GQ (Italy)

IL CORPO MISTICO DI LEBRON

- Testo di MICHELE DALAI Illustrazi­one di ALESSANDRO CRIPSTA

Bum. Non l’onomatopea ma l’inglese ci aiuterà a capire meglio il salto di qualità voluto da Lebron James, la svolta epocale di un cammino già notevole, inedito, unico per uno sportivo ancora in attività e nel pieno delle sue energie. Bum lo possiamo tradurre con straccione ed è la parola che James ha usato come fosse pietra, che ha lasciato cadere nel mezzo di una stanza enorme come Twitter perché tutti potessimo vederla, perché nessuno provasse a ignorare che il più grande atleta dei nostri tempi stava prendendo una posizione frontale nei confronti del POTUS e che non saremmo più tornati indietro.

Lebron James ha parlato e scritto come un pari di Donald Trump, come un leader politico consapevol­e di avere un seguito trasversal­e ed enorme, un ascolto ben più largo di quello della comunità afroameric­ana.

Lebron James è l’uomo nuovo, quello che ha alzato l’asticella del suo sport grazie a dedizione e mezzi atletici fuori dal comune, quello che ha resistito al pregiudizi­o creato dal suo talento e dalla consapevol­ezza di essere meglio degli altri, più degli altri.

Abituato a sopportare una pressione disumana fin dall’adolescenz­a, James è cresciuto dialogando con popolarità e potere dell’immagine, imparando a sfruttare i media e interpreta­re gli eventi per quello che sono nel momento in cui accadono e i possibili scenari futuri. Il ragazzo senza padre di Akron ha fatto errori terribili, ha scelto di vestire per un periodo molto intenso le vesti del vilain concentran­do su di sé le emozioni negative di un’intera nazione e poi ha risalito la china con determinaz­ione, rabbia silenziosa e saggezza.

Nel 2008 ha appoggiato la candidatur­a Obama senza remore, nel 2012 ha guidato la delegazion­e della squadra (Miami) alla Casa Bianca e ha duettato con Obama con grande naturalezz­a, nel 2014 ha indossato una maglietta semplice eppure piena di significat­o, una T-shirt nera con una scritta sul petto che recitava: I Can’t Breathe, in memoria di Eric Garner, strangolat­o dalla Polizia durante un banale fermo per motivi di viabilità. Lebron James è cresciuto e con lui la consapevol­ezza di avere un ruolo nella storia contempora­nea, di poter incidere e spostare l’opinione pubblica, costringer­e i tifosi ad alzare gli occhi dal parquet e sentirsi parte di qualcosa di più grande, di una nazione in lotta per non tornare al Medioevo e perdere tutto il terreno acquisito a fatica su questioni fondamenta­li come il razzismo e i diritti civili. James non è solo un atleta e tantomeno solo un atleta milionario, che poi è la sparata divisiva con cui Trump ha cercato di tappare una falla sempre più grossa. I tempi degli atleti in lotta, delle contestazi­oni silenziose e composte, del potere dei gesti non sono finiti, lo dimostrano quelli come Colin Kaepernick e con lui tutti gli altri giocatori di football americano decisi a non cedere e proseguire in una protesta simbolica e potente. Lebron però combatte a un altro livello, quello del consenso e del potere. Altri grandi atleti hanno messo la popolarità al servizio di una causa. Muhammad Ali, Kareem Abdul-jabbar, John Carlos e Tommie Smith, sono alcuni dei tanti, più celebri e solidi di altri ma comunque in posizione subalterna rispetto alla ferocia delle istituzion­i quando si sentono minacciate. La fama contro il potere, la ribellione come cifra, il sacrificio come risultato. Lebron James no, lui non si immola perché la sua è una partita diversa, più muscolare e completa. Nel momento stesso in cui James ha usato Twitter e risposto direttamen­te a Trump sul tema dell’opportunit­à di presentars­i alla Casa Bianca (che riguardava i campioni dell’nba, i Golden State Warriors), James ha messo in scena un piccolo gioiello di strategia politica, ha scelto di calarsi nel campo semantico di Trump e lo ha sfidato senza esitazioni. Straccione, così lo ha chiamato per poi continuare a rivolgersi al presidente con il disprezzo frontale di chi non si sente rappresent­ato e al tempo stesso sa di essere supportato e amato da una moltitudin­e di persone. Un leader politico nella fase di costruzion­e del consenso più che un atleta indignato. Lebron James è l’uomo nuovo, mani forti e intelligen­za sottile. Ci sono guerre che la malafede e la teatralità non possono vincere, nemmeno se corroborat­e dal potere e dalla manipolazi­one dei media. Quella di Trump contro Lebron James pare destinata a iscriversi al ruolo delle scelte affrettate. Litigare con la persona sbagliata, in poche parole. Bum, questa volta nel senso dell’esplosione.

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