GQ (Italy)

Parola di Gesù

È il figlio di Dio nel film Maria Maddalena. Incontro esclusivo con J OAQ U I N P H O E N I X : «Divino è quando non mi arrabbio con chi la pensa diversamen­te da me. Il perdono, poi, è un’arma potente. Dire “non ci riesco” non è un alibi. Porgere l’altra

-

Joaquin Phoenix è un uomo felice, e io non me l’aspettavo. L’unica altra volta che l’ho incontrato di persona, nel 2012 a Venezia a una festa per il cast di The Master − dove lui, al fianco di Philip Seymour Hoffman, era sempliceme­nte straordina­rio − mi aveva fatto l’impression­e di un tipo nevrotico, quasi spaventato dalle attenzioni, allergico alle foto quanto alle domande, costanteme­nte protetto dalla sua addetta stampa. E invece, quando entro nella suite 130 del Corinthia Hotel, convinto di dover fare un minimo di anticamera (non è colpa mia se mi hanno cancellato il volo per Londra, ma sono pur sempre in ritardo di cinque ore), trovo ad attendermi soltanto lui. Sorridente, disponibil­e, attento. Felpa nera, cargo beige, sneakers, un pacchetto di American Spirit che non accenderà in mia presenza, gli occhi verdi che vagano spesso oltre le vetrate − dove fiocchi di neve cadono assieme ai raggi del sole − quasi potessero trovare là fuori le parole giuste per le lunghe, articolate risposte, pronunciat­e con una voce profonda che nessun doppiaggio sa rendere.

È, questo sì, un periodo di grande serenità in una vita che finora è stata più spesso associata all’inquietudi­ne. Il mondo si accorse di Joaquin quando nel 1993 davanti al Viper Room di Sunset Boulevard fece la disperata e inutile chiamata di emergenza perché il fratello maggiore River, lanciato due anni prima da Gus Van Sant in Belli e dannati, stava morendo di overdose. River come fiume, Phoenix come la fenice con cui i genitori, ex seguaci del gruppo hippie/cristiano dei Bambini di Dio, avevano sostituito il più prosaico Bottom. Anche lui era stato ribattezza­to in modo “alternativ­o” − Leaf, come foglia − ma nel passare dalla television­e al cinema si era ripreso il suo nome vero, Joaquin.

Il grande successo arrivò nel 1995, sempre con Gus Van Sant, in Da morire, e la prima delle tre nomination all’oscar, per Il gladiatore, nel 2001. Archiviate certe abitudini non troppo salutari − tredici anni fa entrò spontaneam­ente in un centro di disintossi­cazione per alcolisti, ormai beve solo quando vola, e ha smesso anche di fumare marijuana «perché non voglio svegliarmi annebbiato» − oggi si sveglia all’alba, va a letto al tramonto. Animalista e vegano da sempre, mangia le verdure dell’orto che cura personalme­nte. Divide la sua casa sulle Hollywood Hills, dove ogni tanto esce in Ducati, con due cani e la compagna, l’attrice Rooney Mara. E prepariamo­ci a vederlo come candidato alla cerimonia degli Oscar del 2019 perché i film che stanno per uscire sono tutti da premio. Cannes lo ha già incoronato miglior attore per You Were Never Really Here, dove è un veterano giustizier­e. Sundance e Berlino l’hanno riempito di applausi per Don’t Worry, He Won’t Get Far on Foot, storia vera di un vignettist­a tetraplegi­co. Attesissim­o The Sisters Brothers, una storia ambientata nell’oregon della febbre dell’oro, in cui recita con Jake Gyllenhaal. E poi c’è il film che è il motivo di questa intervista FETICCIO Phoenix usa da mesi gli stessi occhiali da sole tenuti assieme da una spilla da balia: non ha voglia di cercare la vite, ed è diventato un suo segno di stile e − sospetto − di gran parte della sua felicità. Si intitola Maria Maddalena ed è su quel set che è nato l’amore con Rooney Mara. Lei è, appunto, Maria Maddalena, Joaquin ha la parte che ti chiedi − e gli chiedo − come mai nessuno gli abbia affidato prima, perché è perfetta per lui: quella di Gesù.

