GQ (Italy)

Italiani Maiuscoli

D I G I OVA N N I MO N TA N A RO

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Il tenore di operetta. Se non fosse diventato pilota, gli sarebbe piaciuto fare quello. Per via delle soubrette, diceva lui. E del pubblico. Non c’è niente da fare: gli piace il battimani, la curiosa euforia di vincere. Non gli capita spesso, a dire il vero; la maggior parte delle sue gare sono ritiri, rotture. E poi le corse non sono mica la 500 miglia di Indianapol­is, quelle che sogna; sono giusto qualche giro delle colline dei suoi Appennini, la Parma-poggio di Berceto, o lungo il Polesine, e sempre con macchine di seconda mano. Ma quel giorno è diverso. È il 17 giugno 1923; sullo sfondo, Sant’apollinare in Classe, il campanile tondo, mattoni, mosaici, Ravenna, il vento, l’italia. Enzo Ferrari vince al Circuito del Savio, che non è niente di che ma almeno, nalmente, si prende una soddisfazi­one.

Gli ultimi anni sono stati duri, la «fase digiunator­ia», la chiama lui. E dire che era glio del titolare di una carpente-

ria, tettoie, ponti e venti dipendenti; era benestante, quando esserlo voleva dire mangiare carne ogni settimana e coricarsi ogni sera col caffelatte. Non un grande studente, però; a Modena si era fermato alla terza tecnica perché preferiva l’of cina, le automobili, vedere Felice Nazzaro a cento all’ora, il record del miglio sul retti lo di Navicello, sognare i titoli dei giornali. Preferiva i forgianti, i motori, i metalli; lo dice, in fondo, anche il suo cognome. È che arriva la guerra. Muoiono il padre e il fratello, la ditta chiude, si ritrova squattrina­to. Viene arruolato anche lui, e chiede di occuparsi di automobili, di fare il meccanico, ma lo mandano a zoc- colare i muli in Val Seriana, Alpi Orobie. Presto, si prende una pleurite che nisce all’ospedale di Bologna, per mesi tra gli incurabili, i cadaveri. Quando esce va alla FIAT, raccomanda­to da un comandante dell’esercito, ma non lo assumono, e rimane a Torino, ma in un garage in via Madama Cristina, e poi va a Milano, alle Costruzion­i Meccaniche Nazionali, nché non riesce ad avere quell’alfa Romeo RL Targa Florio, 3000 cc, 6 cilindri, numero di gara 28.

No, quel giorno è diverso. Ha vinto. Il suo momento, i battimani. Le signorine. Si toglie gli occhialoni; ha un volto strano, quadrato, qualcosa del sasso di un torrente, di una rana, gli occhi vispi di un uccello. Un grande ciuffo nero, ciglia folte. Avanza verso la tribuna, impettito, serio come sa essere lui, che pensa a ogni parola prima di dirla, la pesa, come si faceva una volta. Stringe le mani a tutti, si trova davanti un signore distinto, baf

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