GQ (Italy)

La scelta speciale di Russell

È il guerriero per eccellenza della Nba. Ma WESTBROOK é anche un campione della superficie: ha già deciso che da grande farà la moda, flirta con le grandi firme, ha una pierre che sfonda di telefonate le testate di stile. Per questo, eccolo qui

- Testo di TIM SMALL Foto di VENT1

Sembra il ritratto del perfetto cestista: 26 anni, un metro e novantuno per ottantaset­te chili di muscoli, pelle e nervi. Ha le spalle larghissim­e, la vita strettissi­ma, le mani giganti.

Quando lo incontro, Russell Westbrook è appoggiato al divano del bar dell’hotel Principe di Savoia a Milano. Visibilmen­te rilassato, ma perfino così ne percepisco subito il potenziale atletico: a ogni piccolo movimento corrispond­e un’onda di muscoli in contrazion­e ed espansione che sposta i tessuti dei vestiti che indossa. Conferma cioè l’impression­e che mi sono fatto di lui, anche guardandol­o giocare: una molla avvitata, pronta a esplodere. E questo è stato l’anno in cui è letteralme­nte esploso, l’anno della sua consacrazi­one.

Russell è stato il giocatore con la media punti più alta di tutta la Nba − ha finito la stagione con 28,1 a partita, sopra James Harden e Lebron James − giocando, per di più, da guardia, un ruolo che tendenzial­mente dovrebbe basarsi più sul far fare punti ai compagni che non sul segnarli tu stesso. Westbrook, però, non è una guardia come le altre.

Dal vivo sembra una molla avvitata, pronta a esplodere

Ci sono forse due o tre giocatori più veloci ed esplosivi di lui, certamente, ma quello che davvero impression­a è che non ce n’è uno che riesca a combinare una tale potenza atletica con la visione e la regia di Westbrook: lo attestano i quasi nove assist a partita che Russ è riuscito a creare, in media, con la maglia degli Oklahoma City Thunder.

Bastano i numeri a renderlo un evidente campione, tuttavia il suo valore viene messo in discussion­e spesso. Forse perché nei Thunder il primo leader è stato, e rimarrà, Kevin Durant, L’MVP dello scorso campionato, 4 volte miglior realizzato­re della Lega, fenomeno indiscutib­ile che quest’anno è rimasto ai box per quasi metà stagione. Proprio in quel periodo Russell ha preso in mano la squadra e ha messo in fila un numero incredibil­e di “triple doppie” nel mese di febbraio, che ha terminato con una media di 30 punti, 10 rimbalzi e 9 assist. Tuttavia non è riuscito a portare i Thunder, orfani di Durant, ai playof f e per questo è stato accusato di non essere un vero campione. Secondo me, una follia.

I numeri del suo storico febbraio, per dire, sono così rari che solo un giocatore nella storia della National Basketball Associatio­n è riuscito a raggiunger­li prima di lui: Oscar Robertson, un mostro della natura che chiamavano “Mr. Triple Double”. A Russell chiedo, quindi, del suo atletismo, se è proprio quella l’arma segreta. «Sì, hai ragione. Cerco di essere sempre al massimo del potenziale atletico. Pensa che tre anni fa ero molto più piccolino: ora sono grosso, più forte. Credo anche più veloce. Sono sicurament­e molto più difficile da prendere a spallate».

Ma la Lega profession­istica americana è un mondo a parte. «Ci arrivi e pensi di essere al massimo della tua prestanza fisica, ma quel limite va subito in frantumi. I ritmi Nba accelerano sempre. Questo vuol dire che i limiti atletici di tutto il gioco del basket sono in costante evoluzione. E man mano che la Nba si evolve, tu ti devi adeguare, trovare un modo di stare a quei ritmi e rimanere competitiv­o. Per me non è un problema, però, perché

«OGGI PRENDERMI A S P A L L AT E È M O LTO P I Ù

DIFFICILE»

amo allenarmi e non mi dispiace stare tante ore in palestra. Però credo anche nella forza del riposo. È importante non esagerare e cercare di rimanere equilibrat­i».

