L’INVASIONE DEGLI INSTADEI
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Corpi celesti: la moda e l’immaginario cattolico. Si intitola così la mostra che, a partire dal mondanissimo Costume Institute Benefit Gala del 7 maggio, accoglierà fino all’ 8 ottobre i visitatori del Metropolitan Museum of Art di New York. In esposizione, oltre a una quarantina di inestimabili tiare papali, mitre, piviali, anelli e altri paramenti sacri in prestito dalla Sacrestia della Cappella Sistina, centocinquanta creazioni di moda femminile dell’ultimo secolo accostate ai capolavori medievali e rinascimentali che le hanno ispirate: icone bizantine, natività italiane, immagini bibliche, ritratti di cardinali, crocefissi istoriati. L’artista contemporaneo che forse più di tutti ha lavorato sulla contaminazione tra immagine sacra e cultura di massa è l’italiano Francesco Vezzoli, che nel 2011 proprio a New York, in una personale non a caso intitolata Sacrilegio, trasformò la Gagosian Gallery di Chelsea in una chiesa rinascimentale e vi appese una serie di famose Madonne con bambino i cui volti erano stati sostituiti da quelli di Claudia Schiffer, Linda
social media unicamente per guardare la bellezza altrui. Come al tempo dei romani, quando questo tipo di fisicità esisteva perché le palestre erano diffuse, il corpo non è arma erotica di seduzione ma trofeo per se stessi: ieri strumento per fare il gladiatore o il soldato, oggi per ottenere like. Quella dei Gianluca Vacchi è un nuovo tipo di sessualità, narcisistica e autoriferita, esibita compulsivamente per attirare lo sguardo.
A me affascina studiare ciò che è cambiato, ciò che ora c’è e prima non c’era. Nella classicità c’erano quasi tutte le nostre nevrosi, ma non esisteva quel narcisismo esasperato, quell’ossessione per il cibo − fino ad arrivare all’anoressia − legata all’inseguimento di un ideale fisico forse irraggiungibile. Gli dei erano narcisi, ma non avevano l’account Instagram. Oggi sono i mortali che vogliono essere dei, e per riuscirci rischiano anche la salute. Quello che le discoteche hanno rappresentato negli Anni 70 e 80 ormai lo rappresentano le palestre: è lì il rito sociale, l’incontro, la musica. Sono uno dei pochi business in perenne crescita. La religione del corpo è dominante e non sembra offrire alternative. Ogni tanto uno LE PRESENZE di Francesco Vezzoli all’esposizione internazionale d’arte della biennale di Venezia, dove ha rappresentato l’italia nella 49 ª edizione del 2001, nella 51 ª del 2005 e nella 52 ª del 2007 stilista ci prova a proporre modelli diversi, ma alla fine quello che tira è il prodotto che esalta il corpo scolpito, e il cliché del potere maschile è sempre rappresentato da quel tipo di fisico. Musclé, direbbe Franca Valeri. Mi dicono che i primi in graduatoria dell’esame di stato dopo la laurea in Medicina, quelli che possono scegliere, vogliono fare tutti chirurgia estetica: non serve aggiungere altro.
Dopo il femminismo, dopo i movimenti per i diritti dei gay, pensavamo di esserci liberati dalla dittatura del corpo maschile: la modernità ci racconta l’esatto contrario e forse dovremmo accettare questa cosa e smettere di associarla al pensiero politico conservatore, accettare che si possa essere narcisi e di sinistra. Sfidare quotidianamente il proprio corpo − aggredire se stessi, non un altro − può essere una nobile prova di forza. Del resto, se l’aspirazione verso quel tipo di fisico dura da millenni, forse è un desiderio naturale. Un corpo giovane, che ci appartenga perché è il nostro o che ci appartenga perché lo stiamo abbracciando, ci fa dimenticare la caducità della vita, e questo è un impulso assolutamente umano. Il culto del corpo è lo specchio del nostro desiderio di essere immortali, della nostra paura di invecchiare e morire. La vera cosa che, secondo me, lega moda e religione.
«Il culto del corpo è lo specchio del nostro desiderio di essere immortali, della paura di invecchiare e di morire. È questo che lega moda e religione»