GIANNI ERA MOLTO PIÙ DI UN FRATELLO PER ME
«LA SUA MORTE TRAVOLSE TUTTO: LA MIA VITA E QUELLA DEL NOSTRO MARCHIO», DICE L’IMPRENDITORE. «SONO RINATO GRAZIE ALL’AMORE DI MIA MOGLIE E ALLA NOSTRA FONDAZIONE»
«AVEVO BISOGNO DI RICORDARE PER METTERE UN PUNTO A CAPO»
Non esiste una parola che definisce chi perde un fratello. Non è né un orfano, né un vedovo Santo Versace. Eppure il 15 luglio 1997 la sua vita ebbe una svolta radicale: il fratello Gianni, lo stilista della famosa casa di moda, venne ucciso da un killer a Miami, e per lui e per il marchio che avevano creato insieme le cose non sono mai state più le stesse. «Per quattro anni, non appena potevo, andavo nella nostra casa sul lago di Como e dormivo nel suo letto, cercavo la sua presenza, il suo contatto», racconta Santo Versace a Gente. «Gianni era molto più di un fratello, era il mio doppio, il mio complemento». Venticinque anni dopo, Santo Versace, classe 1944, ha sentito l’esigenza di mettere un punto a capo. «Dovevo tornare indietro, raccontare la nostra storia, ricordare quella sera in cui mi dissero che era morto per concludere un processo catartico e ricominciare davvero a vivere». È così che è nato Fratelli - Una famiglia italiana (Rizzoli, 160 pagine, 18 euro), l’autobiografia in cui Santo ricorda le origini a Reggio Calabria, l’arrivo a Milano alla fine degli anni Settanta quando, assieme a Gianni: «Lui era il genio, io la sua anima commerciale». Videro la nascita della moda italiana che avrebbe conquistato il mondo. Passando da quel tragico 15 luglio si arriva al presente, al nuovo corso accanto alla seconda moglie Francesca De Stefano e alla loro neonata Fondazione Santo Versace, una onlus in difesa delle persone più fragili e di chi vive in condizioni di disuguaglianza sociale.
Nel libro racconti che la vostra infanzia fu felice ma anche segnata da una grande perdita.
«La mia vita è stata colpita dalla scomparsa prematura dei miei fratelli. Quando avevo 9 anni e Gianni 7, morì di peritonite nostra sorella Fortunata, detta Tina, poco più grande di me. Questo evento mi costrinse a diventare grande, a essere il fratello maggiore, ha formato il mio carattere serio, posato, responsabile. Sono sempre stato molto paterno verso Gianni e poi verso Donatella, che nacque due anni dopo la morte di Tina e fu accolta come una benedizione. Il suo arrivo riempì un vuoto. In generale,
la famiglia è sempre stata tutto per me».
Come reagirono i tuoi genitori a quel terribile lutto?
«Furono resilienti, si buttarono sul lavoro. Mia madre Francesca, che era del 1920, avrebbe voluto diventare medico, ma siccome di soldi ce n’erano pochi ripiegò sul mestiere di sarta e questa scelta determinò il destino della nostra famiglia: Gianni da piccolo gattonava tra tessuti e bozzetti. Nell’atelier di mamma iniziò a emergere il suo genio».
Scrivi che la tua famiglia accolse bene anche l’omosessualità di Gianni, eppure vivevate al Sud in tempi in cui era difficile accettarla...
«I miei genitori erano avanti trent’anni come mentalità. E ci hanno trasmesso valori forti: la dedizione al lavoro, l’attenzione a chi è meno fortunato e l’amore per l’altro così com’è».
Anche tu grazie a tua madre avevi la passione per la moda?
«Per nulla. Mi laureai in Economia e aprii uno studio di commercialista a Reggio Calabria. Ma poi iniziai a seguire Gianni, che intanto veniva chiamato come designer a Firenze e a Milano. Ero io che stipulavo i suoi contratti e fui io, nel 1976, a suggerire che dovevamo fondare la Gianni Versace e che, se avessimo avuto fortuna, saremmo diventati famosi come Yves Saint Laurent. Lui mi disse: “Se lo dici tu, facciamolo”. Ci fidavamo ciecamente l’uno dell’altro».
Furono anni incredibili. Ti saresti mai immaginato di viverli? «Avemmo la fortuna di essere nel posto giusto al momento giusto, lui con il suo genio e io che mi occupavo di tutto quello che non appariva. Le super modelle, Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Cindy Crawford, furono una delle invenzioni di Gianni. Eravamo al centro di un mondo che nasceva e che potevamo plasmare».
La tragedia di Miami arrivò quando eravate all’apice. «Sì. Stavamo pensando alla creazione del primo polo italiano della moda. Avevamo già la bozza di contratto per la
«I NOSTRI GENITORI CI HANNO TRASFERITO VALORI FORTI»
«CON MIA MOGLIE IL COLPO DI FULMINE DURA ANCORA OGGI: NOI SIAMO COMPLEMENTARI»
«GIANNI NON AVREBBE DOVUTO ESSERE A MIAMI QUEL GIORNO»
«PRIMA DEL FUNERALE, LADY DIANA MI CONSOLÒ, FU MOLTO DOLCE»
vamo già la bozza di contratto per la fusione con Gucci. Ovviamente poi tutto cambiò».
È vero che Gianni non avrebbe dovuto essere a Miami in quei giorni? «Era stato a New York e doveva rientrare in Italia. Per anni mi sono arrovellato sui “se”: se non fosse stato lì, se quella mattina non fosse uscito di casa... Ma non si può tornare indietro. Quando mi arrivò la notizia stavo partecipando all’evento Donna sotto le stelle, a Roma. Ero appoggiato a una scalinata dell’Hotel Hassler. Sono tornato in quel luogo solo qualche giorno fa per il compleanno di mia moglie, per venticinque anni ho voluto rimuovere quel momento».
Sono stati scritti fiumi di inchiostro sulla morte di Gianni Versace, ma nel libro tu lo dici chiaramente: non c’è nessun mistero. «L’assassino, Andrew Cunanan, aveva già ucciso cinque persone in giro per gli Stati Uniti, era ricercato dall’Fbi. Voleva ammazzare un personaggio famoso per passare alla storia».
Che ricordo hai di Lady Diana che vestiva Versace? Era un’amica di Gianni e partecipò ai suoi funerali a Milano.
«Prima della funzione venne all’atelier in via del Gesù. Mi abbracciò e tentò di consolarmi. Era una donna dolcissima».
Cosa ti manca di tuo fratello?
«Il suo sorriso, il suo essere un eterno bambino. E il suo abbraccio. Ci abbracciavamo spesso. La fotografia sulla copertina del libro rende bene l’idea del rapporto che avevamo».
Dopo la sua morte ci furono anni di difficile transizione.
«Nel 2018 si è conclusa la vendita del marchio agli americani. Un processo lungo dopo il quale avevo bisogno di rimettermi in piedi dentro e fuori».
Nel 2005, intanto, avevi incontrato
Francesca.
«Un colpo di fulmine che dura tutt’ora.
Grazie a lei, con cui mi sento complementare, in senso umano e professionale, così come lo ero con Gianni, sto vivendo una nuova fase della vita, con lo stesso entusiasmo e slancio che avevo con lui. Tre anni fa abbiamo rilevato la casa di produzione cinematografica Minerva: il film Saint-Omer di Alice Diop, che abbiamo finanziato, ha vinto due Leoni d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. E ora lavoriamo assieme alla Fondazione Santo Versace, nata in questi giorni, per sostenere i più fragili, con lo spirito di solidarietà che mi hanno trasmesso i miei genitori».