GLI ANEDDOTI CHE AMMANTANO DI MISTERO I BRONZI DI RIACE
Hanno duemilacinquecento anni, ma buona parte della loro vita l’hanno spesa in fondo al mare. È solo mezzo secolo che sappiamo della loro esistenza. La storia che li circonda ne richiama altre, più misteriose, che probabilmente non potremo mai chiarire del tutto. E, a dire il vero, anche sulla loro scoperta è stato sollevato qualche dubbio. Si tratta dei Bronzi di Riace, le meravigliose statue greche simbolo di Reggio e di tutta la Calabria.
È la mattina del 16 agosto del 1972, e Stefano Mariottini, che ha trent’anni, fa il chimico. Appassionato di immersioni, decide di dedicarsi a un po’ di pesca subacquea nelle acque di fronte a Riace Marina, in provincia di Reggio Calabria. Attirato da una formazione circolare di scogli, nota sotto di lui, nell’acqua limpida a circa sei metri dal livello in cui si trova, qualcosa che sembra un braccio. La prima cosa cui Mariottini pensa è che si tratti di un cadavere, forse quello di un giornalista rapito l’anno precedente dalla mafia, Mauro De Mauro, il cui corpo non è stato ritrovato. Per questo Mariottini scende sul fondale. Quasi subito capisce che non può trattarsi di un morto; il colore del braccio è verde, al tocco è duro e freddo. Il movimento del
le pinne rivela pian piano altre forme, che Mariottini inizia a svelare anche con le mani. Scopre poco a poco una figura in bronzo adagiata sul fianco. Quando risale per respirare, si accorge che accanto alla prima si vede qualcos’altro: un alluce e un ginocchio. Le figure sono due.
A questo punto il nostro capisce di essere di fronte a una scoperta straordinaria, e prova ad avvertire la Soprintendenza archeologica. Ma è il giorno dopo Ferragosto, e nessuno risponde alle sue chiamate. Solo alle nove di sera riesce a rintracciare a casa il soprintendente Giuseppe Foti, e ad avvisarlo del ritrovamento. L’indomani va dai carabinieri e denuncia il rinvenimento delle statue. Nel verbale si legge che Mariottini avrebbe trovato “un gruppo di statue, presumibilmente di bronzo”, che “le due emergenti rappresentano delle figure maschili nude” e che una è “a braccia aperte e con una gamba sopravanzante rispetto all’altra”.
Il recupero avviene cinque giorni dopo, e non è affatto semplice. Intervengono i sommozzatori dei carabinieri di Messina, e vengono usati dei palloni, che permettono di portare in superficie le statue, che pesano ognuna 400 chili. I due bronzi vengono quindi adagiati sulla spiaggia su altrettanti materassini in schiuma sintetica su una base in legno, in mezzo a molti curiosi accorsi a seguire le operazioni. Fin da subito, le statue appaiono incredibilmente ben conservate: hanno qualche concrezione, della sabbia incrostata che ricopre qualche punto, ma sono perfettamente integre.
I bronzi, sempre accompagnati dalla folla, vengono portati al Museo archeologico di Reggio Calabria. Da qui è storia: il restauro iniziato in Calabria, e poi proseguito a Firenze, l’esposizione dei due capolavori e gli studi che su di loro sono stati condotti. È raro recuperare reperti di bronzo così antichi: non che non ce ne fossero, in epoca romana e greca, anzi ab
bondavano. Il fatto è che nei secoli molti di essi sono stati fusi, spesso per farne armi; il bronzo era prezioso, e per questo veniva riutilizzato. Per tale ragione le statue di Riace sono così importanti: il loro studio ci ha permesso di scoprire in che modo opere del genere venissero realizzate. Ad esempio, poiché venivano fuse, probabilmente in serie, dentro contenevano una gran quantità di terra, in seguito rimossa, che si scoprì provenire da Argo, probabile luogo di provenienza. Si scoprì che i riccioli erano stati fusi e incollati uno a uno, che capezzoli e labbra erano di rame, i denti d’argento e le sclere degli occhi d’avorio e calcare.
Ma i bronzi nascondono ancora molti misteri: sono state realizzati da un’unica mano? E in caso, da chi? Se sull’epoca della realizzazione non ci sono dubbi – V secolo a.C. – non è ben chiaro come siano finite in mezzo al mare davanti alla costa calabra. Sono affondate con la nave che le trasportava? Oppure erano state scientemente gettate fuoribordo da un’imbarcazione che si trovava in difficoltà e stava cercando di salvarsi da un fortunale? E chi rappresentano? Con ogni probabilità eroi o divinità, quali però? E i misteri non finiscono qui, anzi.
Per esempio, si parla spesso di un terzo bronzo, o addirittura di un gruppo più nutrito di statue. Chi pensa che i bronzi siano di più in genere lo fa riferendosi al verbale in cui Mariottini denunciava la scoperta; come abbiamo visto, in esso si parla di un “gruppo di statue”, e una di loro
PER LA SUA SCOPERTA MARIOTTINI OTTENNE 125 MILIONI DI LIRE
a braccia aperte, e nessuno dei due bronzi noti ha quest’ultima caratteristica. Qualcuno arriva a suggerire che la mafia possa aver trafugato le altre statue per farle finire in qualche collezione privata, e ci si spinge persino a dire che i pezzi evidentemente mancanti dai bronzi – la lancia e lo scudo che ognuna reggeva, l’elmo – si trovino al Getty Museum di Los Angeles, che ha ovviamente negato tutte le accuse. Ma anche sullo stesso ritrovamento, come dicevamo in apertura, ci sono dei dubbi.
A un certo punto della storia si sono fatti avanti quattro ragazzi calabresi, all’epoca minorenni, che hanno reclamato la scoperta come propria. Mariottini avrebbe saputo dei bronzi in seguito, e si sarebbe appropriato del ritrovamento. A complicare le cose, il fatto che di mezzo ci sia una ricompensa di 125 milioni di lire, che in effetti all’epoca andò a Mariottini. C’è stato anche un processo, che però ha dato ragione al fortunato sub che, nel frattempo, dal momento della scoperta dei bronzi ha iniziato a collaborare con lo Stato nei progetti di ricerca della Soprintendenza in Calabria. Insomma, misteri e polemiche alimentano il mito di queste due statue che ci guardano dall’alto della loro ieratica bellezza da cinquant’anni, coi loro occhi di avorio e i loro corpi perfetti di bronzi, senza mai stancarsi.