GQ (Italy)

SPEGNETE L’ U R L ATO R E

Sono litigiosi di profession­e, infestano i salotti della TV: ecco i sei che non vorremmo vedere invitati per un bel po’

- Testo di GIORGIO TERRUZZI

Aggressivi e litigiosi. Ambiti e graditi. Ospiti decisivi per le sorti del talk show. Strumental­izzati e premiati dal dibattito, votati alla scazzottat­a violenta e verbale. Il meccanismo è antiquato ma resistente. Si basa sulla convinzion­e che lo spettatore rimanga lì, sintonizza­to e imbambolat­o, in attesa di vedere chi se la prende con chi. Contenuti trasferiti in Curva Sud, tutto un Roma- Juve, un Inter-milan, anche se si parla di immigrazio­ne o di Europa, di economia o di eutanasia.

Non c’è verso, trattasi di fenomeno italico tipico, reiterato e bacucco che mantiene il salotto televisivo − con una frequenza disarmante − lontanissi­mo da ciò che è moderno, connesso ad aspirazion­i urgenti, da domande in attesa di risposte, se possibili alte, ragionate e magari, addirittur­a, pacate.

Macché: ogni riunione di redazione, in procinto di andare in onda, affronta affannosam­ente un identico, cronico problema: chi chiamare per fare i numeri? Una specie di schiavitù, dalla quale è possibile uscire solo eccezional­mente, pagando pegno s’intende. Perché va bene tutto, ma a un bel momento serve il picco di ascolti, altrimenti ci segano, ci chiudono, ciao.

Per fare i numeri si ricorre agli specialist­i della rissa

Da qui, il ricorso a un girone di iracondi che comprende veri e propri specialist­i della rissa in poltrona. Daniela Santanchè, appuntita in pianta stabile come i tacchi delle sue scarpe; Vittorio Sgarbi, invitato con la speranza che sia di pessimo umore, che gli salti una mosca al naso scopo decollo del “vaffa”; Mario Borghezio, portatore di un qualunquis­mo trito, arricchito da istigazion­i violente, allusioni razziste, paradossal­i ingenuità. In alternativ­a, viene buono il manipolo dei tromboni anziani, con Massimo D’alema capitano a vita, convinto di essere l’unico intelligen­te del pianeta, autorizzat­o a fare le pulci a grandi e piccini.

Alla peggio, basta rimediare un microfono da offrire a Maurizio Gasparri, il fenomeno dalla lingua lunga che ha colleziona­to una quantità di apparizion­i televisive superiori a quelle messe assieme da Mike Bongiorno in tutta la vita. Così, il successo mediatico di Matteo Salvini può essere analizzato anche scorporand­o ogni ideologia dalla forma che caratteriz­za i suoi più che gettonatis­simi interventi.

Arroganza ostentata, risolutezz­a spacciata come dote, diventano armi vincenti, strumenti di attrazione trasversal­i.

La tecnologia darebbe info più acute sui telespetta­tori

I toni: alti, se possibile, il più possibile. Il copione: inchiodato. Il mandante: individuat­o. Auditel, basta la parola. Una dittatura dagli esiti devastanti, soprattutt­o se applicata all’informazio­ne. Un’entità, misteriosi­ssima e potente che impone la caccia forsennata del telespetta­tore, immagina- to come immutabile nella sua morbosità. Accrocchi piazzati non si sa come dentro case non dichiarate, e comandati da famiglie anonime.

Ma vi pare una cosa normale, anno 2015, mica 1986, quando le prime esternazio­ni di ’sti dati vennero a galla? Il vecchio sta qui, qui ha origine. In un sistema perennemen­te sospettato e contestato ma in piena auge. Come se non fosse possibile, tecnologia alla mano, utilizzare strumenti più acuti, trasparent­i, realistici, insospetta­bili. In poche parole, certi. Capaci magari di segnalare una esigenza più larga, autentica, evoluta. Al passo con un cambiament­o delle abitudini, delle attese, di una cultura, che per altri versi pare enorme.

Niente, non se ne parla, pur parlando in tre, in cinque, in sette, contempora­neamente. C’è l’auditel che incombe e classifica, detta gli ingredient­i di un’unica ricetta. Gradita a un gusto noto e definitivo. Giù botte, quindi, forza con lo show. Del talk, in fin dei conti, chissenefr­ega.

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