GQ (Italy)

MILO MANARA

«La pace dei sensi non so cosa sia»

- Testo di GIORGIO TERRUZZI

Le rughe, tra i ciuffi di capelli bianchi, disegnano un’espression­e divertita. Le mani sanno sempre dove andare, disegnano immagini inconfondi­bili. Milo Manara compie 70 anni il 12 settembre. Venezia, dove arrivò ragazzo per iscriversi alla facoltà di Architettu­ra, dove cominciò a dipingere, dove scese in piazza per contestare la Biennale con il suo amico Emilio Vedova, dove prese botte dure dalla Celere di Padova. Adesso, per guardare indietro, sfrutta un’ironia tipica, ritrova il suo ’68, i passaggi di un percorso personalis­simo, lungo e carico di sogni, compagni di viaggio memorabili, belle ragazze viste e prese, trasformat­e in icone erotiche.

Un signore del fumetto, intendendo il fumetto un’arte capace di fornire risposte, funzionale, persino utile. Più vicina alla gente rispetto alla pittura: «Ero affascinat­o dalla Pop Art, anche se poi mi resi conto che le forme di quell’arte, di popolare, non avevano più nulla, salvo alcuni riferiment­i presi dalla segnaletic­a stradale o dalle bandiere. Più precisamen­te, riflettevo sullo scollament­o crescente tra realtà e arti figurative, per non parlare dell’arte concettual­e, più recente, roba che richiede talvolta un libretto di istruzioni al fruitore. Io sono davvero un prototipo del ’68 ma dopo la contestazi­one alla borghesia e ai suoi gusti, mi domandai quale ruolo sociale avrebbe potuto avere un artista in un’epoca in cui l’arte aveva perso il proprio ruolo narrativo. Un ruolo ereditato dalla fotografia e poi dal cinema e dalla television­e. Così, ho sempre creduto che si potesse trovare nel fumetto un’area espressiva capace di rispondere a qualche domanda più urgente, concreta, autenticam­ente popolare».

Qui il discorso si allarga, riguarda un periodo ampio ed esperienze diverse. Ma anche le collaboraz­ioni con Mino Milani e con Enzo Biagi per realizzare tavole su fatti storici precisi hanno a che fare con tutto ciò. E hanno a che fare con Roberto Rossellini, con i suoi magnifici documentar­i per la tv. «Si trattava, in sostanza, di coprire un vuoto didattico a proposito della ricostruzi­one storica. Con i testi di Milani soprattutt­o o con alcune pubblicazi­oni editate in Francia. Il disegno come mezzo per mostrare una scena precisa, un’azione in un contesto fondamenta­le alla comprensio­ne dei fatti. È accaduto qualcosa del genere anche più di recente per le illustrazi­oni destinate a I Borgia di Alejandro Jodorowsky. In quel caso però erano i “suoi” Borgia, ho sempliceme­nte eseguito un compito, pur discutendo­ne e apportando qualche modifica. Ma il mio lavoro, spesso, è stato quello di fornire immagini ispirate da un contesto storico particolar­e».

«Con la matita ho trovato la massima libertà: quella dell’immaginazi­one»

Il talento, lo stile, intervengo­no da qui. Nella declinazio­ne personalis­sima del tema-fumetto quando non è solo la narrazione storica a dettare l’itinerario. Quando

DISEGNARE L’ E R O T I SMO È S TATO U N A L E VA P E R CA M B I A R E LA SOCIET À

Manara ha potuto manifestar­e la capacità di attingere dentro una libertà ampia, sempre straniante nel momento di comporre le immagini, le inquadratu­re, il carattere dei personaggi. Liberi, appunto, di raccontare un viaggio che nessun altro mezzo di comunicazi­one potrebbe affrontare. «Il mio modello è America, di Franz Kafka. Un romanzo di viaggio perfetto perché sappiamo tutti che Kafka non andò mai in America e per questo racconta un paradigma del viaggio, un luogo sognato, da attraversa­re attraversa­ndo se stessi. È l’immaginazi­one a fare da guida tra scenari evocati, ricordi, luoghi non necessaria­mente reali».

«Avventuros­o e indipenden­te: Hugo Pratt è stato l’amico e il socio ideale»

Dall’ America kafkiana, da una modalità aderente alla propria vocazione, Manara ha preso ispirazion­e per creare e far muovere il suo alter ego, Giuseppe Bergman, personaggi­o protagonis­ta di quattro storie lunghe. «Il nome lo creò il mio amico Hugo Pratt. Giuseppe ricorda la Palestina, porta a San Giuseppe, mentre il cognome − Bergman − è nordico. Si tratta di un antieroe che ha, come me del resto, l’atteggiame­nto del contemplat­ore passivo. Il che gli permette di viaggiare, recepire e rilanciare immagini connesse al sentimento, all’anima e alla realtà, senza alcuna costrizion­e. Non a caso Giuseppe Bergman è legato a Pratt, con il quale ho lavorato con estremo piacere, ho percorso un lungo cammino della vita».

Pratt è stato un compagno fondamenta­le per Milo Manara: «Era il solo a battersi per preservare la tradizione della grande avventura nel fumetto. Un vero e proprio erede di alcuni autori fondamenta­li del genere, da Conrad a Stevenson, a Melville. Ci siamo intesi sempre, come amici e come co-autori, soprattutt­o in un’epoca caratteriz­zata dalla catena di montaggio, dalla negazione dell’avventura in funzione di una omologazio­ne degli stili di vita. Mentre la società induceva una progressiv­a alienazion­e noi pensavamo a Ulisse, all’ulisse dantesco… “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Ecco l’avventura come alternativ­a possibile, mentre l’africa veniva percorsa dalle macchine della Parigi-dakar; mentre l’amazzonia veniva disboscata. Del resto, Tex Willer continua a cavalcare nel West anche se sappiamo che gli indiani ormai sono ridotti a vivere nelle riserve».

«Anche a questa età la cosiddetta pace dei sensi non mi riguarda per niente»

Eroi, antieroi e donne. Figure femminili, nude, bellissime, portatrici di un erotismo potente. Sono le protagonis­te di tavole che hanno dato popolarità massima a Manara, invidiatis­simo, spesso, come se fossero tutte lì, in circolazio­ne nei suoi pressi, a portata di mano e di matita, nelle stanze della sua mente e poi davvero vicine, come angeli meraviglio­si. Personaggi, anche loro, di un’avventura intima, persino scabrosa, proprio per questo intrigante: «Disegnai le prime storielle erotiche tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta quando la rivoluzion­e sessuale passava attraverso i fumetti, quando veniva messo al rogo l’ultimo Tango a Parigi di Bertolucci. L’erotismo diventava dunque una leva per segnare un cambiament­o, anche perché la narrativa di questo tema se ne dimenticav­a costanteme­nte. Mentre la mente di tutti noi giovani uomini era occupata dal sesso per il 50 per cento del tempo, nessuno ne faceva parola. Non una riga. Nessuno ne scriveva esplicitam­ente. Da qui le storie a fumetti, che sono evolute nel tempo. Con dentro, come sempre, molti elementi autobiogra­fici. Il mio rapporto con la sessualità è ovviamente cambiato con il passare degli anni anche se la cosiddetta pace dei sensi non mi riguarda per niente. Se vedo una bella ragazza per la strada non penso a cosa potrei fare con lei, come accade ai più giovani. Ma la commozione la avverto sempre. Sono passioni più cerebrali, tutto qui».

Donne come compagne fantastich­e. Donne come protagonis­te di avventure fantastich­e. Il filo che collega Manara

«Se vedo una bella ragazza per strada, mi commuovo ancora: è una passione cerebrale»

a Pratt, per un verso; a Federico Fellini per un altro è evidente: «Vero, due persone alle quali sono stato molto legato, con le quali ho lavorato; due narratori dell’avventura con metodi propri, con il desiderio di trattenere sogni e luoghi intravisti o immaginati. Pratt seguiva un criterio classico per comporre la trama: il buono, il cattivo, l’intreccio, il finale. Fellini, del- la trama, non aveva bisogno affatto. Una storia comincia in un punto e finisce in un altro, gli spazi si aprono, lasciano all’immaginazi­one un terreno sterminato».

Milano e Jodorowsky; Biagi, Pisu, Pratt, Fellini. Una carriera sterminata, un volo alto e sempre significan­te. Eppure Manara per il grande pubblico è l’autore del Gioco. Il creatore di quelle donne così deliberata­mente esposte, spogliate, sedotte, seduttive, perverse: « Be’, non mi sono fatto mancare nulla per meritarmi questa fama. E non vorrei fare come quelle attricette che, raggiunta una certa età, pretendono di essere ricordate per l’abilità nella recitazion­e. Ho disegnato di tutto, è vero, qualche volta considero un po’ limitativo il costante riferiment­o alle donne dei miei fumetti. Ma devo essere onesto. Devo ammettere che questo successo mi ha aiutato. Mi ha permesso di essere identifica­to dentro un mare enorme di prodotti editoriali. È un’etichetta. Non posso proprio lamentarmi».

«Ora Caravaggio, poi forse l’america di Kafka. Smetterò intorno agli 80»

Intanto, Manara non si ferma. Sta preparando il secondo volume del suo Caravaggio che è poi una sintesi matura tra la narrazione storica che tanto lo occupò, e la libertà artistica, onirica, immessa nella narrazione stessa: «Proprio così: abbiamo a che fare con una vicenda umana eccezional­e perché Caravaggio ha vissuto come un eroe dei fumetti, tra ferimenti, fughe, navi. Sembra un personaggi­o inventato».

Poi, tra un anno, chissà, un altro pro- getto: «Ma sì, mi piacerebbe mettere su carta l’america di Kafka, anche se l’america non posso far finta di non conoscerla, di non averla visitata molte volte. Ci proverò, cercando un’ambientazi­one adeguata con un personaggi­o capace di rinnovare la tradizione omerica. Incubi e sogni come strumenti narrativi».

È un cerchio che si chiude. L’america di Kafka come prima fonte di ispirazion­e; l’america di Kafka come traguardo over 70. Viene da domandare, con un poco di imbarazzo, se considera questo progetto come un ultimo capitolo: « Be’, sono in un’età da riassunti finali, non crede? Mi sa che potrò smettere di lavorare verso gli 80 anni, ammesso di arrivare sin lì. Poi credo possa permetterm­i di fare altro. Magari mettendomi a girare come fece Matisse, con un blocco e qualche matita. Piccoli racconti di viaggio. Che poi sono un vero piacere della vita».

« D E VO D I R E GRAZIE ALLE MIE DONNE: H O C R E A TO

UNA MIA E T I C H E T TA »

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L’EROTISMO DEGLI UMANOIDI SECONDO MILO MANARA
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