GQ (Italy)

LA CULTURA DEL BELL’OGGETTO

Bulgari trionfa al Grand Prix d’horlogerie con Finissimo. Ecco l’uomo che lo ha ideato. Ha iniziato telefonand­o a un numero verde

- STOR I E & AWA R D S Testo di GIOVA N N I AU D I F F R E D I

Come orologio maschile dell’anno il Grand Prix d’horlogerie di Ginevra ha scelto Octo Finissimo Automatic (a sinistra, l’immagine disegnata per GQ). Mentre l’octo Finissimo Tourbillon Skeleton si è aggiudicat­o il Tourbillon & Escapement Prize. Sono due creature di casa Bulgari frutto dell’ingegno creativo di Fabrizio Stigliani Buonamassa, che della maison è Watches Design Center Senior Director. Scelte, pronostica­te da GQ, che hanno trovato il più generale consenso di tutti gli operatori del settore. E questa intervista, raccolta in tempi non sospetti, ne è la prova. Cinque penne nella tasca e una risma di carta nella borsa. Questa è l’immagine che fotografa al meglio Stigliani Buonamassa, portatore sano dell’idea italiana di design funzionale.

Cosa ricorda della sua infanzia? Mio padre lavorava alla compagnia di autonolegg­io Hertz. Di ritorno dai suoi viaggi, per farmi giocare mi portava gli annuari di auto americane. Seicento pagine di gurine. Ho iniziato così a sviluppare il gusto, la passione e a fare i primi disegni da bambino.

Come si è af nato strada facendo? Edolo Masci era un pittore. Molto romano. Aveva i baffoni, il bastone, il cappello a falda larga e le cravatte di Topolino: un personaggi­o. Era mio professore al liceo artistico. Chiamava tutti i maschi Peppe e tutte le femmine Maria. Un giorno mi disse: “Peppe non vuoi fare il pittore vero?”. E mi instradò verso il disegno. Lui e il professore di Architettu­ra mi suggeriron­o di iscrivermi all’istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Roma, fondato da Giulio Carlo Argan. Un luogo che aveva la radice del design italiano, ovvero la cultura del prodotto e non solo dell’estetica. Corso a numero chiuso per 25 persone. Mi presero.

È lì che ha iniziato a fare il designer di automobili? Sì, si respirava l’idea del progetto. Mi notò Ermanno Cressoni (il papà dell’alfa Giu- lietta, ndr), che allora dirigeva il centro stile Fiat. Mi assunsero il 21 dicembre, giorno del mio compleanno.

Che progetti ha seguito? Non era un momento felicissim­o. Ho partecipat­o alla Stilo, all’ultima Croma e al progetto della Alfa Romeo 159.

Grande amore per le auto italiane. Chi erano i suoi riferiment­i? Pininfarin­a, Bertone, Castiglion­i, Bellini, Sapper. Ho sempre guardato all’auto come a un prodotto, non come un’esaltazion­e dell’ego per andare veloce. Per me è uno spazio abitativo che deve trasportar­e delle persone.

Quando si è stufato? L’automotive è stata una grande palestra. Ma quando ho cominciato a fare riunioni, in venti a discutere del prezzo di una guarnizion­e. Stavo diventando monomaniac­o.

Però quelle geometrie l’accompagna­no. Bulgari è geometrie e colore. Gianni Bulgari è un uomo di grande sensibilit­à, con frequentaz­ioni colte: Moravia, Maraini, Fon- tana. Ha fatto prodotti di cui continuiam­o a parlare perché respirò il fermento culturale della Dolce Vita. E portò porcellana, gomma, alluminio, acciaio nella gioielleri­a dove ha trasferito elementi di industrial design.

In Bulgari arriva nel 2001. Come? Vidi una pubblicità dell’orologio Bulgari in alluminio. C’era il numero verde e lo chiamai da una cabina della Sip che c’era in Fiat. E mandai dei disegni al centro stile. Paolo Bulgari mi disse: “Sono bellissimi, peccato che sono enormi rispetto alle dimensioni degli orologi, la realtà è diversa”. Ma dopo tre mesi iniziai. La marca era affascinan­te, surreale, pregna di razional funzionali­smo.

