LA C ASA DEGLI SPIRITI
BUSINESS Partito da una cittadina alle porte di Varese, ha conquistato il mondo di vini e liquori. A capo di ILLVA SARONNO, Augusto Reina ha costruito un impero da 350 milioni di euro, con tanto di castello in Cina, rifatto in stile italiano
Erano un po’ di anni che Augusto Reina non rilasciava interviste. «Non amo parlare con i giornalisti, non mi fido». Bene... Eppure, uno degli imprenditori più importanti d’italia voglia di parlare ne ha. Anche perché adesso non può più esimersi, visto che l’azienda di famiglia, la Illva Saronno S.P.A., una delle società italiane più sane e forti anche all’estero, ha parecchie novità da comunicare. A cominciare dal Disaronno Riserva, un blend tra il celebre liquore italiano e lo scotch whiskey, in limited edition di 10mila esemplari da 300 euro a bottiglia, prodotte nelle storiche cantine Florio. Questa storia, però, comincia da più lontano.
La sua famiglia è dal 1425 nel mondo alimentare e imprenditoriale. Si sente un predestinato?
«Provengo da una cultura tecnica, sono uomo di produzione. Di cinque fratelli, io sono stato messo al vertice dell’azienda. Nessun altro di loro ne fa parte ed è giusto così. Qualcuno dice che sono un despota. E ha ragione!».
Che cosa ha fatto il “despota” per la sua azienda?
«Ho sempre guardato avanti. Mai senza un piano strategico, che significa essere pronti al rischio. Se sbaglio, ricomincio: ciò che conta per me è domani, e per ora i fatti mi hanno dato ragione».
Il vostro core business è il liquore Disaronno, lo storico amaretto. Come si è evoluto il prodotto?
«C’è una regola in azienda: chi dice amaretto paga un caffè. Per alcuni è ancora solo quello, un po’ come il Fernet per Branca e il Bitter per Campari, ma non è più così. Ciò che stiamo provando a fare è brandizzare anche noi il marchio e ci stiamo riuscendo. Negli Stati Uniti da qualche anno lavoriamo nel canale on trade per diversificare il modo di bere “Di-sa-ro-no”, come lo pronunciano gli ame- ricani. Quindi non più liscio ma on the rocks, miscelato con altre bevande».
Qual è il mercato più importante per voi?
«L’inghilterra, con il nostro distributore William Grant, ma andiamo bene anche in India, dove siamo la terza azienda di whiskey nel Paese, e in Cina, dove abbiamo aperto una sede a Shanghai. L’italia è per noi solo un plus rispetto al resto del mondo: conta il 5% del fatturato totale».
« Il Gruppo Illva Saronno Holding S.P.A., a cui appartiene Illva Saronno S.P.A., e che include, oltre alle bevande alcoliche, anche semilavorati per gelato, prodotti da forno e lenti ottiche, ha fatturato 350 milioni di euro. Di questi, 190 milioni circa derivano dal segmento vini e liquori».
« Q UA LC U N O DICE CHE SONO UN D E S P OTA . H A R AG I O N E »
fatturato.
Come ha af frontato quel mercato?
«In Cina lavorano in modo completamente diverso dal nostro, abbiamo dovuto appellarci a una grande elasticità mentale».
In che senso?
«Da loro l’unico Dio è il Partito. Un po’ come da noi lo è Papa Francesco».
Sta dicendo che è dovuto diventare comunista per business?
«Nooo, ma è vero che senza appoggio del Partito non si fa nulla. In Cina tutto è condizionato dalla politica e allora con grande apertura mentale siamo riusciti a impostare un ottimo accordo di business».
In Cina c’è un castello a lei dedicato, lo Chateau Changyu Reina Shaanxi. Di che si tratta?
«È un castello costruito in stile italiano e circondato da 73 ettari di vigne, con una cantina di oltre 15mila metri quadrati dove stocchiamo botti di legno per il vino. Davvero un bel posto».
Tra i mercati più recenti all’estero c’è anche l’india, dove nel 2008 avete siglato una joint venture al 50% con Modi Group per la produzione e l’importazione di spirits. Come sta andando?
«Molto bene, Modi Group è uno dei più importanti gruppi del mercato indiano che opera in molti settori, non solo negli spirits. Ogni anno cresce del 20-30%».
ha diversi business, dai semilavorati per gelati alle lenti ottiche. Rinuncerebbe a qualcuno di questi per aggiungere qualcos’altro?
«Sarei pronto a sacrificarli tutti per dedicarmi esclusivamente al rafforzamento della linea dei liquori. Come presenza nel mondo siamo tra i primi tre più influenti. Se mi dovesse capitare, acquisterò altri marchi per diventare ancora più importante e presente nel mercato internazionale».
Nuove acquisizioni ma anche nuovi prodotti come Disaronno Riserva. Ci spiega l’operazione?
« L’obiettivo è e sarà sempre quello di creare qualcosa di nuovo. In questo caso non solo la bottiglia ma anche il suo contenuto, un blend tra Disaronno e un whiskey scozzese invecchiato in botti di rovere. Alcune risalgono anche al 1938, le stesse che hanno contenuto importanti riserve di Marsala. Un prodotto spe- ciale partito dalle Highlands scozzesi, passato da Saronno e finito nelle Cantine Florio. È un cerchio che si chiude».
Proprio in Scozia nel 2013 ha siglato una partnership con la Walsh Whiskey Distillery. Cosa prevede l’accordo?
« Un piano d’espansione per un valore iniziale pari a 25 milioni di euro che include la costruzione di una distilleria di whiskey in Irlanda lungo le sponde del fiume Barrow, a Royal Oak, nella Contea Carlow. Pensiamo di inaugurarla entro il 2016».
Quando sceglie di rilassarsi, nel bicchiere cosa versa: whiskey scozzese o Disaronno?
«Whiskey. Adesso anche un Disaronno Riserva».
« L’ I TA L I A È UN PL US. CO N TA S O L O
IL 5% DEL FAT T U R ATO »
«Ho investito nei gelati e nelle lenti, ma a me interessa di più rafforzare la linea dei liquori»