Giusto tono
Dopo serial killer, disadattati e psicopatici in tv, EVA N P E T E R S torna al cinema in autunno nei panni di Quicksilver, il più veloce degli X-men: «Sarà meno impulsivo, più saggio. Proprio come me»
Riguardando gli episodi più cruenti di American Horror Story poco prima di intervistare Evan Peters alle undici di sera si corre il rischio di non prendere sonno per tutta la notte. Ma poi, invece, al telefono lui parla con una vocina flebile, quasi impacciata, ed è subito un’altra storia.
Nato a St. Louis, nel Missouri, 31 anni fa, traslocato a Los Angeles quando ne aveva 15, Evan è fiero di essere protagonista della serie antologica trasmessa sulla pay FX, in Italia su Fox, e firmata da Ryan Murphy (regista di altre fortunate serie da Feud, sulla rivalità fra Bette Davis e Joan Crawford, ad American Crime Story, sull’assassinio di Gianni Versace), anche perché va matto per l’horror. «Ho una passione sfegatata per gli zombie. Adoro The Walking Dead, lo rivedo ogni volta che stacco dal set». Abitudine che alterna alla lettura dei romanzi distopici di Aldous Huxley e alla musica: «Un paio di ore al giorno suono al pianoforte», racconta. «Mi rilassa».
Intanto ha appena finito di girare Pose, la serie – sempre diretta da Ryan Murphy, in uscita negli Stati Uniti la prossima estate – già destinata a fare storia per il cast con più attori transgender. «È stato molto interessante far parte della squadra. Il mio personaggio è un giovane del New Jersey che, con la fidanzata, viene sedotto dal glamour e coinvolto negli intrighi di una New York Anni 80, divisa tra l’ascesa del mondo del lusso e dello sfarzo alla Trump e l’universo di artisti, letterati e ballerini».
All’attuale presidente degli Stati Uniti e alle contraddizioni della società americana era dedicata la settima e ultima stagione di American Horror Story: Cult, trasmessa lo scorso autunno su Fox. «Il mio personaggio, Kai Anderson, era un giovane disadattato, pericoloso, lucido e psicopatico: un narcisista megalomane tragico e spaventoso, ma allo stesso tempo divertente». Memorabile la scena in cui, appresa la vittoria di Donald Trump, mima un rapporto intimo col televisore e grida: «La rivoluzione è iniziata!». Nel complesso, l’esperienza è stata «molto faticosa, ma altrettanto gratificante».
Nella stessa stagione Peters si è trasformato anche nell’artista Andy Warhol, nel leader della setta omicida Charles Manson, nel predicatore Jim Jones e persino in Gesù. Eppure, nella sua carriera non ha sempre interpretato personaggi discussi o discutibili. Anzi: «Amo le commedie e credo di essere anche un tipo divertente». E infatti, prima della serie AHS, nel 2010 ha esordito sul grande schermo con una parte da coprotagonista, in coppia con Aaron Taylor Johnson, in Kick-ass di Matthew Vaughn (regista, tra gli altri, di X-men: l’inizio, 2011, e Kingsman, 2014), un film-parodia sui supereroi. Nel 2013 invece ha recitato nella commedia Adult World sull’indipendenza giovanile, insieme con John Cusack ed Emma Roberts – nipote di Julia – a cui Peters è legato da allora, nonostante il tira e molla e le baruffe dei primi tempi (una volta, a Montreal, gli ospiti del loro hotel chiamarono la polizia, che dovette fermare la furia di Emma). Ora tutto bene: «Ci amiamo molto, anche se non pensiamo ancora al matrimonio».
Nella sua carriera, il ruolo di maggior spicco è stato quello del mutante Quicksilver nel film X-men: giorni di un futuro passato del 2014, confermato nel sequel del 2016, X-men: Apocalisse (epica la sua scena in slow-motion con Sweet Dreams degli Eurythmics in sottofondo). E nel nuovo capitolo della saga X-men: Dark Phoenix, in sala dal prossimo autunno. «Sono cresciuto guardando i film degli X-men e quando mi sono trovato davanti Hugh Jackman ero al settimo cielo, ma anche un po’ nervoso. Sia lui che James MCAvoy e Michael Fassbender sono stati però molto carini con me, mi hanno messo subito a mio agio».
È probabile che, nel prossimo capitolo della saga, troveremo un Quicksilver un po’ cambiato: «Si muoverà sempre a una velocità supersonica ma, come me, anche lui è cresciuto. Quindi sarà più saggio, meno impulsivo». Il personaggio è un beniamino del grande pubblico e piace anche a Peters, benché non sia il suo preferito in assoluto: «Da bambino amavo Batman e Spider-man, ma da attore il mio sogno è interpretare Wolverine, perché ha il potere più cool di tutti: quello di riparare le proprie ferite. E poi gli artigli metallici lo rendono davvero un badass ».
Ovvero un tipo piuttosto cazzuto, come quello che gli è capitato di interpretare in The Pirates of Somalia di Bryan Buckley, accanto ad Al Pacino: basato su una storia vera, racconta di un giornalista di Vanity Fair che abbandona la sua vita tranquilla e si trasferisce in Somalia per cercare una storia forte da raccontare. Collegandosi con una fonte locale (il candidato all’oscar Barkhad Abdi), tenterà di infiltrarsi nel mondo dei pirati somali locali, e si metterà rapidamente in una situazione di estremo pericolo. Il film, uscito negli Stati Uniti a fine 2017, nel resto del mondo è passato praticamente inosservato, eppure è stato per Evan una tra le esperienze più significative: «Non ero mai stato in Africa e passare del tempo a stretto contatto con il popolo somalo mi ha fatto capire molte cose della vita. Soprattutto che bisogna pensare positivo». La scritta che ha tatuato sulla sua mano destra lo conferma: thumbs up, pollice su.
«Da bambino amavo Batman e Spider-man, ma da attore il mio sogno è interpretare Wolverine, perché ha il potere più cool di tutti: quello di riparare le proprie ferite. E poi gli artigli metallici lo rendono davvero un »