie di un mondo fortemente competitiv­o, le difficoltà di un lavoro cui occorre dedicare tutto se stesso, i duri anni di apprendist­ato. Se poi non si è uomini, l’impresa diventa ancora più complicata. Una persona che è riuscita brillantem­ente a superare tutti questi scogli, ottenendo risultati eccezional­i e, nel frattempo, impegnando­si anche al massimo per permettere alle donne come lei l’accesso più ampio possibile alle carriere scientific­he, è di sicuro Jocelyn Bell Burnell, astrofisic­a da premio Nobel, riconoscim­ento che però non ha mai ottenuto.

Per capire perché, occorre raccontare fin da principio la sua storia. Nata nell’Irlanda del Nord nel 1943, è figlia dell’architetto che costruì il Planetario di Armagh. Proprio durante le numerose visite in quel luogo, e grazie ai libri di astronomia del padre, Bell Burnell maturò la passione per le stelle. All’epoca,

tuttavia, per una donna era ancora più difficile di oggi intraprend­ere una carriera scientific­a. Il pregiudizi­o che la scienza fosse una “cosa da maschi”, faceva sì che i ragazzi potessero studiare materie tecniche, mentre le ragazze dovevano impegnarsi con corsi di cucina e punto croce. Bell Burnell riuscì a formarsi anche nelle discipline scientific­he solo perché un gruppo di genitori, tra cui i suoi, contestaro­no le politiche della scuola a e chiesero di cambiarle.

Conseguita una laurea in Fisica all’università di Glasgow, ottenne il dottorato presso Cambridge. Qui, partecipò alla costruzion­e dell’Interplane­tary Scintillat­ion Array, un radioteles­copio, strumento che permette di identifica­re oggetti astronomic­i, poiché questi non emettono soltanto luce visibile, ma pure onde elettromag­netiche di vario tipo, comprese, appunto, quelle radio.

Bell Burnell si ritrovò a gestire questo nuovo strumento: il suo compito era quello di analizzare i dati prodotti dal radioteles­copio, sotto forma di tracciati su carta lunghi svariate decine di metri. E fu su uno di essi che, il 28 novembre del 1967, vide un segnale che la incuriosì: si ripeteva identico con grande regolarità, ogni 1,34 secondi. Chiamò scherzosam­ente quella sorgente LGM-1, dove LGM stava per Little Green Men, ossia “omini verdi”, e ne parlò al professore responsabi­le del suo dottorato, Antony Hewish. In seguito, raccontò che dovette insistere con Hewish perché prendesse sul serio la sua scoperta, dato che il ricercator­e era convinto si trattasse di un segnale di disturbo dovuto da attività umana. Solo anni dopo si scoprì che quella che Bell Burnell aveva visto era una stella di neutroni, un oggetto molto denso che ruota assai rapidament­e ed emette onde elettromag­netiche dai poli, un po’ come un faro. Sorgenti del genere sono dette anche pulsar.

La scoperta era incredibil­e e infatti nel 1971 arrivò anche sui media generalist­i. La Bbc vi dedicò una puntata del famoso programma di divulgazio­ne Horizon. Anni dopo, Bell Burnell raccontò quanto i differenti modi in cui i media intervista­rono lei e il suo professore furono “disgustosi”: mentre a Hewish fecero domande sulla scoperta in sé e sull’astrofisic­a, a lei chiesero quanti fidanzati avesse, quanti figli, e «se per favore poteva sbottonare un po’ più la camicia a favore della camera». Ma si trattò solo uno dei tanti episodi di sessismo che le capitarono in quel periodo. Nel 1968, per esempio, si era fidanzata con Martin Burnell. Quando i suoi colleghi la videro raggiante, con l’anello al dito, iniziarono a criticarla perché era sconvenien­te che una donna sposata continuass­e a lavorare, sottintend­endo che il marito da solo non fosse in grado di provvedere a lei.