«Non saprei», risponde con un sorriso timido. «In realtà, la prima volta che me ne hanno parlato ero scettico. Pensavo: “Con tutti i film che sono stati fatti sulla storia di Gesù, c’è bisogno di un altro? Cosa si può dire che non sia stato già detto?”. Poi mi hanno spiegato che il titolo non era messo lì a caso, che per la prima volta il movimento nato attorno a Gesù sarebbe stato raccontato dal punto di vista di Maria Maddalena. Rooney, che conoscevo bene perché ci avevo già lavorato, mi ha detto che era interessat­a. Poi ho incontrato Garth ( Davis, il regista, quello di Lion, ndr) e c’è stata un’intesa immediata, perché ho capito che il suo unico obiettivo era raccontare la verità, riconoscer­e a Maria il ruolo centrale che ha avuto, smontare le invenzioni sul suo conto, che abbiamo sempre preso per oro colato. Maria Maddalena non c’entra niente con la figura della prostituta redenta che compare nelle Scritture, eppure è convenuto farle passare per la stessa persona. E poi il suo vangelo: ammetto che non ne sapevo niente ( il Vangelo di Maria è uno dei vangeli apocrifi, ufficialme­nte non riconosciu­ti parte della Bibbia, ndr). Questo racconto straordina­rio, poetico, che i primi Cristiani tramandano e trascrivon­o sui papiri, che poi scompare per millecinqu­ecento anni, che infine viene riscoperto in frammenti: come è possibile che una storia così non la sappiano tutti? Oggi parliamo tanto di #Timesup e di #Metoo: Maria Maddalena è la vittima perfetta di un sistema patriarcal­e che non perdona a una donna la scelta di andare via di casa, e non la ritiene degna di una sua spirituali­tà. Padre e fratelli la denigrano, dicono che è posseduta, quando Gesù la incontra la riconosce come sua pari e dice: non ci sono demoni in te, quello che senti è tuo diritto sentirlo, quello che senti è quello che sento io. Maria è l’unico discepolo presente alla sua crocefissi­one e alla sua resurrezio­ne. I discepoli maschi cercano di zittirla: “Non può aver detto a te quello che non ha mai detto a noi”. Lei li sfida:

«È davvero malata l’idea di vedere la nostra esistenza terrena come una prova da sopportare per arrivare alla vita vera. Poi per forza non te ne frega nulla di distrugger­e il pianeta o di maltrattar­e le persone, tanto l’obiettivo è altrove»

“Ho il diritto di raccontare chi era Gesù”. Ma nei secoli il suo vangelo verrà nascosto e la sua reputazion­e infangata. Ci sono molte giovani credenti che finora hanno trovato nelle scritture solo due rappresent­azioni femminili: la vergine e la puttana. Questa storia prova a rimettere le cose a posto: capirà che dovevo partecipar­e».

Quello di Joaquin è forse il Gesù più umano che sia stato raccontato. Un Gesù quasi buddista, il cui regno dei cieli non è in un’altra vita o in un altro luogo, è qui e ora, dentro ognuno di noi. Joaquin su questo punto si scalda. «È davvero malata l’idea di vedere la nostra esistenza terrena come una prova da sopportare per arrivare alla vita vera. Poi per forza non te ne frega nulla di distrugger­e il pianeta o di maltrattar­e le persone, tanto l’obiettivo è altrove. Su questo non sbagliano solo le religioni tradiziona­li ma anche l’alternativ­o che dice ( fa una buffissima imitazione new age, ndr): “Vado in India sei mesi, medito e divento illuminato”. Non funziona così: è una pratica quotidiana, significa lottare ogni giorno per rendere migliori se stessi e il mondo. Ma siamo pigri, è più comodo rimandare tutto a un’illuminazi­one che prima o poi ci cascherà sulla testa se meditiamo in India o se preghiamo nella sinagoga giusta. Io medito, per esempio, ma se si pensa a un bene da conquistar­e altrove, si finisce per rinunciare a conquistar­e il bene nel nostro quotidiano. È come la faccenda del pastore spirituale. Figure come quella di Gesù, manifestaz­ioni terrene del divino, ci sono da sempre in tutte le religioni, perché siamo esseri umani e vogliamo identifica­rci in un essere umano. L’errore è pensare che tutto il lavoro lo debba fare quella figura. Gesù si arrabbia spesso con i discepoli proprio perché dipendono troppo da lui. L’altro giorno con mia madre, che è attivista per la lotta contro la violenza nelle nostre città, parlavamo del recente massacro nella scuola. A quei ragazzi non frega niente dei partiti, li frustra la sensazione di non avere voce in capitolo nelle leggi che hanno un impatto sulle loro vite. Ma anche se non votano ancora, niente impedisce loro di dare vita, in classe e nella scuola, a un movimento anti-violenza, di dire: “Io non risponderò alle pallottole con altre pallottole”. A volte dimentichi­amo di avere più potere di quanto crediamo, e una responsabi­lità individual­e di cambiament­o del nostro comportame­nto e del modo in cui interagiam­o con il mondo».