«Non è facile star dietro ai ritmi forsennati della Nba»

Russell è affamato, intenso, incazzato: urla dopo ogni schiacciat­a. « È vero, forse alcuni direbbero che il mio gioco è rabbioso», confessa. «La verità è che ho una seconda personalit­à. In campo sono sempre concentrat­o, tiro fuori tutte le emozioni che tengo dentro anche per dare energia ai compagni e al pubblico. Fuori, invece, sono molto rilassato, mi piace stare tranquillo e far ridere i miei amici. Le energie le tengo per il campo da gioco. Ecco, forse, la cosa meno compresa di me: non sono una persona cattiva o rabbiosa ma solo competitiv­a».

Forse per questo Kevin Durant sostiene che Westbrook in campo è come Sasha Fierce, l’alter ego di Beyoncé. O magari lo dice solo per sfotterlo, poiché Russell ha una seconda passione abbastanza particolar­e: la moda. È per questa ragione che lo incontro a Milano. È qui per la Settimana della Moda, ospite di Zenith, dei cui orologi è ambassador da più di un anno; poi andrà a Parigi, dove presenterà la sua collezione di occhiali da sole. «I love fashion. Per me ormai è quasi un secondo lavoro, dopo il basket. Venire in posti come Milano, o Parigi, be’, non è solo un sogno, per un appassiona­to: è un passo importante per la mia carriera. Non ho il problema di tanti altri atleti, che non sanno cosa fare dopo aver smesso di giocare. Io la mia nuova carriera l’ho già decisa. La moda è importante per me ora, e lo sarà sempre di più negli anni a venire. Lo stile a New York è diverso da quello di Los Angeles, che è diverso da quello che si trova a Milano, a Parigi o a Londra, ed è per questo che continuare a viaggiare è davvero fondamenta­le».

Vivere a Oklahoma City non dev’essere troppo facile, per un tipo del genere. «Sì, da questo punto di vista è molto difficile, ma uso tanto la Rete per tenermi informato, studiare le novità, vedere le collezioni e seguire i nuovi trend. Ecco perché è così importante venire in città come Milano: ogni cosa che vedo mi forma come creativo. Ovunque vada, cerco di osservare le cose e tenere gli occhi aperti perché la moda include tutto. L’arte, la natura, i diversi luoghi e le persone, tutto questo può essere usato per costruire una visione di cosa sono la moda, lo stile».

«Ogni cosa che vedo in giro mi forma come creativo»

Una fortuna, dunque, che la Lega stia vivendo un’espansione a livello mondiale. «Certo. Abbiamo sempre più giocatori internazio­nali e la Nba è sempre più seguita in Europa e in Asia. Ciò significa che anche per noi il mondo del basket si apre a nuove influenze, a nuove realtà. Ci stiamo arricchend­o, come esperienze, sia dal punto di vista del gioco sia da quello umano».

Quando gli chiedo se non sia un po’ strano che un cestista Nba abbia la passione della moda, al punto di farla diventare una carriera, mi risponde con il suo motto: «Why not?». È pure scritto su un bracciale che porta sempre al polso. «È una cosa in cui credo, mi ha aiutato ad arrivare dove sono oggi. Perché no? È una domanda potente. Qualsiasi cosa tu faccia, se ti chiedi “Perché no?”, trovi la forza di andare avanti. Si applica al basket come alla vita o alla moda e secondo me ha particolar­e significat­o per i giovani. Quando non sai cosa diventerai da grande è importante che tu creda nei tuoi sogni, non a quanti dicono che sono irraggiung­ibili. “Perché no?”: bisogna sempre chiedersel­o se sentiamo l’altra voce mettere in dubbio le nostre capacità. Vuol dire credere in sé stessi».

Di conseguenz­a, perché non provare a sfondare nella moda? Perché non cercare di infrangere il record di Oscar Robertson? Non potrebbero essere più diverse, le due cose, ma il ragionamen­to è lo stesso. «Perché no? Vale anche per i miei limiti atletici. Perché non provare a fare un’altra tripla doppia? Ci credo molto, è un gran modo di vedere le cose».

Come dargli torto. D’altronde, chi vuole vincere non può vivere intrappola­to nelle proprie insicurezz­e. «Odio perdere, in qualsiasi circostanz­a», conferma Russell, «perché do il 100 per cento: non c’è sensazione più brutta della sconfitta quando dai tutto te stesso. Così come non c’è sensazione più bella della vittoria».

«CHIEDERSI “WHY NO T?” DÀ L A F O R Z A DI AND ARE

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«Non sono cattivo o rabbioso, sono solo competitiv­o: in campo ho un’altra personalit­à»

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