L’ UOMO P R O D OT TO
BUSINESS Così si definisce ENZO FUSCO, patron di Fgf Industry, che colleziona successi con cinque marchi di casual wear. Come C. P. Company, che festeggia 40 anni e un fatturato a sei zeri. Prossimo obiettivo: la Borsa
A parlare con Enzo Fusco, si finisce per camminare. E l’idea, quella con la I maiuscola, può saltare fuori in ogni momento: magari osservando i clienti di un bar appoggiati al bancone per il primo caffè della giornata, o in fila alle casse di qualche negozio cittadino. L’occhio critico vede, analizza, scruta e poi seleziona. Del resto, lui, che nella lunga carriera ha fatto ed è stato di tutto – da giovanissimo, vetrinista e commesso; poi designer, consulente di griffe, guru del military wear, stilista, inventore del BPD (il piumino leggerissimo e tascabile); oggi imprenditore alla guida di Fgf Industry – si definisce ancora e semplicemente “uomo-prodotto”. Con quella capacità di mantenere lo sguardo vigile e curioso, di lavorare in laboratorio e di «toccare e ascoltare i capi d’abbigliamento» per renderli unici.
«Un marchio storico, ma ancora d’avanguardia»
Proprio come riuscì a intravedere il potenziale di Blauer, la ditta a stelle e strisce che confeziona dagli Anni 30 i giubbotti di pelle per la polizia americana, e che oggi, grazie alla sua intuizione, è una delle icone dello sportswear. Il cui marchio, in licenza ultradecennale, gli garantisce ancora il 60% dei ricavi della sua Fgf Industry. «Credo di essere un uomo prodotto», dice Fusco, «che per esigenza fa anche l’imprenditore con un po’ d’inventiva».
Torinese per nascita e per aplomb, con un’ammirazione ancora viva per quel mondo di eleganza che emanava a ogni passo Gianni Agnelli, ma con il DNA creativo della famiglia pugliese, e operoso come il Veneto che lo ha adottato, in questa estate Enzo Fusco festeggia i primi 40 anni di C.P. Company. «Un marchio storico ma ancora d’avanguardia, che voglio far conoscere anche ai più giovani, ripartendo proprio dalle origini, dall’innovazione e dalla ricerca».
Fusco ha rilevato cinque anni fa questo brand da Carlo Rivetti di Stone Island e l’ha portato a Montegalda, il piccolo comune tra Vicenza e Padova che ospita il quartier generale di Fgf Industry. Il suo ingresso non è stato dei più semplici, poiché ha coinciso con la stagione più buia dell’economia italiana, dal dopoguerra a oggi. Tuttavia il giro d’affari è passato da 7 milioni a 9 milioni nel 2014, e ora vale circa un quarto dei 43 milioni generati dagli altri brand del gruppo: Blazer, Ten C, Prince Tees e BPD Be Proud of this Dress. «E contiamo di poterlo fare crescere ancora, almeno del 30- 35% nel 2015. Grazie alla progressiva internazionalizzazione del marchio che già oggi va forte in Gran Bretagna, Giappone e Corea e all’arricchimento del catalogo prodotti». Che, tra qualche anno, magari dalla stagione 20162017, potrebbe ampliarsi di accessori e nel vestire non solo l’uomo, ma anche la donna.
Al Pitti Uomo di Firenze, per celebrare i 40 anni di C.P. Company, è tornata in scena la Goggle jacket, la giacca lan-
TO R N A L A GOGGLE JAC K E T, P E N S ATA P E R
I P I L OT I
ciata nell’ 88 per i piloti della Mille Miglia, che aveva come caratteristica doppie lenti sul cappuccio e sulle maniche per riparare gli occhi e guardare l’ora. Una rivisitazione volta al rilancio di C.P. Company attraverso tre nuove versioni: due che raccontano il presente (in tessuto tecnico e lino-cotone) e la terza in fibre ottiche per spiegare il futuro.
Il giro d’affari è salito da 7 a 9 milioni di euro nel 2014
Più che una sfilata, quella del Pitti è stata una dichiarazione di intenti. L’uomo-prodotto spinge ancora sulla sperimentazione, nella ricerca di nuovi materiali. Secondo Fusco, non ci sono più veri designer. «I ragazzi di oggi sono molto più preparati di noi. Il mondo del web permette a tutti di essere informati e vedere ogni novità in tempo reale. Si tratta di un approccio del tutto nuovo. La mia generazione è abituata a un altro stile, a girare e rigirare il capo mille volte fino a carpirne l’essenza».
Lui va avanti, letteralmente, per la sua strada. Che è fatta di scouting quotidiano e lunghi viaggi per «toccare con mano nuove idee e nuovi prodotti». Tutto questo per C. P. Company significa anche riuscire a mantenere l’80% della produzione agganciata alla filiera del made in Italy. «Siamo un marchio alto, ma non ancora nella fascia luxury, tuttavia la cura del prodotto, dall’innovazione alla manifattura italiana, ci pone su un valore elevato di vendita».
C.P. Company, del resto, nasce dalle idee di un altro visionario, quel Massimo Osti che dalla grafica pubblicitaria è diventato uno dei più grandi innovatori nel campo dei materiali, applicando serigrafie e quadricromie alle magliette e inventando, di fatto, il tinto in capo, un capo confezionato con tessuto già tinto: uno spirito rivoluzionario conservato tuttora in azienda. «In archivio abbiamo 20mila capi, ma la ricerca va avanti», continua Fusco. «Accettiamo i suggerimenti che ci arrivano dall’esterno e poi andiamo a cercare nuove idee in giro per il mondo».
Anche vestire semplicemente in jeans e maglietta può diventare innovativo e avere tratti regali. Ne è la prova la collaborazione con Emanuele Filiberto di Savoia, per la collezione T-shirt Prince Tees, 85% cotone e 15% cachemire.
Per il futuro, Enzo Fusco ha molte idee che gli ronzano in testa. Pensa all’opportunità di quotare la società in Borsa, all’apertura di nuovi negozi monomarca all’estero, con una particolare attenzione per America ed Estremo Oriente. Ma anche al passaggio generazionale, che lui ha risolto in anticipo intitolando la società alla famiglia – Fgf sta infatti per Fusco, Giuseppe il genero e Federica la figlia. Tante idee e una sola certezza: Fusco non riuscirà a star fermo a lungo.
«LA RICERC A CO N T I N UA , A N C H E C ON 20MILA C API D ’A R C H I V I O »
«Il nostro è un brand “alto”, grazie alla cura del prodotto, dall’innovazione al made in Italy»