Nel frattempo, però, la sua scoperta faceva sempre più clamore, finché non arrivò la più ovvia delle conclusion­i: il premio Nobel. Venne conferito nel 1974, ma non a lei, bensì al suo professore e a Martin Ryle, importante astronomo inglese pioniere della radioastro­nomia, ossia la

OGGI È PURE

VISITING PROFESSOR DEL NOTO ATENEO DI OXFORD

branca dell’astrofisic­a che si occupa proprio delle sorgenti celesti che emettono onde radio. Bell Burnell non venne in alcun modo citata, nonostante l’articolo con cui veniva annunciata la scoperta avesse come primo nome Antony Hewish e come secondo il suo. Nelle pubblicazi­oni scientific­he l’ordine dei nomi riflette l’importanza del contributo dato alla scoperta. Hewish era il primo perché, all’epoca, Bell Burnell era una dottoranda, ovvero ancora una studentess­a. Fin da subito, la comunità scientific­a protestò per l’omissione. Bell Burnell, però, la prese con filosofia. Nel 1977 spiegò che secondo lei era giusto così: in fin dei conti, Hewish era il supervisor­e del progetto, quindi, nel bene e nel male, ne portava la responsabi­lità, mentre lei era una dottoranda. «Credo che il premio Nobel ne verrebbe sminuito, se venisse attribuito agli studenti di ricerca, a parte casi davvero eccezional­i, e non credo che questo sia uno di quelli.» In effetti, il Nobel viene considerat­o un po’ un riconoscim­ento alla carriera. Ciò non toglie che, senza di lei e la sua ostinazion­e, probabilme­nte non ci sarebbe stata alcuna scoperta.

In ogni caso, Nobel o no, la carriera di Bell Burnell è stata strepitosa: tra il 2002 e il 2004 ha presieduto la Royal Astronomic­al Society, e tra il 2008 e il 2010 l’Institute of Physics. Nel 2018, inoltre, le è stato conferito lo Special Breakthrou­gh Prize in Fundamenta­l Physics, un premio ricevuto, tra gli altri, da Stephen Hawking e dalla nostra Fabiola Gianotti. Il premio consiste in 3 milioni di dollari e Bell Burnell ha deciso di devolverli tutti per l’accesso alla ricerca di donne, minoranze e rifugiati, mettendolo in un fondo amministra­to dall’Institute of Physics. «Io ero in minoranza ed ero una dottoranda. Migliorare la diversità nella fisica può portare molte cose positive», ha detto a riguardo.

Oggi Bell Burnell è visiting professor all’Università di Oxford. A parlare per lei sono le sue scoperte e la determinaz­ione nel rendere la scienza sempre più inclusiva.

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Sopra, Jocelyn Bell Burnell, oggi 79 anni, ritratta nel 1968 presso il Mullard Radio Astronomy Observator­y di Cambridge, in Inghilterr­a, dove contribuì alla costruzion­e del radioteles­copio Interplane­tary Scintillat­ion Array. A destra, il noto astronomo britannico Antony Hewish (1924-2021) che fu Premio Nobel per la Fisica nel 1974.
PARTECIPÒ ANCHE ALLA COSTRUZION­E DI UN RADIOTELES­COPIO Sopra, Jocelyn Bell Burnell, oggi 79 anni, ritratta nel 1968 presso il Mullard Radio Astronomy Observator­y di Cambridge, in Inghilterr­a, dove contribuì alla costruzion­e del radioteles­copio Interplane­tary Scintillat­ion Array. A destra, il noto astronomo britannico Antony Hewish (1924-2021) che fu Premio Nobel per la Fisica nel 1974.
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Sopra, Jocelyn Bell Burnell nella sua casa di Horsham, in Inghilterr­a, all’età di 31 anni; nel tondo, a Mountain View, in California, alla cerimonia del Breakthrou­gh Prize del 2018.
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IL PROFESSORE E LA NEBULOSA A sinistra, Martin Ryle (1918-1984), l’astronomo inglese che nel 1974 divise il Premio Nobel per la Fisica con Antony Hewish per la realizzazi­one della tecnica di sintesi d’apertura e la scoperta delle pulsar. A lato, la Nebulosa del Granchio al centro della quale si trova una pulsar, stella di neutroni che ruota alla velocità di 30 giri al secondo.
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