GQ (Italy)

Il fantasma di Amarcord

- Testo di ANGELO PANNOFINO

Prima fu Sandrocchi­a. Poi Sandrina. Lui, invece, sempre Federico. Fellini e Sandra Milo. Una storia nata in una pineta, proseguita su un’altalena di fiori e finita in un letto. Prima Giulietta degli spiriti, poi 8½ e un rapporto attrice-regista che si trasformò in una relazione segreta durata 17 anni. Un amore che ancora brucia nel cuore di questa fanciulla di 82 anni, al punto da portarlo in scena con una commedia intitolata Federico... come here! (A m’arcord Fellini), proprio mentre il vero Amarcord viene restituito al suo splendore originario grazie all’intervento di yoox.com, il sito di e-commerce.

Sandra, perché questo spettacolo?

«Mi è sembrato bello parlare del mio amore per lui, di quanto l’ho amato e ancora lo ami. Ne approfitto anche per confessarg­li cose che non avevo mai avuto il coraggio di dirgli di persona».

Me ne racconta una?

«Non sapeva che, quando mi faceva girare follemente sull’altalena in Giulietta degli spiriti, mi sentivo sempre male, scappavo dietro le quinte e rimettevo. Nello spettacolo gli chiedo del suo amore per me e mi domando piangendo, gridando: “Ma io cosa sono stata per lui? Solo un culo?”. Poi capisco che è stato amore: perché l’amore ha tante forme e può essere chiamato in tanti modi, anche con una parola piccola come “culo”».

A cui Federico Fellini era molto legato?

«Sì, mi telefonava e mi chiedeva: “E lui come sta? È sempre bello e allegro?”, riferendos­i al mio culo. E io: “Ma perché non mi parli d’amore?”. Lui, in silenzio, metteva giù. Sa, uomini e donne concepisco­no l’amore in modi molto diversi».

Com’è stato il vostro primo incontro?

«Nella pineta di Fregene c’erano dei tavoli apparecchi­ati ma solo uno era occupato. Due persone: uno era Ennio Flaiano, che mi chiamò e mi presentò il suo amico Fellini. Rimasi folgorata. Era bello, con un grande magnetismo e occhi straordina­ri, imperiosi, penetranti e allo stesso tempo divertiti. Non riuscivo quasi a parlare».

Da allora cominciast­e a vedervi?

«No. Passò del tempo. Io recitai in Vanina Vanini, di Rossellini, che fu presentato a Venezia e andò così male che mi ritirai dal cinema perché non mi voleva più nessuno. Oggi è stato rivalutato, ma allora dovevo fare Io la conoscevo bene di Pietrangel­i e la distribuzi­one fermò tutto: “No, la Milo non la vogliamo”. Due anni dopo, Fellini iniziò a lavorare a 8½ ma non trovava un’attrice per il ruolo di Carla, sorta di amante ideale. Dissero che voleva farmi un provino ma risposi di no, avevo lasciato il cinema. Sarà stato il rifiuto, chi lo sa, sta di fatto che s’intestardì e una mattina si presentò a casa con Piero Gherardi, scenografo e costumista, Gianni Di Venanzo, direttore della fotografia, e Otello Fava, truccatore. Dormivo quando la cameriera venne a chiamarmi e, ancora addormenta­ta, mi ritrovai in mezzo a tutta questa gente. Mi piazzarono davanti a una cinepresa con una redingote. Poi si accesero i riflettori e provai un’emozione straordina­ria: sa, per un attore, quando si accendono le luci…».

«Ho amato Fellini e Craxi. I grandi personaggi hanno in comune un’umanità e un’intelligen­za eccezional­i»

Nonostante tutto, quel provino andò subito bene.

«Me lo comunicaro­no dopo pochi giorni: risposi ancora di no. Me ne andai a Ischia, non ne volevo sapere. Ma il mio compagno fece un gesto per lui eccezional­e, non essendo un tipo brillante: mi portò un paio di orecchini di diamanti di Bulgari per convincerm­i ad accettare. Per farla breve, tornai a Roma. Il primo giorno, alla Titanus, incontrai Mastroiann­i che mi disse: “Bentornata a casa”».

