QUELLA VOLTA CHE BONO E STING
Oliver Stone, Tom Hanks e Meryl Streep sono solo alcune delle star in arrivo per la Festa del Cinema di Roma, dal 13 al 23 ottobre. E a cena andranno, come da undici anni a questa parte, all’antica Pesa, storico ristorante di Trastevere. A fine ’800 era una vineria; oggi, alla quarta generazione, è la mensa di Hollywood.
Francesco Panella, proprietario col fratello Simone, è l’istrione che ha inondato di Vip le salette. «Per la prima edizione della Festa, Walter Veltroni organizzò con noi una cena in onore di Robert De Niro: cinquecento persone, da apparecchiare in piazza di Spagna. Sophia Loren ci chiese la nostra saletta privé e la carbonara, e mise a tavola Penélope Cruz, Daniel Day Lewis, Jessica Lange e Nicole Kidman. Uno dei nostri piatti cult lo abbiamo inventato grazie a Quentin Tarantino: disse che aveva voglia di un hamburger. Noi facciamo solo piatti che originano dalla tradizione romanesca e laziale. In cucina non cedettero. Tirarono fuori una salsiccia di Monte San Biagio, il formaggio steccato di Morolo, la cicoria e una salsina di pomodorini di Sperlonga. Tarantino andò fuori di testa. Abbiamo imparato che rinnovarsi costantemente ha senso, ma nel solco della coerenza di un’idea. Solo così sei made in Italy».
Panella è appena stato citato dal New York Times come ambasciatore del gusto italiano e il New York Post gli ha fatto stilare una guida della ristorazione capitolina. L’estate scorsa aprì l’antica Pesa solo per Charlize Theron, che festeggiò i suoi 40 anni con un’amica. Nel 2012, dopo il maxi concerto sfamò Madonna con il suo “cacio e pepe” e la convinse a girare per Roma in Vespa. Per poi spedirgliela in regalo a Londra. «Voglio che il sapore della nostra città nasca a tavola, ma vada oltre. Tempo fa ho ricevuto la telefonata di un signore che voleva prenotare per un amico. Arrivò Bono Vox con la famiglia. Dopo cena gli chiesi solo chi avesse chiamato per lui: era stato Sting». _ (Giovanni Audiffredi)
«Mio nonno è nato povero. Faceva il sarto e aveva un laboratorio di giacche in uno scantinato. A furia di taglia e cuci, nel dopoguerra fondò la Forest, azienda di impermeabili. Mio padre, nel 1965, vendeva abbigliamento da Hong Kong e produceva jeans e capispalla in Cina e Sud-est asiatico. Poi in Italia lavorò per la Lanerossi, e con l’avvento dei paninari iniziò a importare prodotti americani».
Nicolas Bargi ha l’abbigliamento nel sangue. Cinque anni fa ha fondato Save the Duck, il brand dei piumini ecologici diventato un fenomeno. Primo fatturato: 2 milioni. Poi 6, 12, 18 e 27. Nel 2017 la previsione è di 33 milioni. Partito con 26mila capi, oggi ne consegna 500mila, soprattutto in Usa, Corea, Giappone e Russia. Produzione e controllo qualità a Hangzhou, Cina. «Lì ho aperto un ufficio nel 1995, dopo la laurea alla Cattolica con una tesi sul tessile in Asia. Mi ha aiutato il vero patrimonio che ci tramandiamo in famiglia: l’arte della vestibilità. La modellistica nei capispalla è tutto. Questione di millimetri, di pesi, di piombi e di tasselli. Per Save the Duck i cartamodelli vengono fatti da un uomo di 72 anni e da una donna di 75: quella è la vera arte».
«Dagli errori ho imparato che per avere successo ci sono dei punti fondamentali, sinergici e da rinnovare anno per anno: un’offerta precisa di prodotto, una storia che ti identifichi, la distribuzione e l’aspetto finanziario rigido. Se solo uno di questi non funziona, sei fuori dal mercato. Non c’è una seconda possibilità». _ (Giovanni Audiffredi)