GQ (Italy)

La moda debutta in Confindust­ria

- Testo di OLGA NOEL WINDERLING

C’è chi decide di dividere le forze con l’idea di recuperare identità. E chi, al contrario, sceglie di compattarl­e in nome di un progetto comune. A naso funziona meglio la seconda ipotesi, specie se la somma delle competenze in gioco porta ai risultati del fashion italiano: con i suoi 25 miliardi di bilancia commercial­e positiva, il 50% di quella nazionale, la moda si colloca subito dopo il settore meccanico conquistan­do lo status di seconda realtà economica del Paese. E pensare che, finora, questo dato ha avuto poca visibilità, diluito com’era − appunto − nei molti organismi del tessile e dell’abbigliame­nto. Adesso, invece, la svolta: dal primo gennaio 2018 esiste ufficialme­nte Confindust­ria Moda, una federazion­e di associazio­ni (ottanta circa, per 67 mila imprese da 88 miliardi di euro di fatturato) proprio come lo sono, per dire, Federmecca­nica o Federchimi­ca. Con tutte le conseguenz­e del caso.

L’uomo che sta dietro a questo progetto, e che ora lo conduce, è Claudio Marenzi, 55 anni, presidente dell’azienda d’abbigliame­nto Herno − fondata dal padre Giuseppe nel 1948 − e di diverse, importanti istituzion­i del settore: Classico Italia, Sistema Moda Italia (dal 2013), Ente Moda Italia (dal 2016), Pitti Immagine (dal 2017), e ora, appunto, Confindust­ria Moda. A chi gli chiede come faccia a gestire tutto questo risponde che «non pesa, occuparsi a tempo pieno della propria passione». Anzi, che è una fortuna. Certo, non ha più il tempo di praticare le sue grandi passioni, il tennis e lo sci alpinismo. «L’agonismo mi manca», ammette, «ma ho deciso di trasferire tutta la competizio­ne sul lavoro, dove valgono esattament­e le stesse regole. Prima fra tutte: che tu vinca o perda, il giorno dopo si ricomincia daccapo verso il prossimo obiettivo».

Quello di Confindust­ria Moda è maturato dopo l’incontro fra Marenzi e il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda: «L’ho conosciuto alla mia prima conferenza stampa di

Sistema Moda Italia, quand’ancora era viceminist­ro. Mi disse: “Il tessile e l’abbigliame­nto sono stati i primi a venire travolti dalla globalizza­zione. Non l’altro ieri: vent’anni fa. Ma nessuno se ne è accorto, né ha fatto mai niente per aiutarvi”. Verissimo. Anzi, io mi ricordo Massimo D’Alema − in un suo discorso di fine anno, ai tempi in cui era presidente del Consiglio − quando definì il tessile un settore ormai maturo e indicò il futuro esclusivam­ente nel digitale. Caspita, bisogna stare attenti a fare certe affermazio­ni. Perché poi il tessile è diventato una merce di scambio su tutte le transazion­i internazio­nali tra Europa e Asia. Ancora oggi è così, dai il tessile per avere vantaggi sulla parte meccanica e quant’altro. Ma tutto questo ha portato nel nostro ambito, solo in Italia, a quasi 350mila posti di lavoro in meno negli ultimi 15 anni». E poiché si tratta di un settore decisament­e lavorative intensive, questo ha causato anche un rallentame­nto importante nella produzione. Un danno triplo, insomma, per i lavoratori, per le aziende e per il Paese.

Negli ultimi tempi, però, l’attenzione del Governo al primo ambassador del made in Italy nel mondo ha preso un’altra direzione. «Molto è già stato fatto», riprende Claudio Marenzi. «Iniziative come Industria 4.0, di cui ha beneficiat­o anche il nostro settore, sono eccellenti e assolutame­nte da continuare. Ma c’è ancora molto su cui intervenir­e. Da qui al 2021, per esempio, nel nostro settore si libererann­o 47mila posti di lavoro, legati soprattutt­o ai pensioname­nti. Ma al momento, i ragazzi iscritti agli istituti tecnici del tessile e della moda sono appena tre- quattromil­a. Spingeremo da subito per correre ai ripari in tempi utili».

I problemi principali da affrontare riguardano però i costi del lavoro e dell’energia, tra i più cari al mondo, che «rendono impossibil­e produrre in Italia, se non focalizzan­dosi sull’alto di gamma». Ma anche su questo ora le aziende del fashion potranno tentare di incidere, perché far parte di Confindust­ria e avere un peso specifico al suo interno vuol dire anche sedersi al tavolo col Governo e aver voce in capitolo quando si tratta di indicare strategie industrial­i. «L’obiettivo a tendere, comunque, è Bruxelles. Perché le vere battaglie legislativ­e, che riguardano per esempio la reciprocit­à con gli altri Paesi, si fanno lì».

«I problemi più urgenti da affrontare sono i costi del lavoro e dell’energia che rendono impossibil­e produrre in Italia, se non focalizzan­dosi sull’alto di gamma»

C’è chi alla natura si è ispirato, come Christian Dior, chi l’ha danneggiat­a con le lavorazion­i industrial­i. E anche chi ha inventato soluzioni per una moda sostenibil­e. Sono solo alcuni temi della mostra Fashioned from Nature, dal 21 aprile al 27 gennaio 2019 al Vic- toria & Albert Museum di Londra: foto, abiti e oggetti per raccontare il rapporto tra fashion e natura dal 1600 a oggi. _ (O.N.W.)

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