MILO MANARA
«La pace dei sensi non so cosa sia»
Le rughe, tra i ciuffi di capelli bianchi, disegnano un’espressione divertita. Le mani sanno sempre dove andare, disegnano immagini inconfondibili. Milo Manara compie 70 anni il 12 settembre. Venezia, dove arrivò ragazzo per iscriversi alla facoltà di Architettura, dove cominciò a dipingere, dove scese in piazza per contestare la Biennale con il suo amico Emilio Vedova, dove prese botte dure dalla Celere di Padova. Adesso, per guardare indietro, sfrutta un’ironia tipica, ritrova il suo ’68, i passaggi di un percorso personalissimo, lungo e carico di sogni, compagni di viaggio memorabili, belle ragazze viste e prese, trasformate in icone erotiche.
Un signore del fumetto, intendendo il fumetto un’arte capace di fornire risposte, funzionale, persino utile. Più vicina alla gente rispetto alla pittura: «Ero affascinato dalla Pop Art, anche se poi mi resi conto che le forme di quell’arte, di popolare, non avevano più nulla, salvo alcuni riferimenti presi dalla segnaletica stradale o dalle bandiere. Più precisamente, riflettevo sullo scollamento crescente tra realtà e arti figurative, per non parlare dell’arte concettuale, più recente, roba che richiede talvolta un libretto di istruzioni al fruitore. Io sono davvero un prototipo del ’68 ma dopo la contestazione alla borghesia e ai suoi gusti, mi domandai quale ruolo sociale avrebbe potuto avere un artista in un’epoca in cui l’arte aveva perso il proprio ruolo narrativo. Un ruolo ereditato dalla fotografia e poi dal cinema e dalla televisione. Così, ho sempre creduto che si potesse trovare nel fumetto un’area espressiva capace di rispondere a qualche domanda più urgente, concreta, autenticamente popolare».
Qui il discorso si allarga, riguarda un periodo ampio ed esperienze diverse. Ma anche le collaborazioni con Mino Milani e con Enzo Biagi per realizzare tavole su fatti storici precisi hanno a che fare con tutto ciò. E hanno a che fare con Roberto Rossellini, con i suoi magnifici documentari per la tv. «Si trattava, in sostanza, di coprire un vuoto didattico a proposito della ricostruzione storica. Con i testi di Milani soprattutto o con alcune pubblicazioni editate in Francia. Il disegno come mezzo per mostrare una scena precisa, un’azione in un contesto fondamentale alla comprensione dei fatti. È accaduto qualcosa del genere anche più di recente per le illustrazioni destinate a I Borgia di Alejandro Jodorowsky. In quel caso però erano i “suoi” Borgia, ho semplicemente eseguito un compito, pur discutendone e apportando qualche modifica. Ma il mio lavoro, spesso, è stato quello di fornire immagini ispirate da un contesto storico particolare».
«Con la matita ho trovato la massima libertà: quella dell’immaginazione»
Il talento, lo stile, intervengono da qui. Nella declinazione personalissima del tema-fumetto quando non è solo la narrazione storica a dettare l’itinerario. Quando
DISEGNARE L’ E R O T I SMO È S TATO U N A L E VA P E R CA M B I A R E LA SOCIET À
Manara ha potuto manifestare la capacità di attingere dentro una libertà ampia, sempre straniante nel momento di comporre le immagini, le inquadrature, il carattere dei personaggi. Liberi, appunto, di raccontare un viaggio che nessun altro mezzo di comunicazione potrebbe affrontare. «Il mio modello è America, di Franz Kafka. Un romanzo di viaggio perfetto perché sappiamo tutti che Kafka non andò mai in America e per questo racconta un paradigma del viaggio, un luogo sognato, da attraversare attraversando se stessi. È l’immaginazione a fare da guida tra scenari evocati, ricordi, luoghi non necessariamente reali».
«Avventuroso e indipendente: Hugo Pratt è stato l’amico e il socio ideale»
Dall’ America kafkiana, da una modalità aderente alla propria vocazione, Manara ha preso ispirazione per creare e far muovere il suo alter ego, Giuseppe Bergman, personaggio protagonista di quattro storie lunghe. «Il nome lo creò il mio amico Hugo Pratt. Giuseppe ricorda la Palestina, porta a San Giuseppe, mentre il cognome − Bergman − è nordico. Si tratta di un antieroe che ha, come me del resto, l’atteggiamento del contemplatore passivo. Il che gli permette di viaggiare, recepire e rilanciare immagini connesse al sentimento, all’anima e alla realtà, senza alcuna costrizione. Non a caso Giuseppe Bergman è legato a Pratt, con il quale ho lavorato con estremo piacere, ho percorso un lungo cammino della vita».
Pratt è stato un compagno fondamentale per Milo Manara: «Era il solo a battersi per preservare la tradizione della grande avventura nel fumetto. Un vero e proprio erede di alcuni autori fondamentali del genere, da Conrad a Stevenson, a Melville. Ci siamo intesi sempre, come amici e come co-autori, soprattutto in un’epoca caratterizzata dalla catena di montaggio, dalla negazione dell’avventura in funzione di una omologazione degli stili di vita. Mentre la società induceva una progressiva alienazione noi pensavamo a Ulisse, all’ulisse dantesco… “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Ecco l’avventura come alternativa possibile, mentre l’africa veniva percorsa dalle macchine della Parigi-dakar; mentre l’amazzonia veniva disboscata. Del resto, Tex Willer continua a cavalcare nel West anche se sappiamo che gli indiani ormai sono ridotti a vivere nelle riserve».
