Cucciolo d’uomo, star del branco
Ci vuole talento per sopravvivere e Tedua lo fa con la poesia rap. Convinto che l’universo lo aiuti
Dice cose del tipo: «Fabrizio De André aveva più cultura di Jim Morrison e Jimi Hendrix». Ha sfilato per Dolce&gabbana. Mentre fa le pulizie, ascolta Blink 182 e Green Day. È amico di Ghali e Izi. Sua madre lo ha messo al mondo come Mario Molinari, lui ha conquistato il suo spazio come Tedua. Ha la faccia di chi le ha prese sul ring, canta «Ho il naso fratturato, però ho fatturato» ( La legge del più forte, 6 milioni e mezzo di view) ed è uscito con il nuovo album: MOWGLI Il disco della giungla.
L’età per leggere Rudyard Kipling? Il libro della giungla per me è un cartone animato. Preferisco leggere le informazioni.
Meglio i giornali dei libri? Non sono contrario alla lettura, ma essendo cresciuto con il rap la poesia urbana non mi è mancata.
Dove nasce l’immaginario di Tedua? Dai contesti sociali in cui ho vissuto: case popolari, famiglie in affido, ville a tre piani. Sono il risultato di quei mondi.
Cosa ha preso il suo Mowgli dalla giungla? Il talento della sopravvivenza. Infatti non mi spacco più la schiena come muratore, tra i microtraffici illeciti, a pulire gabinetti. Faccio l’artista e guadagno i soldi rappando.
La critica scrive che il rap di adesso parla la vera lingua contemporanea, che «è roba per figli e quasi mai per grandi». Sono un tecnico della materia: infatti il mio slang non viene capito sempre al primo ascolto. Ma ora mi aspetta lo step successivo: se parlo come uno che la sa lunga, conviene che la sappia lunga davvero.
L’onestà è importante? Sì. Artistica. Intellettuale. Umana. Vengo dalla lealtà del branco.
Chi ne fa parte? Le mie famiglie: la signora Elena del quartiere QT8, a Milano, un’anziana del dopoguerra; la coppia di Arenzano che mi ha preso quando mia madre aveva il tumore e il frigo era sempre più vuoto.
Chi diceva «non sei portato per la musica»? Tutti quelli che non vedevano le mie doti tecniche e mi accusavano di andare fuori tempo.
Essere passato a un’etichetta più strutturata cambia il modo di lavorare? No. A 24 anni ho già avuto contratti con Universal, Sony, Warner. Per me è come entrare in banca: non mi faccio ingannare dal sogno della major, ma usufruisco di un servizio.
A chi parla questo disco? Mi ascoltano dalla terza media all’ultimo anno di università. Ma io punto a fare un classico.
Nella fattispecie, cosa significa? Che tra 10 anni l’album esisterà ancora. C’è già chi scrive che è un classico dell’hip hop italiano.
C’è proprio la volontà di lasciare un segno: e se invece fra dieci anni nessuno se ne ricordasse? Non può succedere. Come mi ha insegnato la teoria della Legge di attrazione di Esther e Jerry Hicks, basta essere in sintonia con le energie dell’universo.
Quindi un libro lo ha letto. Guardo i video-libri: se ha 50 anni e pensa, con pregiudizio, che l’informazione su Youtube sia pressapochista − non lo capisce. _ ( C.D’A.)