GQ (Italy)

L’ultimo samurai dell’eleganza maschile

L’uomo di Giorgio Armani conferma il lungo dialogo tra lo stilista e il Giappone

- paola montanaro

Ogni storia ha un inizio. E quella del legame tra Giorgio Armani e il Giappone risale al 1981, con la collezione ispirata a Utamaro, il pittore e disegnator­e giapponese considerat­o uno dei maggiori artisti della stampa a blocchi di legno. La Giorgio Armani era nata pochi anni prima, nel 1975, dopo il trionfo delle due prime collezioni — una maschile, l’altra femminile — firmate da lui, proprio mentre Milano si preparava a diventare la capitale della moda italiana grazie a un gruppo di giovani stilisti, tra cui appunto Armani, che avrebbero fatto del prêt-à-porter italiano l’emblema del lusso mondiale. La collezione del 1981 riportava in auge gli antichi costumi giapponesi, sulla scia dei film di Akira Kurosawa, e sfilò persino a Tokyo. Ma la capirono in pochi. Tanto che, irritato dalle polemiche, la stagione successiva Giorgio Armani decise di non sfilare affatto. Il suo nome tuttavia fece il giro del mondo, e Time nel 1982 gli dedicò la copertina.

Il fatto è che, due anni prima, gli abiti di Richard Gere in American Gigolò ne avevano già sancito il successo planetario, suggelland­o anche il suo legame con il cinema. Completi dai volumi fluidi, pantaloni ampi con pinces, abiti declinati per la prima volta in nuances tenui e sofisticat­e, il famoso greige fra tutti: Armani stava mettendo in atto una rivoluzion­e. La miccia? Una giacca su un manichino a cui erano state strappate fodere e imbottitur­e, che re Giorgio ripensò come una seconda pelle: zero struttura, tessuti leggeri. Cambiò la disposizio­ne dei bottoni, modificò le proporzion­i e ridisegnò la nuova eleganza maschile. Sartoriale ma casual al contempo. Ecco fatto: Armani liberava gli uomini dalle corazze di allora, interpreta­va i cambiament­i sociali.

Precursore di un certo gusto per il minimalism­o, Armani ha costanteme­nte guardato all’oriente per nutrire la sua moda, cogliendo da imprendito­re — pioniere anche in questo

persino il potenziale del mercato cinese, in tempi tutt’altro che scontati.

«All’oriente e al Giappone mi sono sempre ispirato», conferma. «Ne ammiro la cultura e l’estetica rarefatta, capace con pochi segni di rappresent­are valori complessi. Il senso della linearità, pura ed essenziale, l’uso del colore e del decoro si ritrovano nella mia moda e anche nel mio concetto di lifestyle».

Nel guardaroba tradiziona­le entrano così di diritto camicie con colli alla coreana, giacche senza revers che obbligano a una portabilit­à più rilassata, ma mai sbottonata. E ancora: pantaloni ampi, casacche stile kimono, rasi, shantung di seta, disegni e stampe floreali...

E il dialogo tra Giorgio Armani e il Giappone continua, come si vede nella collezione Emporio Armani primavera-estate 2018, dove la hakama, una sorta di larga gonna-pantalone a pieghe, diventa un capo chiave di stagione da indossare con un bomber rosso lacca, da cui spunta una classica camicia a righe.

In un continuo gioco di rimandi, l’abito formale richiama il kimono, e i disegni di fiori e di carpe diventano il leitmotiv.

«Ho sviluppato una mia idea di japonisme metropolit­ano, che attinge dal classico proponendo qualcosa di nuovo», conclude lo stilista. «Ne emerge il senso di una rinnovata eleganza, concreta e sofisticat­a, che trovo molto attuale, dinamica». E che sottolinea ancora una volta quanto la cultura e i simboli dell’oriente siano diventati parte dell’heritage Armani.

 ??  ?? Capispalla strutturat­i che ricordano i kimono, giacche con cinture in vita, blouson stampati per la nuova collezione di Emporio Armani P/E 2018
Capispalla strutturat­i che ricordano i kimono, giacche con cinture in vita, blouson stampati per la nuova collezione di Emporio Armani P/E 2018
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy