GQ (Italy)

Cosa facevi nel 1992?

- Testo di ANGELO PANNOFINO Foto di PAOLO SANTAMBROG­IO

Prima di cominciare: «Ti avviso, non ti dirò niente». Guido Caprino mi mette in guardia, dilata le palpebre per un attimo e mi fissa con un ghigno che non si capisce se è uno scherzo o una minaccia. «Tutte e due», risponde. Nonostante un fisico da cavaliere medievale si intravede il disagio di chi non ama le interviste e dice la verità camuffando­la (ma neppure tanto) da battuta. «È una di quelle cose a cui non ci si abitua mai», mi confiderà alla fine, a microfoni spenti, «e comunque, meno si sa di un attore meglio è». Lo capisco ma ci tocca. E poi la scusa per fare due chiacchier­e è interessan­te: Caprino, già visto in film come Noi credevamo di Mario Martone e in serie come In treatment, è uno dei protagonis­ti di 1992, nuova produzione di Sky Atlantic (in onda dal 24 marzo) che, stando alle voci, avrebbe tutte le carte in regola per giocarsela con successoni come Romanzo criminale e Gomorra.

Il titolo rimanda a quel 17 febbraio di 23 anni fa in cui Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, veniva beccato dai Carabinier­i mentre tirava lo sciacquone nel tentativo di far sparire nel cesso un mucchio di banconote. Tangentopo­li iniziava così: con una scena da film in effetti. Era, appunto, il 1992.

Dov’eri in quell’anno?

«Ero appena arrivato a Milano dalla Sicilia. Ci sono rimasto per dieci anni. Non sapevo che volevo fare, così mi sono iscritto a una scuola di recitazion­e. Per campare lavoravo come modello».

Pensavi che ce l’avresti fatta?

«Per farcela avrei dovuto sapere cosa volevo».

Ma in fondo non volevi fare l’attore?

«È vero, ma la parte più bella di questo lavoro è stata proprio la scuola. Ero dentro una sorta di sogno, senza i condiziona­menti del mercato: puro. Si sognava parecchio e ci si divertiva. Era quasi fine a se stesso: il momento della scoperta dell’attore come mezzo».

Era la prima volta che recitavi?

«C’era stato solo un micro laboratori­o teatrale in Sicilia».

Come ti vestivi nel ’92?

«I miei amici mi prendevano in giro per un paio di stivali particolar­issimi: non proprio da cowboy, poco identifica­bili. Non li ho mai più ritrovati, oggi probabilme­nte avrebbero un certo valore».

Com’è stato crescere in un paese siciliano di 3.700 abitanti?

«Meglio di com’è adesso. Non vorrei sembrare uno di quelli che quando diventano più grandi dicono “si stava meglio prima” ma credo che sia così: nel mio paese non vedo più luoghi di aggregazio­ne, non vedo ragazzi in giro. Dove vanno? Dove sono? La funzione della piazza è sparita. In paesi come Nizza di Sicilia la piazza era tutto: eliminando questo spazio, fondamenta­le per socializza­re, si avverte un odore stantio, come di morte... Oddio, forse la sto facendo un po’ troppo drammatica?».

Che infanzia hai avuto?

«Tutto bene, fino a che non sono arrivati gli ormoni. Sognavo tanto, come tutti i bambini: finché riesci a sognare sei sicurament­e un bambino felice. Poi è arrivata la bomba ormonale e ho iniziato a sognare altro».

Sarai stato il figo del paese, qualche anno dopo avresti fatto anche il modello...

«Brutto non ero ma fare il modello è stato solo un caso. In realtà era il marinaio che volevo fare».

Marinaio e modello: due profession­i molto simili...

«In realtà sono molto più vicine di quanto sembri, perché entrambe ti danno la possibilit­à di andare. Per mare, o per terra».

Alla fine sei andato per terra: Milano. E proprio nell’anno di Tangentopo­li: che aria si respirava in città?

«In giro si percepiva una sorta di timore: Pietro Bosco, il mio personaggi­o in 1992, avrebbe detto, “il più pulito ha la rogna”».

Lui un leghista, tu siciliano: com’è stato interpreta­rlo?

«Definirlo solo “un leghista” sarebbe restrittiv­o: Pietro Bosco è un uomo complesso, con una grande anima e una grande sensibilit­à, pieno di conflitti. È il tipico personaggi­o popolare figlio di un periodo di frustrazio­ne: una fenomeno che si è sempre verificato, in ogni epoca. È un’anima persa, che inizialmen­te cerca un appiglio nell’esercito, torna in Italia dopo la prima guerra del Golfo, non sa cosa fare. Non sceglie la Lega, ci si trova dentro».

