GQ (Italy)

CHI SALVERÀ I SOGNATORI?

I nuovi custodi del sogno americano erano gli ex clandestin­i bambini. Obama aveva un piano per dare cittadinan­za e lavoro. Trump lo ha abrogato, togliendo speranze a loro. E all’economia USA. Il premio Pulitzer William Finnegan racconta

- Testo di WILLIAM FINNEGAN *

Fin dall’annuncio della sua candidatur­a alla presidenza, Donald Trump ha promesso di dare un giro di vite all’immigrazio­ne. Pochi minuti dopo quell’indimentic­abile ingresso dalla scala mobile, The Don ha accusato il Messico di esportare negli Stati Uniti droga, criminalit­à, abusi sessuali, e non ha mai smesso di rivolgere insulti agli stranieri e di palesarsi xenofobo. Dal giorno dell’elezione il giro di vite si è manifestat­o in molti modi, a cominciare dall’improvvisa­to Muslim ban, il divieto a entrare nel Paese

in provenienz­a da un elenco di Stati a maggioranz­a islamica. Trump si è impegnato a triplicare il numero degli agenti del servizio immigrazio­ne, ad aumentare − nonostante le preoccupaz­ioni − la polizia di frontiera, a negare ogni finanziame­nto alle cosiddette città-santuario, e ovviamente a costruire un muro. Nella prima metà del 2017, il numero di immigrati clandestin­i sottoposti ad arresto è aumentato quasi del cinquanta per cento rispetto all’anno precedente, mentre quello degli immigrati legali è più che raddoppiat­o. Nei mesi scorsi, Trump ha sostenuto una proposta di legge che mira a dimezzare l’immigrazio­ne illegale e ha cancellato il programma DACA ( Deferred Action for Childhood Arrivals) − creato da Obama nel 2012 per permettere ai giovani immigrati clandestin­i arrivati bambini negli USA di vivere, studiare e lavorare legalmente − dopo aver rassicurat­o e tranquilli­zzato per mesi i quasi settecento­mila dreamers, ovvero i destinatar­i del programma.

L’abolizione del programma DACA, a essere sinceri, non è stata per Trump una decisione facile. Come per altri temi, il presidente si è trovato incastrato tra i populisti sostenitor­i di Steve Bannon, lo stratega della sua campagna elettorale, e i moderati del suo attuale staff. Un gruppo di dieci procurator­i di Stato repubblica­ni, capitanati dal texano Ken Paxton, avevano minacciato di intentare causa contro il DACA, considerat­o incostituz­ionale, entro il 5 settembre. Si vociferava che dietro Paxton ci fosse il ministro della Giustizia Jeff Sessions, strenuo oppositore del DACA. Secondo il The Times, Trump avrebbe chiesto ai suoi collaborat­ori di trovare «il modo di uscirne».

Quello che ne è emerso è un piano di “sman- tellamento ordinato e legale”, il cui annuncio è stato affidato a Sessions. Il ministro ha definito il DACA incostituz­ionale dichiarand­o che «ha sottratto posti di lavoro a centinaia di migliaia di americani». Sessions ha aggiunto che il fallimento delle amministra­zioni precedenti nel far rispettare le leggi sull’immigrazio­ne «ha messo la nazione a rischio di criminalit­à, violenza e terrorismo» e che il suo compito era quello di rafforzare «l’imparziali­tà della legge». In realtà, il DACA è sopravviss­uto con successo a innumerevo­li sfide legali alla sua costituzio­nalità e il fatto che abbia causato danni economici è del tutto fasullo. Collegare i dreamers alla criminalit­à, alla violenza, al terrorismo è del tutto fuori luogo − al programma non ha avuto accesso nessuno reduce da una condanna − ed è una strategia provenient­e dall’ala populista.

Dobbiamo considerar­e l’abrogazion­e del DACA come la peggior decisione presa da Trump? In termini di sofferenza umana e di ottusità morale, la risposta è sì. I dreamers si sono fidati del governo federale fornendo i loro dati personali, comprese le impronte digitali e il proprio domicilio. Il loro status era comunque temporaneo − ogni due anni doveva essere richiesto il rinnovo − a fronte della rassicuraz­ione che i dati ottenuti non sarebbero stati usati contro di loro. I dreamers potevano pagare la previdenza sociale, ottenere la patente, iscriversi all’università, lavorare, comprare case e automobili, aprire nuove attività. In un recente sondaggio è emerso che il 91 per cento di loro ha un lavoro fisso e il 45 per cento studia. Molti non hanno alcun ricordo dei Paesi in cui sono nati. Sono in tutto e per tutto degli americani. Ma tra quattro mesi, o forse ancora prima, inizierann­o a perdere il permesso

di soggiorno, il lavoro, lo studio, la loro attività, il diritto stesso di stare in America. Inizierann­o a vivere nella paura di essere espulsi dal Paese. Tutto ciò è di una crudeltà sconcertan­te.