«Anche a questa età la cosiddetta pace dei sensi non mi riguarda per niente»
Eroi, antieroi e donne. Figure femminili, nude, bellissime, portatrici di un erotismo potente. Sono le protagoniste di tavole che hanno dato popolarità massima a Manara, invidiatissimo, spesso, come se fossero tutte lì, in circolazione nei suoi pressi, a portata di mano e di matita, nelle stanze della sua mente e poi davvero vicine, come angeli meravigliosi. Personaggi, anche loro, di un’avventura intima, persino scabrosa, proprio per questo intrigante: «Disegnai le prime storielle erotiche tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta quando la rivoluzione sessuale passava attraverso i fumetti, quando veniva messo al rogo l’ultimo Tango a Parigi di Bertolucci. L’erotismo diventava dunque una leva per segnare un cambiamento, anche perché la narrativa di questo tema se ne dimenticava costantemente. Mentre la mente di tutti noi giovani uomini era occupata dal sesso per il 50 per cento del tempo, nessuno ne faceva parola. Non una riga. Nessuno ne scriveva esplicitamente. Da qui le storie a fumetti, che sono evolute nel tempo. Con dentro, come sempre, molti elementi autobiografici. Il mio rapporto con la sessualità è ovviamente cambiato con il passare degli anni anche se la cosiddetta pace dei sensi non mi riguarda per niente. Se vedo una bella ragazza per la strada non penso a cosa potrei fare con lei, come accade ai più giovani. Ma la commozione la avverto sempre. Sono passioni più cerebrali, tutto qui».
Donne come compagne fantastiche. Donne come protagoniste di avventure fantastiche. Il filo che collega Manara
«Se vedo una bella ragazza per strada, mi commuovo ancora: è una passione cerebrale»
a Pratt, per un verso; a Federico Fellini per un altro è evidente: «Vero, due persone alle quali sono stato molto legato, con le quali ho lavorato; due narratori dell’avventura con metodi propri, con il desiderio di trattenere sogni e luoghi intravisti o immaginati. Pratt seguiva un criterio classico per comporre la trama: il buono, il cattivo, l’intreccio, il finale. Fellini, del- la trama, non aveva bisogno affatto. Una storia comincia in un punto e finisce in un altro, gli spazi si aprono, lasciano all’immaginazione un terreno sterminato».
Milano e Jodorowsky; Biagi, Pisu, Pratt, Fellini. Una carriera sterminata, un volo alto e sempre significante. Eppure Manara per il grande pubblico è l’autore del Gioco. Il creatore di quelle donne così deliberatamente esposte, spogliate, sedotte, seduttive, perverse: « Be’, non mi sono fatto mancare nulla per meritarmi questa fama. E non vorrei fare come quelle attricette che, raggiunta una certa età, pretendono di essere ricordate per l’abilità nella recitazione. Ho disegnato di tutto, è vero, qualche volta considero un po’ limitativo il costante riferimento alle donne dei miei fumetti. Ma devo essere onesto. Devo ammettere che questo successo mi ha aiutato. Mi ha permesso di essere identificato dentro un mare enorme di prodotti editoriali. È un’etichetta. Non posso proprio lamentarmi».
«Ora Caravaggio, poi forse l’america di Kafka. Smetterò intorno agli 80»
Intanto, Manara non si ferma. Sta preparando il secondo volume del suo Caravaggio che è poi una sintesi matura tra la narrazione storica che tanto lo occupò, e la libertà artistica, onirica, immessa nella narrazione stessa: «Proprio così: abbiamo a che fare con una vicenda umana eccezionale perché Caravaggio ha vissuto come un eroe dei fumetti, tra ferimenti, fughe, navi. Sembra un personaggio inventato».
Poi, tra un anno, chissà, un altro pro- getto: «Ma sì, mi piacerebbe mettere su carta l’america di Kafka, anche se l’america non posso far finta di non conoscerla, di non averla visitata molte volte. Ci proverò, cercando un’ambientazione adeguata con un personaggio capace di rinnovare la tradizione omerica. Incubi e sogni come strumenti narrativi».
È un cerchio che si chiude. L’america di Kafka come prima fonte di ispirazione; l’america di Kafka come traguardo over 70. Viene da domandare, con un poco di imbarazzo, se considera questo progetto come un ultimo capitolo: « Be’, sono in un’età da riassunti finali, non crede? Mi sa che potrò smettere di lavorare verso gli 80 anni, ammesso di arrivare sin lì. Poi credo possa permettermi di fare altro. Magari mettendomi a girare come fece Matisse, con un blocco e qualche matita. Piccoli racconti di viaggio. Che poi sono un vero piacere della vita».
« D E VO D I R E GRAZIE ALLE MIE DONNE: H O C R E A TO
UNA MIA E T I C H E T TA »