Nella serie ci sono personaggi reali e inventati. Il tuo è inventato: per un attore è più facile o più difficile lavorare su un personaggi­o di fantasia?

«Devi costruire la sua biografia, diventi un po’ autore: l’attore dà vita a ciò che è stato scritto creando dentro di sé ciò che non è stato scritto. Nel mio caso, al lavoro interiore si è aggiunto anche un lavoro esteriore: per dare la giusta fisicità a Pietro Bosco sono ingrassato di 20 chili in tre settimane».

Com’è che fate voi attori a ingrassare o dimagrire in così poco tempo?

«Ingrassare è facile: ti siedi al ristorante e ordini per cinque. L’unico problema è che ogni volta devi spiegare al cameriere che gli altri quattro non arriverann­o, ci sei solo tu».

Rischioso per la salute?

«Più per il portafogli­o».

DAL 2 4 MARZO

SU SKY «Fare l’attore vuol dire accettare il fatto che da quel momento sarai sempre giudicato»

amano annullarsi nei loro personaggi, altri, come ha detto recentemen­te Tilda Swinton, che amano rimanere sempre se stessi. Tu come la vedi?

«La Swinton è una paracula, perché dice così ma poi fa l’opposto. Per quanto mi riguarda, recitare è una possibilit­à per “togliermi”: attingo a me stesso ma mi piace perdermi in un personaggi­o».

Qual è per te un’interpreta­zione memorabile?

«Quelle che conoscono tutti...».

Accusi la Swinton ma anche questa è una risposta un po’ paracula...

«[Ride] Hai ragione... È che vorrei essere originale ma la domanda non me lo permette, perché mi piacciono tanto il De Niro primo periodo, e Marlon Brando, che almeno in cinque film è insuperabi­le».

Considerat­o l’argomento di 1992, il confronto con of Cards è inevitabil­e: lo avete fatto?

«No: ho visto solo un episodio».

E 1992 lo hai visto?

«La prima puntata. Quando fai l’attore devi rivedere ciò che hai girato almeno tre volte. La prima volta guardi solo te stesso e noti solo i difetti. La seconda inizi a prendere le distanze. E solo alla terza riesci a guardare con distacco».

E dopo aver visto per tre volte 1992, che ne pensi?

«Credo sia la serie più innovativa fatta in Italia: non uno ma molti passi in avanti».

Più di Gomorra o Romanzo criminale?

«Sì, perché Gomorra è “di genere” mentre 1992 è un’altra cosa, usa un altro linguaggio. Non c’è niente di paragonabi­le».

Un episodio imbarazzan­te capitato durante la lavorazion­e?

«Mi sono rotto un legamento del ginocchio. Ho sottovalut­ato una scena in cui dovevo giocare a rugby. Mi sono operato solo dopo aver finito le riprese e ho passato un anno e mezzo a zoppicare».

C’è stato nella tua vita un evento che, come Tangentopo­li in Italia, ha segnato un prima e un dopo?

«Questa è una domanda che potrebbe mandarmi in crisi e non farmi più parlare per tre anni: vita? Quale vita? A quale vita ti riferisci? Ci sono tante vite all’interno della stessa vita... E quale fase della vita... che poi diventa un’altra vita?».

Ok, ok, ho capito: se preferisci passiamo a domande tipo “progetti per il futuro”.

«[Ride] “Professore, io per l’esame avrei portato ‘progetti per il futuro’ e un argomento a piacere. E Leopardi”. Al liceo portavo sempre Leopardi...».

Per esempio: c’è stato un momento in cui hai deciso che volevi fare l’attore?

«Quando ho iniziato la scuola di recita- zione ero combattuto: volevo fare l’attore ma ero spaventato dal giudizio. Perché se decidi di fare questo lavoro devi mettere in conto che, da quel momento in poi, verrai sempre giudicato. Da un lato non mi piaceva, dall’altro l’idea di dimostrare che ero in grado di farlo mi attraeva molto».

E quando le critiche negative poi sono arrivate, come le hai vissute?

«Mai ricevuto critiche negative. E mai ne riceverò! [Ride]».

Ok, ho capito: progetti per il futuro?

«[Ride] Ma dici sul serio? Me lo vuoi chiedere davvero?».

No, scherzavo. L’intervista è finita: spero non sia stato troppo traumatico...

«No dai, è stato divertente. Però che ti avevo detto? Alla fine non ti ho detto niente».

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