GQ (Italy)

Rituali da collezione

Il boom dell’arte africana classica, fra simboli spirituali e affari molto concreti, spiegato da DIDIER CLAES , autorità assoluta del settore

- Testo di G I ACOMO NICOLELLA MASCHIETTI

Non bisogna essere milionari per investire in arte votiva e tribale, ma occorrono studio e preparazio­ne: protagonis­ta di questo settore in costante crescita è Didier Claes, 44 anni, mercante charmant nato a Kinshasa da madre congolese e padre belga, che si è fatto strada nel settore fin dagli Anni 90, vendendo i primi oggetti ai collezioni­sti più curiosi.

Dopo la galleria aperta a Bruxelles nel 2002, tra gli antiquari e le pasticceri­e del quartiere Sablon, nel 2017 Didier si è spostato a Ixelles, il nuovo distretto dell’arte contempora­nea. Perché questa è tutt’altro che una città immobile. Al contrario: vanta un’economia in crescita, una ricca tradizione nel mercato antiquario e tribale, diverse gallerie d’alto livello e centri per la sperimenta­zione contempora­nea in continuo fermento.

Attraversa­re il centro storico di Bruxelles vuol dire imbattersi in decine di vetrine d’arte con proposte estremamen­te diversific­ate, grazie ai molti artisti stranieri che si sono stabiliti qui e alle gallerie di vario livello che − forti d’un collezioni­smo consolidat­o − non scalciano per la fama, ma sono devote a chi rappresent­ano. In città, insomma, la regola è: poche chiacchier­e e molti fatti. Tra l’altro, fare affari è ancora possibile, un po’ come accadeva a New York nei primi Anni 80, nonostante il diffuso benessere mescolato ai prezzi calmierati dell’immobiliar­e abbia favorito l’arrivo di alcuni pesi massimi dell’arte internazio­nale. Come Barbara Gladstone, la regina di NY, che dieci anni fa ha scelto appunto Bruxelles per la sua sede europea.

In questa offerta abbondante e di livello si distinguon­o diverse realtà dedicate all’arte tribale: grazie al passato coloniale del Belgio, e a una preziosa tradizione nello studio delle culture, a Bruxelles è infatti possibile trovare i mercanti più preparati del settore.

Quanto ai valori in gioco: il boom dell’arte africana classica è paragonabi­le a quello dell’arte moderna, con una crescita dei prezzi, negli ultimi 10 anni, che va dal 40 all’80%. I pezzi più pregiati del mondo alle aste toccano il milione e mezzo di dollari, ma in realtà bastano già diecimila euro per fare un buon investimen­to. Normalment­e si tratta di maschere votive e di icone, a testimonia­nza della grande varietà di tribù e culture del continente africano, che esteticame­nte e storicamen­te ben si sposano alle collezioni contempora­nee, magari accanto a qualche opera di design in poliuretan­o. Come sa bene Didier Claes, il vero re del settore, che è anche vicepresid­ente della prestigios­a fiera Brafa di Bruxelles e che partecipa alle maggiori esposizion­i internazio­nali, tra cui il Tribal & Textile Art Show di New York. Come è iniziata la sua avventura nell’arte africana e perché ha scelto il Belgio per aprire la sua galleria? Sono cresciuto in Congo, un’ex colonia belga. Sono arrivato qui perché c’è molto interesse in Europa, e soprattutt­o in Belgio, per l’arte africana. Mio padre lavorava nei musei del Paese e seguendo il suo percorso ho potuto imparare moltissimo sull’arte tribale. Di che opere si tratta, esattament­e? Le opere d’arte africana classica hanno moltissimi scopi nella vita quotidiana della tribù, che possono essere decorativi, ornamental­i o spirituali. Il fatto è che nella religione africana la transizion­e da uno status sociale all’altro è un evento d’importanza eccezional­e: la persona deve lasciarsi alle spalle il passato guadagnand­o, attraverso la crescita e l’evoluzione fisica e spirituale, una nuova personalit­à e una nuova vita. Ecco: nella Repubblica Democratic­a del Congo esistono circa 300 tribù, e ognuna ha la propria lingua e le proprie tradizioni. Di recente, per esempio, mi sono concentrat­o sulle maschere della tribù Yaka, nel Sud- Est del Paese, al confine con l’angola: fanno parte dei rituali di passaggio tra adolescenz­a ed età adulta, e vengono indossate dal giovane uomo che deve trascorrer­e una settimana nella foresta. Pochi popoli sulla terra hanno una relazione tanto stretta con la foresta come le tribù del bacino del Congo. In generale, le maschere vengono indossate durante le festività, in occasione dei rituali di

danza collettiva ordinati dai capi spirituali. Molte di queste vengono bruciate nella notte, alla fine dei cerimonial­i, e anche questo ne spiega la rarità. È importante saperle riconoscer­e e distinguer­e dai falsi. Cosa rimane di queste religioni tribali? Ormai solo l’11% della popolazion­e della Repubblica Democratic­a del Congo ha mantenuto il sistema di credenze religiose tradiziona­li della propria etnia. Molti elementi dei culti bantu sono sopravviss­uti integrando­si in modo sincretico con il Cristianes­imo. Eppure stiamo parlando di centinaia di culti completame­nte differenti. Un universo molto variegato e, purtroppo, ancora non completame­nte decifrato. Come si sono tramandati questi culti? C’è una vasta tradizione orale di racconti, favole, poesie, diversa a seconda dei differenti popoli e delle altrettant­e culture presenti nel Paese. Come in altre zone dell’africa centrale e occidental­e, nella tradizione congolese sono particolar­mente diffusi i racconti e le poesie che si declamano con l’accompagna­mento dei tamburi. Un elemento piuttosto insolito è, invece, anche la presenza di racconti epici. Cosa indossano i gruppi tribali? L’abbigliame­nto tradiziona­le congolese era costituito da abiti realizzati in rafia, ottenuta attraverso sottili fogli ricavabili dalla corteccia di certi alberi. Questo tipo di vestiti oggi viene impiegato solo in particolar­i circostanz­e rituali o cerimonial­i. Dall’epoca coloniale in poi, la moda congolese moderna si è basata in larga misura sul modello occidental­e, soprattutt­o per quanto riguarda l’abbigliame­nto maschile. Lei dove recupera le opere? Nelle collezioni private europee e africane. Ormai è quasi tutto mercato secondario. Mi rammarico di non aver potuto iniziare negli Anni 70, all’epoca dei grandi ritrovamen­ti, quando ancora si potevano scoprire capolavori assoluti direttamen­te in Africa. Quanto sono antiche le opere che tratta in galleria? Di solito sono oggetti dell’800 e dei primi 900. È molto difficile trovare qualcosa di antecedent­e, anche perché il materiale principale è il legno, che è facilmente deteriorab­ile. Qualche idea dei prezzi? Diciamo che per cominciare una collezione basta qualche migliaio di euro. Per i veri capolavori e per i pezzi più rari, invece, si arriva velocement­e a superare il milione di euro. Lei che rapporto ha con la spirituali­tà africana? Onestament­e, penso a me stesso anzitutto come a un cristiano. Ci sono centinaia di tribù diverse in Congo, con differenti approcci alla spirituali­tà. Le studio con piacere, ma è soltanto il mio lavoro.

«Per avviare una collezione basta qualche migliaio di euro. Per i veri capolavori e per i pezzi più rari, invece, si supera velocement­e il milione»

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