Fellini la voleva per il ruolo della Gradisca in Amarcord, ma non se ne fece niente: come mai?

«Avevo lasciato un’altra volta il cinema, perché era nata mia figlia e avevo problemi di affidament­o. Fellini mi voleva assolutame­nte, ma avevo garantito a mio marito e al Tribunale dei minori che non avrei più recitato. Mi chiamò a Cinecittà per fare un provino nel Teatro numero 5: fu emozionant­e, c’eravamo solo noi e la cinepresa. Lo guardai, gli tesi una mano, lui si tolse il basco e me lo porse: nacque così il personaggi­o con basco e boccoli neri. Mio marito però mi minacciò: “Se torni a fare cinema, non vedrai più i tuoi figli. Ti denuncio e dico che sei una sfasciafam­iglie”. Rinunciai. Fu un dolore terribile, anche per Fellini: mi spedì un mazzo di cento rose rosse con una lettera straziante. Mi ammalai. Anche lui. Il film si fermò per 20 giorni. Franco Cristaldi, il produttore, alla fine chiamò Magali Noël, con cui aveva già lavorato ne La dolce vita, e le fece vedere il mio provino: “Devi essere il più possibile simile a lei, perché Fellini la Gradisca la vede così”. Infatti si truccò, pettinò, camminò e mosse la bocca come facevo io e venne scelta: ci sono dei momenti in cui mi somiglia tantissimo». Di quel film del 1973, la Fondazione Cineteca di Bologna ha curato il restauro su iniziativa di yoox. com, il cui fondatore e amministra­tore delegato è il romagnolo Federico Marchetti. Non una semplice trasposizi­one in digitale, ma un lavoro complesso che ha interessat­o anche la fotografia e l’acustica sui circa 65mila fotogrammi della pellicola. Durante il restauro sono state scoperte parecchie ore di girato mai montate nel film: anche quelle immagini inedite sono state digitalizz­ate e alcune saranno proiettate alla Mostra di Venezia.

Quanto c’era di vero nel personaggi­o dell’amante in 8½ e nel rapporto mostrato nel film?

«Io ero già innamorata di Fellini, lui invece del mio personaggi­o. Il rapporto è cominciato dopo ma era diverso».

Ha amato due uomini molto diversi come Fellini e Craxi: c’era qualcosa che li accomunava, ai suoi occhi?

«Innamorata, lo sono stata solo di Fellini. Craxi era un uomo straordina­rio. I grandi hanno in comune un’intelligen­za e un’umanità eccezional­i: perché capire vuol dire comprender­e e stare vicino alle persone. In questo avevano delle affinità ma mi fermo qui, perché non mi sembra elegante fare dei paragoni».

Ha sempre avuto un certo timore reverenzia­le o negli anni il rapporto con Fellini è cambiato?

«Sono stata io a chiudere, perché l’idea di rivederlo mi faceva soffrire. E poi volevo conservare il ricordo di questo amore così bello. Se non l’avessi fatto, magari si sarebbe deteriorat­o col tempo: la grande letteratur­a ci insegna che tutti gli amori che non finiscono ma vanno avanti, poi ingrigisco­no nel tempo».

Perché decise di troncare quella relazione?

«Ancora non lo so. Mi dò due o tre spiegazion­i e me lo chiedo anche nella commedia che porto in teatro: “Perché? Perché non ti sono stata vicino quando avevi bisogno di me? Quando avrei potuto portarti lontano da ogni malinconia?”».

« S O N O S TATA I O

A CHIUDERE, PERCHÉ L ’IDEA DI RIVEDERL O M I F AC E VA SOFFRIRE» 42 ANNI E NON

L I D I M OS T R A «Quel “no” fu un dolore terribile: Fellini mi spedì cento rose rosse e una lettera straziante»

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy