Emozioni violente
Stefano Sollima lo ha voluto accanto a E lio Germano in Suburra, nel ruolo di uno spietato boss della mala di Ostia. Ma di fronte all’obiettivo ( fotografico, s tavolta) di un altro grande regista, ALESSANDRO BORGHI h a svelato la sua parte più intima: «
Con la barba lunga potrebbe essere scambiato per il fratello minore di Alessio Boni. Senza, ricorda un giovane Ewan Mcgregor in Trainspotting. Sul set, invece, l’aspetto estetico passa in secondo piano, ampiamente offuscato dalla spietatezza dei personaggi che interpreta. Basta guardarlo nei panni di Numero 8, il boss della mala ostiense in Suburra, il film di cui vi abbiamo già parlato nelle pagine precedenti.
Nonostante il viso pulito, un paio di occhi azzurri febbrili e un fisico scolpito dopo tanti anni di arti marziali, ad Alessandro Borghi, romano, 29 anni appena compiuti, fare il cattivo piace davvero: «Per me è una vera e propria sfida, perché io nella vita reale sono un buono». Persino quando dopo scuola si ritrovava coinvolto nelle risse contro gli squadroni provenienti dai quartieri più difficili della Capitale: «Sono cresciuto a pochi isolati dalla Magliana e nelle situazioni difficili ho sempre provato a calmare gli animi, poi, ammetto, nella mischia qualche schiaffo partiva».
E, in fondo, se oggi Borghi è il Vallanzasca del cinema italiano lo deve anche alle sue frequentazioni giovanili: «Ci stavo dentro senza rendermene conto, ma tutto quello che ho visto, ascoltato e vissuto mi ha aiutato a interpretare ruoli come Numero 8, sicuramente il più difficile di tutta la mia carriera». Poi sono arrivate le parti di Vittorio in Non essere
di Claudio Caligari: «La più emozionante, non solo per la morte prematura del regista, ma per l’atmosfera che c’è stata dall’inizio alla fine delle riprese». E quella di Boccione nel film – ancora in lavorazione – di Michele Vannucci Il più grande sogno mai sognato: «Sotto alcuni aspetti è il personaggio in cui più mi riconosco: un ragazzo cresciuto nel difficile quartiere romano La Rustica ma, nonostante le realtà in cui è costretto a vivere, è così ingenuo da non accorgersi delle cose, persino di essere amato o di essersi innamorato, una persona emozionale, proprio come me».
Sarà per questo che alle arti marziali Alessandro ha preferito la recitazione: «Quello che dico a tutti i miei amici o nei workshop teatrali che organizziamo con le persone comuni è che vale la pena fare l’attore, anche per un solo giorno». Anche solo per sentire il cuore che batte. Poi, ovvio, con un pugno si torna alla realtà. «La mia prima parte in assoluto è stata in Distretto di polizia 6, perché facendo full contact e pugilato ero perfetto per la scena di una scazzottata».
Oggi Alessandro Borghi continua a darle e a prenderle, almeno sul set. Poi torna a casa, abbraccia la fidanzata e chiama la madre Rossella, il padre Silvano («Le persone più importanti della mia vita») e il fratello Patrizio. Per non dimenticarli, ha le loro iniziali tatuate sulle braccia.