GQ (Italy)

IL QUESTIONAR­IO DI CHARLES DE GAULLE

- COSTANTINO DELLA GHERARDESC­A

provvisame­nte ad accorciare la luna di miele sulle Alpi). Ma noi lo incontriam­o a Londra anche nelle vesti di nuovo ambasciato­re internazio­nale di Omega. «Ho iniziato a portare orologi solo due anni fa, ma ricordo che mio padre, uomo molto elegante e mia icona assoluta di stile, aveva un Omega vintage d’oro con cinturino nero: semplice e meraviglio­so. Sono orologi con una storia e un’eredità, un misto tra classico e tecnologia contempora­nea».

«Sul set, vorrei sempre tornare indietro nel tempo»

Se Redmayne potesse girare indietro le lancette, cosa cambierebb­e invece della sua vita? «Provo di continuo il desiderio di tornare indietro nel tempo quando sono sul set di un film. La cosa bella del teatro è che se un giorno sbagli una scena, quello dopo puoi migliorare perché punti alla perfezione con la consapevol­ezza che non la raggiunger­ai mai. Ma nel cinema hai un tempo limitato e non c’è nulla di più frustrante di pensare che avresti potuto fare di meglio».

Nonostante a gennaio sia stato nominato da GQ British Uomo più elegante dell’anno, lasciando dietro di sé sul podio il rivale e amico Benedict Cumberbatc­h, Eddie Redmayne dice di non passare troppo tempo davanti allo specchio: «Per andare al lavoro mi basta- no un paio di scarpe da ginnastica, una T-shirt e i costumi di qualcun altro. Dunque trovo divertente vestirmi di tutto punto nelle occasioni speciali».

Quando descrive il suo stile di vita, dice di oscillare tra due estremi: quando è impegnato in un film è tutto salutismo da cavolo riccio e orari monastici, altrimenti si fionda su Sachertort­e e pinte di birra « senza ordine e nel caos più totale». Come ogni gentleman inglese che si rispetti, ha anche un debole per le osservazio­ni autolesion­iste: « Nel tempo libero cucino per mia moglie, così quando torna a casa mi trova ai fornelli: non sono molto bravo ma mi diverte. Adoro anche dipingere e suonare il pianoforte ma sono del tutto incapace in entrambe le attività».

«Mi diverte vestirmi bene per le occasioni speciali»

Nato a Chelsea, studente di Storia dell’arte, prima a Eton insieme al principe William («Giocavamo insieme a rugby. Era gentile, lo ammiro molto, ma non voglio parlare di lui, non ci vediamo da anni») e poi a Cambridge, Redmayne dice che se non avesse fatto l’attore forse oggi sarebbe un appassiona­to curatore d’arte.

«Non so se sarei bravo abbastanza ma questo è un amore grande che continuo a coltivare visitando musei appena posso. Sa cosa? Non ho mai avuto grandi aspettativ­e, ho sempre pensato che fare il lavoro che ti piace è un lusso estremo. Già a scuola, ed ero proprio piccolo, sentivo che recitare sarebbe stato tutto quello che desideravo. Ma sono onestament­e scioccato di esserci riuscito, sa?». La chiama “architettu­ra possibile”, quella in cui « ogni cosa può essere rivista e reinterpre­tata in modo totalmente libero, anche senza un piano preciso ma seguendo le forme e la consistenz­a dei materiali che suggerisco­no da sé la loro architettu­ra ». Avrà pensato a questo Anne Holtrop ( ritratto nella foto qui sotto di Delfino Sisto Legnani), il giovane – ha 38 anni – e stilosissi­mo architetto olandese che è l’artefice del padiglione del Bahrain a Expo Milano 2015. Una struttura di duemila metri quadrati interament­e formata da pannelli prefabbric­ati di calcestruz­zo bianco. L’idea è bella, certo, ma la cosa più curiosa non è il grande frutteto all’interno che accompagna i visitatori alla scoperta delle principali piante presenti nel Paese arabo, quanto il fatto che Holtrop abbia realizzato l’intero padiglione in un anno scarso. Un altro si sarebbe fatto venire un infarto, lui no: « Sono impaziente, ma non stressato, e soprattutt­o sono un ottimista ». Il risultato? Un Grand Budapest Hotel (quello del film di Wes Anderson) in versione “eco”, un po’ come la stanza d’albergo che preferisce rispetto a quelle sgombre da ogni cosa, perché, dice, « il minimalism­o uccide l’architettu­ra ».

Qual è il profumo/acqua di colonia che meglio rappresent­a la tua anima?

« Wonderwood di Comme des Garçons, con toni speziati e agrumati».

Che qualità ammiri in un ristorante?

«Dove posso andare tutti i giorni e sentirmi a casa. Sedie semplici e tovaglie di cotone bianco ».

Che qualità desideri in un albergo?

«Mi piace sia quello dove sono ora per Expo, ricco di quadri d’arte, sia una soluzione tipo Grand Budapest Hotel dove il cliente sparisce in mezzo a tutta quella ricchezza ».

Qual è la tua compagnia aerea preferita?

« Con certezza la Gulf Air ».

Cosa detesti più di tutto, nell’arredament­o?

«Il minimalism­o perché per me la casa è il luogo dove colleziona­re le cose di una vita ».

Che valuta internazio­nale vorresti essere?

«Nessuna. Magari potremmo

tornare alle monete d’oro ».

Qual è il genere di scarpa che disprezzi di più?

«Le sneakers modaiole ».

Chi è il tuo designer preferito, da Charles Worth fino a oggi?

«Posso dirlo parlando di architettu­ra: Carlo Scarpa ».

Un eroe di eleganza, nella vita reale?

«Il designer di giardini Madison Cox».

Un dono di bellezza che vorresti avere?

«La prendo da lontano: un giorno spero di avere una Ferrari 330 GT color grigio- argento. Per guidarla e sentirmela addosso. Mi renderebbe più bello ».

«La collezione uomo di Coach continua e rafforza il percorso iniziato con la collezione donna dell’inverno scorso » , spiega Vevers. « Il classico e familiare è rivisitato esplorando il contrasto tra comodità e lusso ed è caratteriz­zato da una qualità artigianal­e attenta alla funzionali­tà. Le silhouette americane sono state reinterpre­tate per un uomo che ama la moda e uno stile riconoscib­ile, attraverso pezzi iconici dal tocco sontuoso. Un remix ispirato alla musica dei Beastie Boys, all’eredità dei giovani Kennedy e all’originalit­à dei film di Gus Van Sant, immersi nel melting pot del cuore di New York».

Quindi, maxi parka e montoni su pantaloni slim, bomber e sneakers, dolcevita e paltò; zaini e borse a tracolla, assai pratiche. A raccontarl­o per immagini, nella nuova campagna, ci pensa il fotografo Steven Meisel: sullo sfondo di Staten Island prende forma lo stile americano disinvolto, da indossare anche qui da noi.

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