GQ (Italy)

È T U T TA U N ’ A LT R A MU S I CA

A pranzo con GIORGIO BATTISTELL­I, il compositor­e che porta alla Scala “una scomoda verità”

- Testo di FRANCESCO MERLO

Un’opera lirica sul clima è arte impegnata o è moda? «Cantare per il clima è l’antica risorsa dei popoli: il ballo della pioggia, le nenie, la preghiera…».

La storia del clima diventa così la storia dell’inadeguate­zza dell’uomo nell’universo? «E della ricerca del rapporto con Dio. In scena ci saranno la Terra Gea, gli arcangeli… » . Anche la Creazione? «Eva sarà un soprano e Adamo un tenore». E il serpente? «Un controteno­re». Ma nel lavoro di Al Gore, a cui la sua opera si ispira, non c’è il mito della Genesi, non ci sono l’uomo, la Donna e il Diavolo in falsetto. «Di Al Gore ci sarà la denunzia delle responsabi­lità della politica e dell’economia nel disastro climatico: il riscaldame­nto globale, il gas serra, il protocollo di Kyoto…». Ma Al Gore ci sarà? «Spero di sì. L’abbiamo invitato alla prima, il 16 maggio, alla Scala». Cosa le ha detto? «Di metterci un po’ di musica country».

«Forse perdere è l’effetto collateral­e dell’impegno»

Lei crede davvero che con la musica si fa politica? «Con la musica si può fare tutto. Io credo nel racconto e nel trasferime­nto delle emozioni».

Lei è del 1953. « La generazion­e dell’impegno. È un bisogno di cui non riusciamo a liberarci».

Giorgio Battistell­i in Italia è “il compositor­e”. Di carattere è allegro, dolce e mite come un concertato di Mozart. Fisicament­e è riccioluto, alto, elegante ma senza snobismi, come lo stornello della Tosca. Nel mondo è il più famoso e rappresent­ato autore italiano di musica contempora­nea: dopo 34 anni, la sua Experiment­um Mundi va ancora in scena, è una delle opere più studiate nelle università. Dunque, è un vincente.

E invece no, è un gioioso perdente. Si è candidato alla presidenza dell’accademia di Santa Cecilia ed è stato battuto da Michele Dall’ongaro, che è un musicista ma soprattutt­o un dirigente della Rai: «Ci sono volute cinque votazioni. La differenza di voti è stata piccola, ma sapevo che avrebbe vinto lui » . E adesso si presenterà come sindaco ad Albano Laziale, dove è nato, e anche lì sarà battuto. «Alle fne, temo di sì. Ho molti consensi ma non ho un partito». Perdere è il suo hobby? «Forse è l’effetto collateral­e dell’impegno».

Sciascia traduceva con “ingaggio” la parola “engagement”, che non gli piaceva: credeva che l’impegno fosse personale e morale. « Anche io credo nell’impegno ma non nell’ingaggio».

Lei dove stava in quegli anni? «Nel 1968 ne avevo solo 15. Non sono arrivato in tempo. Sono entrato all’università a Roma nel ’71: Antropolog­ia. Ho frequentat­o la federazion­e giovanile del Pci». Suo padre? «Mio padre era socialista. Era stato a Fiume».

Lei, tra le tante cose che fa, dirige l’orchestra della Toscana: le piace Renzi? «Mi piace la sua energia». Anche in Experiment­um Mundi ce ne mise tanta: i suoni sono quelli dei ciabattini che risuolano, dei cuochi che sbattono le uova, dei muratori. «Mio padre aveva un’impresa edile. Ho fatto lavorare i suoi operai » . Sono ancora loro che vanno in scena, dopo 34 anni? « Sì. Alcuni erano borderline con la criminalit­à. La musica li ha cambiati e forse salvati: vanno a vedere Goldoni, discutono di Shakespear­e». Riescono a produrre gli stessi suoni, sempre uguali? « Certo. Ormai sono dei profession­isti».

Lei è un ottimista? «Sono un entusiasta». Vuol dire che comunque “si butta”? «Sì».

E invece no, Battistell­i ci ripensa: «La verità è che sono un uomo di fatica». E racconta che fn da ragazzo componeva sempre, «anche prima di imparare a scrivere la musica, prima del Conservato­rio, facevo segni sul foglio bianco sul tavolo…». E ancora adesso, che ha insegnato e diretto a Londra, Berlino e Parigi, compone sempre: «Mentre mi rado, per la strada, in casa».

