GQ (Italy)

Hakim, acuti al miele e incubi di gelatina

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Più o meno ogni decade ha il suo neo (o nu) soul; le gonne si allungano o si accorciano, i pantaloni mettono o perdono il risvolto, ma la stoffa è quella. Poi a volte succede che spunti uno splendido outsider. La versione 2017 si chiama Nick Hakim, bella faccia in cui si intreccian­o geni cileni e peruviani, voce acuta inzuppata nel miele, un modo tutto suo di esplorare il minimalism­o rétro in voga tra le ultime leve soul & rhythm’n’blues. Non proprio un ragazzo tranquillo come la sua musica potrebbe far credere. Gli chiedo di cosa parla la canzone che dà il titolo all’album di debutto in uscita il 19 maggio, Green Twins (Pias), destinato a farlo emergere dall’undergroun­d. «Un incubo», bofonchia al telefono con la voce impastata (sono le due del pomeriggio e si è appena svegliato). «È un sogno che ho fatto tre volte, sempre uguale. Cammino per strada e incrocio queste due gemelline che sembrano fatte di una specie di gelatina verde, corrono e fanno casino. A un certo punto sento un frastuono alle mie spalle. Mi giro e vedo che le gemelline sono appena nite sotto una macchina. Ho scritto la canzone nell’autunno di tre anni fa, un amico aveva da poco perso un glio e credo che le due cose siano collegate».

Hakim si de nisce «un tipo ostinato, ma gentile». Ha 26 anni, da quattro vive a New York, prima era a Boston dove ha studiato al Berklee College of Music, prima ancora a Washington DC, dov’è cresciuto in una casa piena di musica folk (i genitori) e hardcore punk (il fratello maggiore). I suoi eroi? «Troppi. Marvin Gaye, Curtis May eld, My Bloody Valentine, Meshell Ndegeocell­o, Speaking In Tongues... Dell’album dico sempre che volevo vedere cosa sarebbe venuto fuori se Rza dei Wu-tang Clan avesse prodotto i Portishead». L’immaginazi­one lo porterà lontano. Alba Solaro)

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