SPEGNETE L’ U R L ATO R E
Sono litigiosi di professione, infestano i salotti della TV: ecco i sei che non vorremmo vedere invitati per un bel po’
Aggressivi e litigiosi. Ambiti e graditi. Ospiti decisivi per le sorti del talk show. Strumentalizzati e premiati dal dibattito, votati alla scazzottata violenta e verbale. Il meccanismo è antiquato ma resistente. Si basa sulla convinzione che lo spettatore rimanga lì, sintonizzato e imbambolato, in attesa di vedere chi se la prende con chi. Contenuti trasferiti in Curva Sud, tutto un Roma- Juve, un Inter-milan, anche se si parla di immigrazione o di Europa, di economia o di eutanasia.
Non c’è verso, trattasi di fenomeno italico tipico, reiterato e bacucco che mantiene il salotto televisivo − con una frequenza disarmante − lontanissimo da ciò che è moderno, connesso ad aspirazioni urgenti, da domande in attesa di risposte, se possibili alte, ragionate e magari, addirittura, pacate.
Macché: ogni riunione di redazione, in procinto di andare in onda, affronta affannosamente un identico, cronico problema: chi chiamare per fare i numeri? Una specie di schiavitù, dalla quale è possibile uscire solo eccezionalmente, pagando pegno s’intende. Perché va bene tutto, ma a un bel momento serve il picco di ascolti, altrimenti ci segano, ci chiudono, ciao.
Per fare i numeri si ricorre agli specialisti della rissa
Da qui, il ricorso a un girone di iracondi che comprende veri e propri specialisti della rissa in poltrona. Daniela Santanchè, appuntita in pianta stabile come i tacchi delle sue scarpe; Vittorio Sgarbi, invitato con la speranza che sia di pessimo umore, che gli salti una mosca al naso scopo decollo del “vaffa”; Mario Borghezio, portatore di un qualunquismo trito, arricchito da istigazioni violente, allusioni razziste, paradossali ingenuità. In alternativa, viene buono il manipolo dei tromboni anziani, con Massimo D’alema capitano a vita, convinto di essere l’unico intelligente del pianeta, autorizzato a fare le pulci a grandi e piccini.
Alla peggio, basta rimediare un microfono da offrire a Maurizio Gasparri, il fenomeno dalla lingua lunga che ha collezionato una quantità di apparizioni televisive superiori a quelle messe assieme da Mike Bongiorno in tutta la vita. Così, il successo mediatico di Matteo Salvini può essere analizzato anche scorporando ogni ideologia dalla forma che caratterizza i suoi più che gettonatissimi interventi.
Arroganza ostentata, risolutezza spacciata come dote, diventano armi vincenti, strumenti di attrazione trasversali.
La tecnologia darebbe info più acute sui telespettatori
I toni: alti, se possibile, il più possibile. Il copione: inchiodato. Il mandante: individuato. Auditel, basta la parola. Una dittatura dagli esiti devastanti, soprattutto se applicata all’informazione. Un’entità, misteriosissima e potente che impone la caccia forsennata del telespettatore, immagina- to come immutabile nella sua morbosità. Accrocchi piazzati non si sa come dentro case non dichiarate, e comandati da famiglie anonime.
Ma vi pare una cosa normale, anno 2015, mica 1986, quando le prime esternazioni di ’sti dati vennero a galla? Il vecchio sta qui, qui ha origine. In un sistema perennemente sospettato e contestato ma in piena auge. Come se non fosse possibile, tecnologia alla mano, utilizzare strumenti più acuti, trasparenti, realistici, insospettabili. In poche parole, certi. Capaci magari di segnalare una esigenza più larga, autentica, evoluta. Al passo con un cambiamento delle abitudini, delle attese, di una cultura, che per altri versi pare enorme.
Niente, non se ne parla, pur parlando in tre, in cinque, in sette, contemporaneamente. C’è l’auditel che incombe e classifica, detta gli ingredienti di un’unica ricetta. Gradita a un gusto noto e definitivo. Giù botte, quindi, forza con lo show. Del talk, in fin dei conti, chissenefrega.