Anche il modo allegro con cui ne stiamo parlando davanti a un trancio di pesce spada è composizio­ne, «in armonia con il cielo pallido di oggi o con quello brillante di domani, sempre con il mondo nel quale sono cresciuto » . Ecco: «Io compongo anche quando non ho niente da dire». Con la testa vuota? «Ho fatto la stessa domanda a quattro grandi maestri, in anni diversi: “ma come si fa a scrivere se non hai niente da dire?”. L’ho chiesto a Jünger e poi a György Sándor Ligeti, a Luciano Berio, e infne ad Hans Werner Henze». E le risposte? «Tutti mi hanno detto: bisogna scrivere comunque». È la scrittura che fa venire le idee? «È come la materia di Einstein che si trasforma in energia». C’erano compositor­i in famiglia? «No». Ha fratelli? «Uno». Musica? «No. Ristoranti all’estero » . Sorelle? « Una. Ero il piccolo della casa».

Dunque un giorno, per vocazione, si è messo a suonare il violino e a comporre? «Prima a comporre e poi a suonare». E in casa che le dicevano? «In famiglia non c’era la musica, ma c’era la fantasia. Il nome di famiglia di mia madre è Salustri: era cugina di Trilussa. E la mamma, ad Albano, aveva un grande cinema- teatro, venivano le più importanti compagnie, soprattutt­o di varietà, e dunque vivevo tra gli attori e i registi che spesso mangiavano a casa nostra. Quello che ricordo con più affetto è Aldo Fabrizi, che mangiava i piatti di mamma con lo stesso gusto che esibiva al cinema. Era molto simpatico ma anche molto malinconic­o… E tra cugini e parenti noi Battistell­i siamo talmente tanti che la mamma organizzav­a proiezioni di flm solo per noi». Il sapore è quello di Nuovo Cinema Paradiso?

«A volte le cose del cinema succedono davvero».

«Una sfida tra coristi sul protocollo di Kyoto»

Il libro di Al Gore, che è anche un flm, si intitola Una scomoda verità. L’opera di Battistell­i si intitola CO2: «Cento coristi, 20 danzatori, 15 cantanti solisti, 25 voci bianche, cento orchestral­i…». È un’epica. «La sfda tra i Paesi che si confrontan­o nel protocollo di Kyoto sarà una sfda tra coristi » . In che lingua? «In tutte le lingue e a cappella, senza accompagna­mento musicale. Per esempio la delegazion­e cinese canterà in cinese e quella russa risponderà in russo » . Ma il testo dell’opera è in italiano? «No. In inglese. Lissner l’ha voluta in inglese». Perché? Il compositor­e è italiano, la Scala è italiana, la lingua dell’opera è l’italiano. «Sì, ma Lissner ha voluto la lingua del mondo». Lei dove ha imparato a scrivere in inglese? «Sul campo».

Prima di ispirarsi ad Al Gore, Battistell­i aveva già portato in musica Totò ( Il medico dei pazzi), De Sica ( Miracolo a Milano), Pasolini ( Il fore delle Mille e una notte, Teorema), Fellini ( Prova d’orchestra) e Divorzio all’italiana di Pietro Germi. Lo ha conosciuto? «Ho sposato sua fglia, che insegna all’università. Adesso siamo separati». Marialinda Germi è la mamma di suo fglio? «Sì». Musicista? « No. Psicologa » . Per capire il padre? «Ha un bel materiale in famiglia».

Anche uno come Al Gore potrebbe interessar­le: ha perso le elezioni presidenzi­ali ma ha vinto il Nobel e l’oscar, forse è la scaltrezza della politica che affda all’arte tutto quello che non riesce a fare... «Oggi il clima non è solo l’apocalisse annunciata dagli scienziati e negata dai politici, è anche il nuovo disagio esistenzia­le, come La nausea di Sartre, come la lotta di classe di Mar x».

All’accademia di Santa Cecilia non è diventato presidente. Cosa la divide dal vincitore? «La visione. Io penso a un’ac- cademia che non tagli stipendi, che non si limiti nei progetti, che non soffochi nei bilanci». Oggi non è facile. «Ci sono le condizioni per nuove forme di mecenatism­o». Intende gli sponsor? «No, la differenza è sottile ma essenziale. Lo sponsor compra uno spazio per il suo marchio. Il mecenate partecipa al processo creativo». Il Rinascimen­to? «La Cappella Sistina». Vede mecenati in giro? «Non vedo nessuno che li stimoli». Crede in Dio? «No. Ma la mia famiglia era cattolica. Io credo molto nel rapporto tra la musica e la religione».

La musica ser ve a farsi ascoltare in Cielo? « Sì, a commuovere gli dei, si tratti del Dio cristiano che vuole la messa cantata, o di Allah che preferisce il muezzin. O dei capi di Stato che non trovano l’accordo musicale per correggere il dissesto climatico».

«FABRIZI M A N G I AVA I PIA TTI DI M A M M A C ON LO S TESSO GUSTO CHE MOS T R AVA NEI FILM »

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Illustrazi­one di DAVID JOHNSON
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