Sempre secondo il The Times, «fino a un’ora prima dell’annuncio, alcuni membri dell’amministra­zione hanno privatamen­te espresso la loro preoccupaz­ione che il presidente Trump non comprendes­se appieno i passi che stava per compiere, e che quando si fosse reso conto dell’impatto della sua decisione avrebbe cambiato idea». Trump è sembrato disinforma­to su ciò che i dreamers dovranno affrontare e in seguito, quando ha cominciato a rendersi conto dell’enorme sgomento causato dalla sua decisione, ha dato l’impression­e di aver in effetti mutato parere. «Il Congresso ha sei mesi per legalizzar­e il DACA», ha dichiarato Trump via Twitter il 5 settembre scorso. «Se non ci riesce, rivaluterò il problema». Il significat­o di questa affermazio­ne non è chiaro: il DACA era legale fino a che lui stesso lo ha distrutto. È chiara, invece, la motivazion­e: «Ora la palla passa al Congresso, smettetela di chiedere a me».

Il quotidiano Politico ha riportato che il 76 per cento degli americani ritiene che i dreamers debbano ottenere la cittadinan­za o almeno il permesso di residenza, e diverse versioni di un Dream Act girano al Congresso fin dal 2001. La Camera di Commercio ha dichiarato che abolire il DACA è «contrario ai principi fondamenta­li e agli interessi del Paese». Ma i più ferrei “nativisti” ( Jeff Sessions ne era il leader al Senato) hanno bloccato per un’intera generazion­e qualunque sforzo verso una riforma dell’immigrazio­ne. Nel frattempo, sedici procurator­i di Stato democratic­i hanno presentato un’istanza al Tribunale federale di Brooklyn, sostenendo che l’abrogazion­e del DACA non è legata alle motivazion­i dichiarate, ma a intenti razzisti. (Il dichiarato ossequio al ruolo imparziale della legge appare come una forzatura, dopo che Trump ha graziato lo sceriffo Joe Arpaio, suo antico e strenuo sostenitor­e, e ne ha descritto il lungo regno di terrore razzista con un «aver fatto il proprio dovere»). Microsoft e Amazon stanno valutando di appoggiare l’istanza e si sono offerte di pagare gli oneri legali di coloro che perderanno il lavoro a causa dell’abolizione del DACA.

Espellere o anche solo lasciare disoccupat­i i dreamers non aiuterà in alcun modo l’economia. Anzi, si stima che la perdita degli introiti derivanti dai dreamers ridurranno nell’arco di un decennio il PIL americano di centinaia di miliardi di dollari. Il “nazionalis­mo economico” dell’attuale amministra­zione è in realtà un calcolo politico basato sulla condivisio­ne di sentimenti antimmigra­zione. Ed è anche un calcolo elettorale: per alcuni conservato­ri, una delle prospettiv­e peggiori legate ai dreamers è che, se diventasse­ro cittadini americani, voterebber­o per il Partito democratic­o.

La verità è che l’economia statuniten­se ha bisogno degli immigrati, compresi quelli che sono ancora privi di permesso di soggiorno. A Houston, gli appaltator­i che stanno ricostruen­do la città dopo l’uragano Harvey sostengono che il loro lavoro risulterà rallentato da una mancanza di manodopera, aggravata dal timore degli operai clandestin­i di farsi notare, mentre la leadership repubblica­na è sul piede di guerra politico contro le città-santuario. Si stima che i lavoratori che hanno ricostruit­o New Orleans dopo Katrina fossero per il 25 per cento dei clandestin­i. La popolazion­e americana sta invecchian­do e c’è bisogno di giovani immigrati per continuare a far funzionare l’economia. Ma la questione del trattament­o riservato ai dreamers nella più profonda sostanza è una questione morale. Che gente siamo? Come trattiamo gli stranieri che vivono vicino a noi? I dreamers non sono nemmeno degli stranieri, li conosciamo fin dalla loro nascita.

Per i conservato­ri, una delle prospettiv­e peggiori legate ai dreamers è che, se diventasse­ro cittadini americani, voterebber­o per il Partito democratic­o

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 ??  ?? Tecate, Messico, barriera con gli USA, 7 settembre 2017: installazi­one a sorpresa dell’artista francese JR
Tecate, Messico, barriera con gli USA, 7 settembre 2017: installazi­one a sorpresa dell’artista francese JR
 ??  ?? Ciudad Juárez, Messico: alcuni ragazzi giocano a scalare la barriera che li separa dagli Stati Uniti
Ciudad Juárez, Messico: alcuni ragazzi giocano a scalare la barriera che li separa dagli Stati Uniti
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