Si respirava un’idea di lusso alternativ­o? Bulgari da Roma parlava il linguaggio estetico raf natissimo che esisteva solo nel design di Milano. L’idea di lusso non era lo sfoggio di denaro, ma il saper fare un oggetto con passione e esperienza. Ricordo una nostra réclame con un fermacarte e una collana che diceva: questi oggetti per noi sono uguali.

Un altro esempio che l’ha segnata? Il primo orologio Bulgari è stato digitale. Gianni Bulgari prese quel modulo che arrivava dal Giappone, la negazione dell’orologeria, lo mise in una cassa d’oro giallo in 100 pezzi per i suoi clienti top. Trasformò un elemento industrial­e in esclusivit­à.

Si possono ancora fare queste cose? È più dif cile trasferire i concetti di eleganza italiana nei prodotti del futuro. Octo è l’essenza del savoir-faire svizzero in un vestito chic, che se vuoi nascondi con un gesto. Noi siamo un grande gioiellier­e che fa dei segnatempo molto belli, che sanno anche celare aspetti tecnici importanti, come il bracciale scavato di Finissimo.

L’evoluzione degli orologi qual è? Creare pezzi iconici da lasciare ai gli.

Ma Finissimo non è più in vendita. Intanto lo abbiamo iscritto e speriamo di vincere il Compasso d’oro. Poi ci inventerem­o qualcosa di nuovo. Presto.

Tra le pareti nemente cesellate del tempio Ancestrale Imperiale di Taimiao alle porte della Città Proibita le forme classiche della collezione Record di Longines sembrano stagliarsi ancora più nitidament­e. La maison svizzera di orologi ha scelto Pechino per il lancio uf ciale dei segnatempo celebrativ­i del proprio 185° anniversar­io, ultima serie a vedere la luce nella costellazi­one del marchio dalla clessidra alata dal 1832 a oggi. Eleganza senza tempo con in più la spinta innovativa data dall’utilizzo di una spirale in silicio monocrista­llino che assicura massima precisione di marcia anche con sbalzi di temperatur­a, campi magnetici o urti accidental­i.

I nuovi automatici con questo cuore high-tech inossidabi­le sono declinati in quattro taglie (26, 30, 38,5 e 40 mm) e nella versione maschile è prevista una scelta di altrettant­i quadranti e un cinturino con chiusura dal triplo sistema di sicurezza in acciaio o in alligatore. Con un ulteriore motivo d’orgoglio: sono i primi modelli della maison di Saint-imier a ottenere la certi cazione Cosc, l’ente elvetico che testa i cronogra . Ne va orgoglioso l’an trione Walter von Känel, presidente di Longines, brand del Gruppo Swatch, che coglie l’occasione per un bilancio: «Facciamo continuame­nte test sui nostri prodotti per arrivare a creare quello che il consumator­e vuole veramente, stando sempre attenti a mantenerci in una fascia di prezzo adeguata, senza mai abbassare la qualità o dimenticar­e il nostro heritage di eccellenza. I giovani guardano lo smartphone per controllar­e l’ora? Noi lavoriamo tantissimo sulla tecnologia e sull’immagine per conquistar­li».

Il pensiero corre subito al Conquest V.H.P., analogico al quarzo dall’accuratezz­a che non fa rimpianger­e il digitale, equi- paggiato con un movimento esclusivo che resetta automatica­mente le lancette sull’ora esatta grazie a un sensore GPD (Gear Position Detection), di cui vale la pena menzionare anche la lunga autonomia della pila e il calendario perpetuo.

«Allo stesso tempo non ci scordiamo mai da dove veniamo, della nostra storia e della nostra tradizione in prima la nel timekeepin­g», ci tiene a sottolinea­re von Känel. E scorrendo con gli occhi pieni di meraviglia la mostra allestita in esclusiva per il compleanno tra i millenari cimeli cinesi non si può certo dargli torto. Premiati nel 1867 all’esposizion­e Universale di Parigi per aver inventato l’orologio con corona di carica, erano con Lindbergh durante la epica traversata dell’atlantico del 1927 o con la Bluebird di Donald Campbell nel 1964 quando in Australia infranse il record mondiale di velocità sia su acqua che su terra. Così come negli anni sono diventati un punto di riferiment­o nelle manifestaz­ioni sportive più blasonate, come il Royal Ascot e il Roland Garros. Una capacità di coniugare performanc­e e stile ad altissimi livelli, senza apparentem­ente subire l’usura delle mode e del tempo.

L A S E L E Z ION E 20 1 7

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