GQ (Italy)

L’ UOMO P R O D OT TO

BUSINESS Così si definisce ENZO FUSCO, patron di Fgf Industry, che colleziona successi con cinque marchi di casual wear. Come C. P. Company, che festeggia 40 anni e un fatturato a sei zeri. Prossimo obiettivo: la Borsa

- Testo di CHRISTIAN BENNA

A parlare con Enzo Fusco, si finisce per camminare. E l’idea, quella con la I maiuscola, può saltare fuori in ogni momento: magari osservando i clienti di un bar appoggiati al bancone per il primo caffè della giornata, o in fila alle casse di qualche negozio cittadino. L’occhio critico vede, analizza, scruta e poi seleziona. Del resto, lui, che nella lunga carriera ha fatto ed è stato di tutto – da giovanissi­mo, vetrinista e commesso; poi designer, consulente di griffe, guru del military wear, stilista, inventore del BPD (il piumino leggerissi­mo e tascabile); oggi imprendito­re alla guida di Fgf Industry – si definisce ancora e sempliceme­nte “uomo-prodotto”. Con quella capacità di mantenere lo sguardo vigile e curioso, di lavorare in laboratori­o e di «toccare e ascoltare i capi d’abbigliame­nto» per renderli unici.

«Un marchio storico, ma ancora d’avanguardi­a»

Proprio come riuscì a intraveder­e il potenziale di Blauer, la ditta a stelle e strisce che confeziona dagli Anni 30 i giubbotti di pelle per la polizia americana, e che oggi, grazie alla sua intuizione, è una delle icone dello sportswear. Il cui marchio, in licenza ultradecen­nale, gli garantisce ancora il 60% dei ricavi della sua Fgf Industry. «Credo di essere un uomo prodotto», dice Fusco, «che per esigenza fa anche l’imprendito­re con un po’ d’inventiva».

Torinese per nascita e per aplomb, con un’ammirazion­e ancora viva per quel mondo di eleganza che emanava a ogni passo Gianni Agnelli, ma con il DNA creativo della famiglia pugliese, e operoso come il Veneto che lo ha adottato, in questa estate Enzo Fusco festeggia i primi 40 anni di C.P. Company. «Un marchio storico ma ancora d’avanguardi­a, che voglio far conoscere anche ai più giovani, ripartendo proprio dalle origini, dall’innovazion­e e dalla ricerca».

Fusco ha rilevato cinque anni fa questo brand da Carlo Rivetti di Stone Island e l’ha portato a Montegalda, il piccolo comune tra Vicenza e Padova che ospita il quartier generale di Fgf Industry. Il suo ingresso non è stato dei più semplici, poiché ha coinciso con la stagione più buia dell’economia italiana, dal dopoguerra a oggi. Tuttavia il giro d’affari è passato da 7 milioni a 9 milioni nel 2014, e ora vale circa un quarto dei 43 milioni generati dagli altri brand del gruppo: Blazer, Ten C, Prince Tees e BPD Be Proud of this Dress. «E contiamo di poterlo fare crescere ancora, almeno del 30- 35% nel 2015. Grazie alla progressiv­a internazio­nalizzazio­ne del marchio che già oggi va forte in Gran Bretagna, Giappone e Corea e all’arricchime­nto del catalogo prodotti». Che, tra qualche anno, magari dalla stagione 20162017, potrebbe ampliarsi di accessori e nel vestire non solo l’uomo, ma anche la donna.

Al Pitti Uomo di Firenze, per celebrare i 40 anni di C.P. Company, è tornata in scena la Goggle jacket, la giacca lan-

TO R N A L A GOGGLE JAC K E T, P E N S ATA P E R

I P I L OT I

ciata nell’ 88 per i piloti della Mille Miglia, che aveva come caratteris­tica doppie lenti sul cappuccio e sulle maniche per riparare gli occhi e guardare l’ora. Una rivisitazi­one volta al rilancio di C.P. Company attraverso tre nuove versioni: due che raccontano il presente (in tessuto tecnico e lino-cotone) e la terza in fibre ottiche per spiegare il futuro.

Il giro d’affari è salito da 7 a 9 milioni di euro nel 2014

Più che una sfilata, quella del Pitti è stata una dichiarazi­one di intenti. L’uomo-prodotto spinge ancora sulla sperimenta­zione, nella ricerca di nuovi materiali. Secondo Fusco, non ci sono più veri designer. «I ragazzi di oggi sono molto più preparati di noi. Il mondo del web permette a tutti di essere informati e vedere ogni novità in tempo reale. Si tratta di un approccio del tutto nuovo. La mia generazion­e è abituata a un altro stile, a girare e rigirare il capo mille volte fino a carpirne l’essenza».

Lui va avanti, letteralme­nte, per la sua strada. Che è fatta di scouting quotidiano e lunghi viaggi per «toccare con mano nuove idee e nuovi prodotti». Tutto questo per C. P. Company significa anche riuscire a mantenere l’80% della produzione agganciata alla filiera del made in Italy. «Siamo un marchio alto, ma non ancora nella fascia luxury, tuttavia la cura del prodotto, dall’innovazion­e alla manifattur­a italiana, ci pone su un valore elevato di vendita».

C.P. Company, del resto, nasce dalle idee di un altro visionario, quel Massimo Osti che dalla grafica pubblicita­ria è diventato uno dei più grandi innovatori nel campo dei materiali, applicando serigrafie e quadricrom­ie alle magliette e inventando, di fatto, il tinto in capo, un capo confeziona­to con tessuto già tinto: uno spirito rivoluzion­ario conservato tuttora in azienda. «In archivio abbiamo 20mila capi, ma la ricerca va avanti», continua Fusco. «Accettiamo i suggerimen­ti che ci arrivano dall’esterno e poi andiamo a cercare nuove idee in giro per il mondo».

Anche vestire sempliceme­nte in jeans e maglietta può diventare innovativo e avere tratti regali. Ne è la prova la collaboraz­ione con Emanuele Filiberto di Savoia, per la collezione T-shirt Prince Tees, 85% cotone e 15% cachemire.

Per il futuro, Enzo Fusco ha molte idee che gli ronzano in testa. Pensa all’opportunit­à di quotare la società in Borsa, all’apertura di nuovi negozi monomarca all’estero, con una particolar­e attenzione per America ed Estremo Oriente. Ma anche al passaggio generazion­ale, che lui ha risolto in anticipo intitoland­o la società alla famiglia – Fgf sta infatti per Fusco, Giuseppe il genero e Federica la figlia. Tante idee e una sola certezza: Fusco non riuscirà a star fermo a lungo.

«LA RICERC A CO N T I N UA , A N C H E C ON 20MILA C API D ’A R C H I V I O »

«Il nostro è un brand “alto”, grazie alla cura del prodotto, dall’innovazion­e al made in Italy»

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