Quindi il divino, gli chiedo, è una specie di umano 2.0? «Divino è ciò che mi fa sentire connesso a qualcosa che va oltre la mia persona, oltre i miei bisogni e le mie esigenze, qualcosa che mi lega agli altri. Ci sono molti insegnamen­ti di Cristo che applico, o cerco di applicare, alla mia vita, perché sono valori di grande forza e bellezza: la crescita spirituale è una quotidiana strada verso quei valori. Non c’entra la perfezione, che comunque è soggettiva. Io sono animalista, protesto davanti ai mattatoi, ma l’autista del camion della carne che mi passa davanti e mi mostra il dito pensa che io CRISTO Gli occhi verdi sono quelli di sempre, ma la barba è blblica e i capelli, come da tradizione, lunghi: così si presenta Joaquin nei panni di Gesù sia pazzo e voglia togliergli il lavoro con cui mantiene la sua famiglia e fa un servizio a chi la carne la vuole mangiare. Divina è l’empatia che mi impedisce di arrabbiarm­i con lui, che mi spinge a capirlo, ad amare la natura umana in tutte le sue sfaccettat­ure, non solo quelle che mi sembrano accettabil­i. Nel film c’è una scena di guarigione: i miracoli sembrano una cosa lontanissi­ma da noi. Ma poi penso alla società di quei tempi, che escludeva i malati, i disabili fisici e mentali, e penso a questo uomo, Gesù, che invece li guardava negli occhi, li toccava, faceva sentire preziose le loro vite calpestate, e penso alla forza guaritrice di quel gesto, e alla rapidità con cui si sarà sparsa la voce: io il miracolo, il divino, lo interpreto così. Quando guardo Suor Helen Prejean ( interpreta­ta da Susan Sarandon in Dead Man Walking, ndr) che va nel braccio della morte da persone che hanno fatto cose tremende e dice loro: “Ti voglio bene, ti perdono, sono qui per te”, e lo dice credendoci, e non può assolverli ma può far loro sentire che qualcuno li vede non solo come assassini ma anche in altri aspetti della loro umanità, ecco, quello per me è divino, è riuscire ad abbracciar­e i difetti, gli sbagli, le fragilità. Il perdono − Gesù che dice “Perdonali Padre” di quelli che lo tortureran­no e ucciderann­o − è un’arma potente».

Molti eroi e supereroi, gli dico, assomiglia­no a Gesù. «Ricordo di aver visto Guerre stellari da bambino, c’era anche parecchio buddismo lì dentro. A me piace questo approccio alla spirituali­tà, l’idea di proporre esempi positivi come obiettivo a cui tendere. Solo che a volte rappresent­iamo questi personaggi in modo troppo idealizzat­o e ci condanniam­o da soli al senso di fallimento, perché noi non potremo mai essere quella cosa lì. E invece Gesù ti dice che quella cosa lì, a modo suo, ciascuno di noi ce l’ha. L’atleta che si sfida, lo scrittore che racconta, il musicista che crea, chiunque cerchi di essere migliore. Dire “è difficile” non è un alibi: anche per Gesù era difficile, difficilis­simo, porgere l’altra guancia. La routine è una cosa buona − a me per esempio piace curare il giardino, giocare con i cani, fare le piccole cose semplici − ma a volte rischia di farci dimenticar­e che abbiamo un enorme privilegio: vivere questa vita, e ogni giorno avere la possibilit­à di cambiarla in meglio».

«Figure come quella di Gesù, manifestaz­ioni terrene del divino, ci sono da sempre in tutte le religioni, perché siamo esseri umani e vogliamo identifica­rci in un essere umano. L’errore è pensare che tutto il lavoro lo debba fare quella figura»

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy