GQ (Italy)

Servitore dello Stato

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Vedremo presto Sergio Castellitt­o interpreta­re due uomini molto diversi tra loro. Il Tuttofare, al cinema dal 19 aprile, è la storia di un avvocato con qualche compromess­o di troppo. La sera dell’ 8 maggio, vigilia del quarantenn­ale del ritrovamen­to del cadavere nel bagagliaio di una R4 rossa in via Caetani, va invece in onda su Rai1 Il Professore, una docufictio­n che racconta i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro dal punto di vista dei suoi allievi della facoltà di Scienze politiche. « Quei 55 giorni sono stati il nostro Vietnam, hanno cambiato l’italia, hanno profondame­nte cambiato me » , racconta. « Il 16 marzo, la mattina dell’agguato in via Fani, ero all’ingresso artisti del Teatro Argentina, con i compagni dell’accademia facevamo provini per uno spettacolo di Luca Ronconi. Eravamo di sinistra, eravamo giovani, eravamo stupidi, e quando giunse la voce che le Brigate Rosse avevano rapito Moro sentii da parte di alcuni un’onda elettrica per quell’attacco al cuore dello Stato. Perché era passata l’idea del tutto demagogica che fosse in corso una rivoluzion­e. Poi arrivò la notizia della strage degli uomini della scorta − come è mancata la parola di Pier Paolo Pasolini su tutta questa vicenda, su quei poveri poliziotti e carabinier­i ammazzati. Quando il 9 maggio Moro venne ucciso, fu la fine della nostra gioventù. I terroristi hanno giocato ambiguamen­te sul racconto di una contiguità che in realtà non c’era. La classe operaia scendeva in piazza contro di loro, non imbracciav­a i fucili per rovesciare il sistema, anche perché tutto questo non succedeva dentro una dittatura che gettava i ragazzi dagli aerei: c’era una democrazia, corrotta e clientelar­e quanto volete, ma c’era. Mi fanno impression­e i brigatisti − non ex brigatisti perché, come diceva Rocco Chinnici, “gli ex mafiosi non esistono” − che ancora oggi parlano di “azione necessaria”, di contesto storico. Io capisco che a vent’anni sei una persona, a quaranta un’altra, a sessanta un’altra ancora. Ma questo diritto di crescere, di trasformar­si, a molti esseri umani loro l’hanno negato. E a me sembra che il vero carcere lo vivano le vittime. La cosa amara, l’ho scoperto facendo ricerca, è che Moro non solo era contrario alla pena di morte che a lui è toccata: era contrario anche all’ergastolo. Almeno una volta al mese portava gli studenti nelle carceri, per insegnare loro l’importanza di una possibilit­à di redenzione. Amava l’insegnamen­to forse più della politica. E come politico, avercene. Non gli interessav­a, come interessa ai politici di oggi, risultare a tutti i costi simpatico. Credo che amasse governare per la gente. Ed essere capito. Era, lui sicurament­e, un gentiluomo » .

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